Cass. Civ., II Sez. Civ. 16 aprile 2015, n. 15804
Corte di Cassazione, II Sezione Civile, sentenza 16 aprile 2015, n. 15804
Fatto
1. Con ordinanza del 18/11/2014, il Tribunale del Riesame di Roma confermava il decreto con il quale, in data 01/09/2014, il giudice per le indagini preliminari del tribunale della medesima città aveva ordinato il sequestro preventivo per equivalente dei beni appartenenti a L.M. indagato, fra l’altro, per i reati di associazione per delinquere, per i reati tributari e per bancarotta fraudolenta e riciclaggio: il sequestro, peraltro, veniva eseguito sulle quote della società Beta s.r.l. e su due immobili di proprietà della suddetta società ma gestiti dal Trust Omnia, e ciò sul presupposto che la suddetta società (e gli immobili conferiti in Trust) appartenesse al L. .
Il Tribunale, riteneva fondata la tesi accusatoria sulla base della seguente motivazione: “I rilievi difensivi non convincono perché in primo luogo se è vero che il trust risulta essere stato costituito nel 2007 (con conferimento da parte di L.M. del 90% delle quote della Beta srl, e da parte di La.Ma. del rimanente 10%), la modifica rilevante per escludere ogni potere di ingerenza del disponente è stata fatta in un periodo (febbraio 2011) da ritenere sospetto perché è immediatamente successivo al periodo finale di tutto il complesso meccanismo costituito dall’imponente opera di emissione di fatture per operazioni inesistenti e dall’attività distrattiva, e dopo gli accertamenti dell’agenzia delle entrate del 2010. Proprio alla fine dell’anno 2010 si registrava in aggiunta la c.d. scissione del gruppo Gesconet con la creazione di Gesco Centro (riconducibile a T.P. ) e Gesco Nord (riconducibile a L.M. ). Inoltre risulta che l’immobile sito in (omissis) , adibito a residenza del L. , formalmente di proprietà della Tina srl, era stato concesso in locazione al L. dalla società Beta srl in data 1.9.2011, ovvero qualche mese dopo la notifica del processo verbale di constatazione dell’Agenzia delle entrate e di blocco dei conti Gesconet. Risulta ancora che tale immobile era stato oggetto di un preliminare di compravendita, in data 12.2.2007, tra la Tina srl — rappresentata da E.A.R. , e la Beta srl rappresentata formalmente da La.Ma. (ma di proprietà anche di L.M. ), con stipula del definitivo fissata per il 31.12.2011. In data 25.7.2011 veniva stipulata tra le parti un’appendice al preliminare sottoscritto in data 12.2.207, tra la Tina Immobiliare – sempre rappresentata da E.A.R. , e la Beta srl, sempre rappresentata da L. con la quale le parti convengono, per insorte difficoltà burocratiche, di stabilire quale nuovo termine per la stipula del definitivo la data del 31.12.2012, con versamento di ulteriore importo di Euro 20.000 in favore della prominente venditrice, e con messa a disposizione dell’immobile in favore della promissaria acquirente a partire dal 1.8.2011, con apposito contratto di comodato gratuito (che viene effettivamente stipulato sempre tra le parti in data 1.8.2011 con sottoscrizione per la Beta srl ad opera di La.Ma. ). Da tale vicenda possono ricavarsi concreti indici rivelatori del fatto che L.M. abbia continuato e continui ad esercitare una effettiva ingerenza sulla società Beta srl, e dunque sul trust, e che tali beni siano pertanto a lui direttamente riconducigli. In primo luogo perché alla data del 28.7.2011 (anche dopo la modifica del trust) legale rappresentante della società Beta srl era ancora La.Ma. , fratello di L.M. , detentore di quote di minoranza della società Beta srl, in secondo luogo perché dell’immobile ne ha poi beneficiato L.M. , che evidentemente si é ingerito e ha stimolato a suo vantaggio l’azione della Beta srl, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa sul fatto che il trust (e quindi la società Beta s.r.l.), gestiva in maniera del tutto autonoma e separata i beni e l’attività a vantaggio dei figli, e non aveva alcun rapporto né con i L. né con i soci della società Beta srl. Per tali motivi, dunque, si ritiene che i beni sequestrati sia da ritenere nella effettiva disponibilità dell’indagato L.M. (si veda Cass. Pen. sez. 6 n. 21621 del 27.2.2014 imp. Fravesa), e che, pertanto, il decreto di sequestro debba essere confermato”
2. Avverso la suddetta ordinanza, B.A.S. , nella sua qualità di procuratore speciale del Trust Omnia, nonché V.A. , quale legale rappresentante della Beta s.r.l. – a mezzo del comune difensore nonché procuratore speciale – hanno proposto ricorso per cassazione deducendo:
2.1. violazione dell’art. 321 cod. proc. pen. per non avere il Tribunale motivato in ordine alla sussistenza del fumus delicti, sia pure in capo al L.M. ;
2.2. violazione dell’art. 606 lett. b) – c) cod. proc. pen. per avere il tribunale motivato in modo apparente in ordine alla pretesa simulazione e, quindi, nullità del trust, nonostante fossero stati evidenziati una serie di indici dai quali si desumeva la genuinità del Trust (pag. 7 del ricorso) e, al contrario mancasse la prova della ingerenza del L. nelle vicende del Trust (pag. 10 ricorso).
Diritto
3. violazione dell’art. 321 cod. proc. pen.: la censura è infondata per le ragioni di seguito indicate.
Ove il provvedimento di sequestro venga impugnato dal terzo, costui, pur non essendo gravato da alcun onere probatorio ha tuttavia, ove lo ritenga opportuno, un onere di allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua esclusiva proprietà. È chiaro, quindi, che il procedimento ruoterà solo ed esclusivamente intorno al suddetto onere probatorio, sicché sarebbe del tutto incongruo che il terzo facesse valere eccezioni che riguardino l’indagato e che solo costui potrebbe far valere (in terminis Cass. 14215/2002 Rv. 221843).
Potrebbe obiettarsi che il terzo ha interesse a contestare la sussistenza del fumus delicti (ed, eventualmente, degli altri presupposti) perché, nel caso in cui le sue eccezioni fossero ritenute fondate, automaticamente cadrebbe anche il sequestro mancando il presupposto giuridico, ossia la sussistenza e/o configurabilità del reato.
In realtà, così non è.
Infatti, il sequestro è disposto sotto il presupposto che il bene, pur formalmente di proprietà del terzo, di fatto e sostanzialmente sia nella disponibilità dell’indagato che, quindi, con il suddetto stratagemma, tenta di sottrarlo al sequestro e poi alla confisca.
Di conseguenza, a fronte di questa situazione, il terzo ha due possibilità:
– impugnare il provvedimento ed ammettere che il bene è nella disponibilità dell’indagato e, quindi, in sostanza, riconoscere la fondatezza della tesi accusatoria. Ma, in questo caso, sarebbe del tutto evidente la sua carenza di interesse ad agire, non potendo far valere eccezioni (mancanza del fumus delicti ed, eventualmente, degli altri presupposti) che non possono che essere dedotte direttamente ed esclusivamente dal solo indagato;
– impugnare il provvedimento e contestare che il bene sia riconducibile all’indagato e sostenere che è di sua esclusiva proprietà. In tal caso, l’onere di allegazione, è limitato ad indicare gli elementi dai quali desumere l’esclusiva titolarità del bene. Una volta che questo onere sia stato assolto, il sequestro non può che essere revocato, essendo del tutto irrilevante la prova che manchino i presupposti di legge. Infatti, quand’anche fosse dimostrato il fumus delicti, se vi è la prova che il terzo è diventato esclusivo proprietario del bene, il sequestro andrebbe ugualmente revocato proprio perché l’accusa non avrebbe dimostrato che il bene è nella disponibilità dell’indagato, sicché il sequestro sarebbe, per assioma, illegittimo non potendosi sottoporre a vincolo reale un bene appartenente ad un terzo estraneo a qualsiasi ipotesi di reato. Il sequestro, in altri termini, sarebbe senza alcun titolo giuridico. Infatti, la ratio legis va ravvisata nella volontà del legislatore di privare l’indagato di beni che, sostanzialmente, al di là del dato formale, continuano a rimanere nella sua disponibilità. Di conseguenza, una volta che i suddetti beni escano definitivamente dalla materiale e giuridica disponibilità dell’indagato e pervengano ad un terzo, la legge tutela costui, con conseguente illegittimità del sequestro. Se, invece, il Pubblico Ministero dimostra che i beni appartengono all’indagato, il terzo, in quanto possessore simulato dei suddetti beni, diviene carente di interesse ad agire in quanto si ricrea la situazione di cui si è detto al precedente punto e cioè che non può far valere eccezioni (mancanza del fumus delicti ed, eventualmente, degli altri presupposti) che non possono che essere dedotte direttamente ed esclusivamente dal solo indagato.
In ogni caso, nel caso di specie, non è vero che il tribunale abbia completamente omesso la valutazione del fumus delicti: sul punto, è sufficiente il rinvio alla lettura delle pag. 3 dell’ordinanza impugnata in cui il Tribunale ricostruisce il sofisticato meccanismo frodatorio messo in atto dall’indagato L. .
4. motivazione apparente: vertendosi in materia di sequestro di beni appartenenti ad un terzo, è opportuno procedere, preliminarmente, ad una esposizione della problematica che pone il presente procedimento, non peraltro perché è stata espressamente sollevata dai ricorrenti.
5. i meccanismi frodatori: I meccanismi che l’indagato/imputato può porre in essere al fine di mettere in salvo il proprio patrimonio per tentare di sfuggire alla pretesa statuale di confisca dei patrimoni illecitamente accumulati, possono essere catalogati nelle seguenti categorie:
a) meccanismi di interposizione fittizia: il bene, pur essendo formalmente intestato a terzi, ricade nella sfera di disponibilità effettiva dell’indagato o del condannato: il che può avvenire sia nella fase dell’acquisto (quando il bene viene acquistato formalmente ma fittiziamente da un terzo) che della vendita dei beni (l’indagato/imputato vende fittiziamente il bene ad un terzo, rimanendo il vero proprietario);
b) meccanismi di interposizione reale: allorquando l’interponente (indagato/imputato) trasferisce o intesta, ad ogni effetto di legge, taluni beni all’interposto, ma con l’accordo fiduciario sottostante che detti beni saranno detenuti, gestiti o amministrati nell’interesse del dominus e secondo le sue direttive, ossia tutte quelle situazioni in cui l’interposto ne è l’effettivo titolare erga omnes, purché legato da un rapporto fiduciario con l’interponente: Cass. 41051/2011 Rv. 251542;
c) meccanismi di segregazione del patrimonio la cui finalità è quella della gestione controllata dei patrimoni in essi conferiti e, quindi, della loro protezione: in tale categoria rientrano sia la costituzione del trust che del fondo patrimoniale che l’ordinamento, indubbiamente, consente in quanto rispondono ad interessi ritenuti meritevoli di tutela;
d) atti di alienazione di beni a mezzo dei quali l’indagato/imputato pone in essere atti non simulati in quanto il terzo acquista realmente il bene. È l’ipotesi che si verifica quando l’indagato/imputato, piuttosto che subire la confisca, preferisce alienare a terzi i beni, monetizzarli e, quindi, sottrarsi al provvedimento ablatorio.
A fronte di tali atti, l’ordinamento giuridico consente di porre nel nulla l’attività fraudolenta dell’indagato/imputato, sicuramente nelle ipotesi sub a) – b); a certe condizioni anche nelle ipotesi sub c): cfr infra; non è consentito, invece, aggredire, sia pure con un’azione di nullità ex artt. 1343-1344 cod. civ., gli atti sub d).
Ed infatti, tutta la normativa di settore (cfr da ultimo gli artt. 24-25-26 legge 159/2011) è inequivoca nell’indicare che i beni possono essere sequestrati (e poi confiscati) all’indagato/imputato solo se, al momento del provvedimento di sequestro o di confisca, ne abbia la disponibilità (così, testualmente, oltre che l’art. 322 ter cod. pen. anche l’art. 12 sexies L. 306/1992) laddove per disponibilità si deve intendere “disponibilità attuale”.
È proprio in tale ottica, infatti, che l’unico accertamento di natura “civilistico” che, nell’ambito del procedimento di sequestro/confisca, è ammissibile è quello che tende ad appurare se i beni che appartengono formalmente a terzi, siano o meno, in realtà, nell’attuale disponibilità dell’indagato/imputato: si tratta, com’è intuitivo, di un accertamento che costituisce l’ineludibile passaggio logico-giuridico prodromico al sequestro/confisca tant’è che, nei sequestri di prevenzione, l’art. 26 legge cit., dispone che il giudice dichiari la nullità degli atti di intestazione fittizia (quindi, solo per questa particolare nullità e non per altre nullità).
Dalla suddetta univoca normativa, si desume, pertanto, che i beni di cui l’indagato/imputato abbia fatto in tempo a spogliarsi cedendoli -realmente ed effettivamente – a terzi, sfuggono ad ogni azione “recuperatoria” del Pubblico Ministero quand’anche esercitata ex artt. 1343-1344 c.c. e finalizzata ad ottenere la nullità dell’atto frodatorio con ripristino ex tunc della situazione giuridica (rectius: rientro nel patrimonio del dante causa del bene ceduto con negozio nullo): la suddetta azione “recuperatoria” non è, infatti, consentita né dalla legge penale (che limita, come si è visto, l’azione ai soli casi in cui sia finalizzata a far dichiarare la nullità della simulazione assoluta) né da quella civile atteso che l’art. 69 cod. proc. civ. (nonché l’art. 75 dell’Ordinamento giudiziario R.D. 12/1941 e l’art. 2907 c.c.) consente al Pubblico Ministero di esercitare l’azione civile solo “casi stabiliti dalla legge” fra i quali non rientra l’azione diretta a far dichiarare la nullità ex artt. 1343-1344 c.c.: in terminis Cass. civ. 17764/2012.
È una scelta legislativa ben precisa con la quale il legislatore ha inteso salvaguardare sempre e comunque l’acquisto (non simulato) del terzo, e di fronte alla quale l’interprete, presone atto, non può che arrestarsi.
6. l’onere probatorio: il Pubblico Ministero – in quanto organo Statuale preposto alla tutela delle norme di interesse pubblico – con la richiesta di sequestro finalizzata alla confisca non fa altro che tentare di dare attuazione alle norme che, appunto, impongono la confisca dei beni nei confronti di quegli indagati/imputati che si sono resi colpevoli di alcuni determinati reati.
Il conflitto, quindi, che va in scena nel procedimento penale, è, da una parte, fra la pretesa “recuperatoria” del Pubblico Ministero che, agendo, tende a far rientrare il bene (apparentemente) uscito dalla disponibilità del debitore/indagato nel patrimonio di costui al fine di attuare la pretesa ablatoria dello Stato, dall’altra, dal tentativo del terzo che, invocando la sua buona fede, tende a conservare il bene pervenutogli dall’indagato-imputato sostenendo che il bene è realmente di sua proprietà.
Il principio base fondamentale che regola la distribuzione dell’onere probatorio è il seguente: incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicché possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio (ex plurimis Cass. 11732/2005 riv 231390, in motivazione – Cass. 3990/2008 riv 239269 – Cass. 27556/2010 riv 247722).
L’onere probatorio dell’accusa consiste unicamente nel dimostrare, anche e soprattutto attraverso presunzioni plurime, gravi, precise e concordanti, che quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono nella disponibilità dell’indagato “a qualsiasi titolo”, per disponibilità dovendosi intendere la relazione effettuale con il bene, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà (Cass. 22153/2013 Rv. 255950).
Infatti, il legislatore, ben conscio del conflitto fra la pretesa ablatoria dello Stato e il diritto del terzo che rivendica la proprietà dei beni ricevuti dell’indagato/imputato, negando, quindi, la simulazione sostenuta dal Pubblico Ministero, in un accorto sistema di bilanciamento fra i rispettivi interessi, ha stabilito che la prova, che spetta sempre a chi agisce, ben può fondarsi anche su presunzioni che sono le più svariate: a mò di esempio, senza alcuna pretesa di esaustività, e facendo ricorso alla casistica giurisprudenziale, si possono ricordare: a) la parentela e la convivenza fra il dante causa e l’avente causa, nonché rapporti di amicizia o di lavoro; b) la vicinanza temporale fra l’atto di spoliazione e il momento in cui il dante causa ha avuto la cognizione che, presto, i suoi beni sarebbero stati aggrediti dal Pubblico Ministero;
c) la mancanza di disponibilità economica da parte dell’avente causa che giustifichi l’acquisto a titolo oneroso; d) la circostanza che l’avente causa ha continuato ad avere la disponibilità di fatto del bene trasferito a terzi; e) la gratuità dell’atto ecc…
Ed infatti, se il meccanismo utilizzato è stato quello simulatorio (interposizione fittizia o reale), l’onere probatorio non può che consistere nella prova che l’indagato/imputato sia il reale possessore del bene e che il terzo non sia altro che la classica “testa di legno”.
7. il trust: non resta ora che verificare se e in che limiti i suddetti principi di diritto si applichino al trust che, come il fondo patrimoniale, è un tipico istituto di segregazione dei beni.
Per il fondo patrimoniale, la soluzione – e cioè la confiscabilità dei beni – è stata facilmente trovata. Infatti, si è osservato che “questa Corte ha più volte posto in rilievo che ben può il sequestro preventivo riguardare anche i beni costituenti il fondo patrimoniale familiare di cui all’art. 167 c.c., giacché appartenenti al soggetto che ve li ha conferiti (da ultimo, Sez. 3, n. 40364 del 19/09/2012, Chiodini, Rv. 253681; Sez.3, n. 6290 del 14/01/2010, Zurzetto, Rv. 246191; Sez. 2, n. 29940 del 27/06/2007,Rv. 238760). Si è sottolineato, sul punto, che non può rinvenirsi alcuna incompatibilità tra il sequestro preventivo e i regimi di particolare favore assicurati dalle leggi civili a taluni beni in ragione della loro natura o destinazione. Infatti, si è aggiunto, le norme civilistiche che definiscono la natura di taluni cespiti patrimoniali (artt. 169 e 1881 c.c.), ovvero disciplinano l’esecuzione coattiva civile (artt. 543 e 545 c.p.p.) riguardano esclusivamente la definizione della garanzia patrimoniale a fronte delle responsabilità civili, senza toccare in nulla la disciplina della responsabilità penale, nel cui esclusivo ambito ricade invece il sequestro preventivo”: Cass. 19099/2013 Rv. 255328.
Più delicata è la questione per il trust per le peculiarità giuridiche che lo caratterizzano.
Caratteristica fondamentale del suddetto istituto giuridico, è il trasferimento di beni ad un soggetto terzo, il trustee, per effetto del quale la posizione segregata diviene indifferente alle vicende attinenti sia al soggetto disponente sia al soggetto trasferitario. I beni trasferiti, pur appartenendo al trasferitario (trustee), non sono suoi: il diritto trasferito, non limitato nel suo contenuto, lo è invece nel suo esercizio, essendo finalizzato alla realizzazione degli interessi dei beneficiari. Questo meccanismo comporta che i creditori del settlor non possono soddisfarsi sui beni conferiti in trust perché essi sono nella proprietà del trustee; che i creditori del trustee non possono del pari soddisfarsi perché i beni sono oggetto di segregazione; che i creditori dei beneficiari possono soddisfarsi soltanto sulle attribuzioni che in pendenza di trust sono loro effettuate. Soltanto allo scioglimento del trust i creditori dei beneficiari potranno soddisfarsi su quanto è loro attribuito.
Infine, è importante rilevare che il trust è costituito dal disponente (nella specie l’indagato/imputato) con un atto unilaterale non recettizio (cfr art. 2 Convenzione Aia ratificata con legge n. 364/1989) che, nel caso di specie (trust famigliare) ha natura gratuita.
Si ponga anche attenzione alla circostanza che il trust può essere costituito anche a fini meramente simulatori: infatti, in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte, ha chiarito che “presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio”: ex plurimis Cass. 13276/2011 Rv. 249838; Cass. 21621/2014 riv 259748.
In tali ipotesi, è ovvio che l’onere probatorio gravante sul Pubblico Ministero è quello dei negozi simulati.
A tal proposito, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. n. 10105/2014), proprio al fine di evitare che il trust, in considerazione dei più svariati motivi per cui può essere costituito, possa diventare un facile strumento di elusione di norme imperative, ha chiarito che “[…] il programma di segregazione corrisponde solo allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessi attuato, la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepita da questa Corte (tanto da esimere da citazioni). Quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato invero al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: particolarmente rilevante in uno strumento estraneo alla nostra tradizione di diritto civile e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti all’elusione di norme imperative”: ivi, in motivazione, si legge un’accurata rassegna di casi di trusts che, per un motivo o altro, sono stati dichiarati illegittimi proprio perché costituiti per finalità frodatorie o comunque in violazione di norme imperative.
Ed è proprio a questa conclusione che questa Corte è pervenuta in un caso in cui confermò il sequestro conservativo di un trust ritenendo sufficiente la prova della semplice volontà di distrarre i beni: “l’immediato reimpiego delle ingentissime somme ricavate dalla vendita degli immobili della persona offesa attraverso il sofisticato strumento della costituzione di un Trust, fosse chiaro indice della volontà degli imputati di distrarre i beni”: Cass. 25520/2012.
È irrilevante, quindi, che l’indagato/imputato abbia costituito un trust, se quello strumento sia stato utilizzato al fine di sottrarre i beni alla confisca.
Non si può, infatti, né consentire né ammettere che il semplice utilizzo di un lecito istituto giuridico sia sufficiente ad eludere la rigida normativa prevista nel diritto penale a presidio di norme inderogabili di diritto pubblico.
Gli elementi che, infatti, si devono ben focalizzare, al di là del programma di segregazione, sono i seguenti:
– la struttura giuridica: il trust famigliare, come si è detto, è costituito dall’indagato con un semplice atto unilaterale non recettizio di natura gratuita a favore di stretti famigliari;
– l’effetto giuridico: il trust rientra fra i negozi fiduciari, così come l’interposizione reale in cui l’interposto – e cioè una terza persona – a seguito di un accordo fiduciario, amministra e gestisce i beni dell’indagato: l’analogia, mutatis mutandis, fra l’interposizione reale, per la quale è pacifica l’ammissibilità del sequestro dei beni amministrati dall’interposto, con l’effetto segregativo del trust, è evidente;
– le conseguenza pratiche e fattuali: a seguito della costituzione del trust famigliare, i beni dell’indagato/imputato restano comunque in ambito famigliare, sicché, continuano a rimanere nella sua “disponibilità” da intendersi in senso lato, non potendo su di essa far velo l’effetto giuridico creato dallo stesso l’indagato/imputato che si limita a spogliarsi del potere dispositivo sui beni.
Si rammenti, infatti, che, da sempre (sia nei processi civili che nei procedimenti di sequestro penali), l’atto gratuito a favore dei congiunti -tanto più se effettuato in tempi sospetti – è considerato l’elemento indiziario più significativo e di per sé sufficiente a fare ritenere la simulazione dell’atto, così come, nessuno mette in dubbio che anche l’interposizione reale (ossia un negozio fiduciario così come lo è il trust), una volta provata, rientri fra i casi in cui è ammessa la confisca.
8. il caso di specie: Non resta, ora, che verificare se il Tribunale si sia o meno attenuto ai suddetti principi di diritto.
Come si è detto, il Tribunale ha confermato il sequestro disposto dal giudice per le indagini preliminari, adducendo, a sostegno della simulazione, i seguenti elementi fattuali:
1) “se è vero che il trust risulta essere stato costituito nel 2007 (con conferimento da parte di L.M. del 90% delle quote della Beta srl, e da parte di La.Ma. del rimanente 10%), la modifica rilevante per escludere ogni potere di ingerenza del disponente è stata fatta in un periodo (febbraio 2011) da ritenere sospetto perché è immediatamente successivo al periodo finale di tutto il complesso meccanismo costituito dall’imponente opera di emissione di fatture per operazioni inesistenti e dall’attività distrattiva, e dopo gli accertamenti dell’agenzia delle entrate del 2010. Proprio alla fine dell’anno 2010 si registrava in aggiunta la c.d. scissione del gruppo Gesconet con la creazione di Gesco Centro (riconducibile a T.P. ) e Gesco Nord (riconducibile a L.M. )”: quindi, il Tribunale ha sostenuto che, sottesa alla costituzione del trust vi era la volontà fraudolenta dell’indagato di sottrarre i beni alla confisca attraverso un meccanismo di natura simulatoria, essendo stata la modifica rilevante (quella cioè a seguito della quale il L. dismise ogni potere di ingerenza) effettuata solo in periodo sospetto;
2) perché, dal preliminare stipulato fra la Beta s.r.l. e la Tina Immobiliare s.r.l. (con conseguente comodato a favore della Beta s.r.l.) e dalla successiva vicenda locatizia “possono ricavarsi concreti indici rivelatori del fatto che L.M. abbia continuato e continui ad esercitare una effettiva ingerenza sulla società Beta s.r.l. e, dunque, sul trust, e che tali beni siano pertanto a lui direttamente riconducibili” e ciò “In primo luogo perché alla data del 28.7.2011 (anche dopo la modifica del trust) legale rappresentante della società Beta srl era ancora La.Ma. , fratello di L.M. , detentore di quote di minoranza della società Beta srl, in secondo luogo perché dell’immobile ne ha poi beneficiato L.M. , che evidentemente si é ingerito e ha stimolato a suo vantaggio l’azione della Beta srl, al contrario di quanto sostenuto dalla difesa sul fatto che il trust (e quindi la società Beta s.r.l.), gestiva in maniera del tutto autonoma e separata i beni e l’attività a vantaggio dei figli, e non aveva alcun rapporto né con i L. né con i soci della società Beta srl.”: quindi, un bene di cui il L. aveva, di fatto, disposto pur non potendo essendo il suddetto bene nella disponibilità giuridica del trust.
In altri conclusivi e riassuntivi termini:
a) la costituzione di un trust che vede come beneficiari stretti famigliari: è lo stesso ricorrente che afferma che si tratta di un trust “di famiglia che ha per scopo quello di tutelare figli nati e nascituri, unici beneficiari”.
b) la natura gratuita dell’atto;
c) la natura di atto unilaterale non recettizio che esime il Pubblico Ministero anche dal provare l’intento fraudolento (l’accordo simulatorio fittizio o reale che sia) nei confronti dell’avente causa di un negozio bilaterale;
d) la natura di negozio fiduciario del trust, che lo assimila, mutatis mutandis, all’interposizione reale;
e) le conseguenza pratiche e fattuali: i beni di proprietà dell’indagato e soggetti a confisca, sono rimasti pur sempre in ambito famigliare;
f) il periodo in cui venne effettuata la modifica rilevante per escludere ogni potere di ingerenza del disponente;
g) la vicenda locatizia dell’appartamento detenuto dall’indagato; costituiscono univoci indici che, unitariamente valutati, fanno ritenere la motivazione nient’affatto apparente, come sostengono i ricorrenti.
Ed infatti, la motivazione addotta dal tribunale deve ritenersi incensurabile perché evidenzia una serie di elementi fattuali che rendono evidente la volontà meramente frodatoria (sotto il profilo della simulazione) di sottrarre i beni alla pretesa ablatoria dello Stato.
Pertanto, stante i limiti del ricorso in questa di legittimità (art. 325 cod. proc. pen.: solo vizi di legittimità), la censura deve rigettarsi con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.