Corte di Cassazione

1 Maggio 2019

Cass. Civ, Sentenza 24 luglio 2014, n. 16836

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 luglio 2014, n. 16836

Svolgimento del processo

D.C. proponeva opposizione avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate di Roma aveva accertato una plusvalenza di 120.000,00 euro a fini Irpef e relative addizionali, connessa alla cessione nell’anno 2002 di una licenza di taxi del Comune di Roma. Contestava inoltre la tassabilità del corrispettivo percepito per la cessione , non essendo riconducibile ad alcuna delle categorie di reddito previste dalla legge e non potendo in particolare equipararsi la cessione della licenza ad una cessione di azienda commerciale suscettibile di generare plusvalenza imponibile: l’attività non era invero qualificabile come esercizio d’impresa ma come lavoro dipendente, atteso che la licenza , seppure di sua proprietà era gestita dalla cooperativa, che raccoglieva gli incassi e provvedeva alla loro distribuzione tra i soci.

La CI P di Roma respingeva il ricorso, riconoscendo la tassabilità della plusvalenza realizzata con la vendita del taxi e la conseguente imponibilità del prezzo percepito per l’avviamento.

La CTR del Lazio, in accoglimento del gravame, annullava l’atto impugnato rilevando , in via preliminare, che l’avviso di accertamento era privo di qualsiasi riferimento normativo posto dall’Ufficio a fondamento del provvedimento.

Riteneva inoltre la carenza del presupposto impositivo, costituito dall’esercizio dell’attività d’impresa, posto che il contribuente risultava aver unicamente conseguito redditi da lavoro dipendente e rilevava l’assenza di qualsiasi elemento che consentisse di ritenere la congruità del corrispettivo di 120.000,00 curo accertato dall’Ufficio.

Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate affidato a tre motivi.

Il contribuente ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione dell’art. 42 Dpr 600/73 in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c. censurando la statuizione della CTR del Lazio che ha affermato la nullità dell’accertamento in quanto privo dell’indicazione delle norme applicate dall’Ufficio.

Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 2967 c.c. in relazione all’art. 360 n.3 c.p.c., censurando la statuizione della CTR del Lazio che, ravvisando un ulteriore profilo di illegittimità dell’accertamento, ha fatto discendere l’illegittimità del provvedimento impugnato dal l’inidoneità degli elementi utilizzati dall’Ufficio per determinare il valore della plusvalenza.

Con il terzo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta l’insufficiente ed illogica motivazione su un fatto controverso ex art. 360 n.5 c.p.c. in relazione al fatto che la CTR ha escluso che l’attività di tassista svolta dal contribuente fosse riconducibile all’esercizio di attività commerciale ed ha pertanto affermato che la cessione della licenza non può configurarsi come cessione di azienda.

Il primo motivo è destituito di fondamento.

E’ invero giurisprudenza consolidata di questa Corte quella secondo cui l’avviso di accertamento deve contenere, ex art. 42 comma 2 Dpr 600/73, l’indicazione non soltanto degli estremi del titolo e della pretesa impositiva, ma anche dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo giustificano, costituendone imprescindibile requisito di legittimità.

Tali elementi devono sussistere al fine di porre il contribuente in condizione di conoscere la pretesa impositiva in modo tale da consentirgli sia di valutare l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale, sia, in caso positivo, di contestare efficacemente l”an” e il “quantum” debeatur; essi, inoltre, devono essere forniti non solo tempestivamente (e dunque contenuti ab origine nel provvedimento) ma anche con quel grado di determinatezza ed intellegibilità che permetta all’interessato un esercizio non difficoltoso del diritto di difesa (Cass. 23009/2009 e Cass. 15842/2006).

Orbene se è vero che l’errata indicazione nell’atto impositivo della norma tributaria violata, non è, di per sé, causa di nullità dell’atto per inosservanza dell’obbligo di motivazione, nel caso di specie, si rileva non soltanto la mancata indicazione della norma violata ma anche la carenza nell’atto di accertamento di qualsiasi criterio normativo idoneo a giustificare il provvedimento.

Esso risulta dunque privo delle ragioni giuridiche che, come già evidenziato , costituiscono requisito imprescindibile della motivazione (Cass. n. 28968/08 e Cass.3257 del 2002).

Nel caso di specie l’Ufficio si è limitato ad affermare l’omessa indicazione di una plusvalenza derivante dalla cessione della licenza di taxi, senza peraltro precisare a quale delle ipotesi di “redditi diversi” specificamente determinate dall’art. 81 (ora 67) TUIR fosse riconducibile la cessione della licenza di taxi, omettendo di qualificare l’oggetto di tale negozio , ed in particolare di indicare se detta cessione configurasse, o dovesse ritenersi equiparabile, alla ¡cessione di azienda, e di effettuare alcun accertamento sulla natura dell’attività – imprenditoriale autonoma o subordinata -svolta dal contribuente.

Del pari generici risultano i criteri utilizzati dall’Ufficio per la determinazione presuntiva della plusvalenza, risultando unicamente indicata una comunicazione del Direttore Regionale del Lazio, senza l’allegazione di alcun concreto elemento riferito alla specifica situazione del contribuente in forza del quale poter desumere la congruità di detta determinazione.

Non risulta dunque che siano stati forniti al contribuente i necessari elementi conoscitivi in ordine all’”an” ed ai “quantum” della pretesa impositiva con quel grado di determinatezza ed intellegibilità necessari a consentirgli il consapevole esercizio del diritto di difesa (Cass. 23009/09).

Da ciò la nullità dell’atto per violazione dell’art. 42 Dpr 600/73.

La reiezione di tale motivo assorbe e rende superfluo l’esame degli altri motivi.

Il ricorso va dunque respinto e l’Agenzia delle Entrate va condannata alla refusione delle spese del grado, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Respinge il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle Entrate alla rifusione al contribuente delle spese del grado, che liquida in 4.100,00 euro oltre a rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ultimi articoli

Corte di Cassazione 25 Settembre 2023

Corte di Cassazione, II sezione civile, sentenza 26 luglio 2023, n. 22566

Famiglia: dopo la morte del marito, anche la moglie separata, ma senza addebito, può rimanere nella casa familiare in virtù del diritto di uso e abitazione.

Corte di Cassazione 25 Settembre 2023

Corte di Cassazione, III sezione civile, ordinanza 25 luglio 2023, n. 22250

Colpa professionale (1): è comunque il notaio che risarcisce la banca per l’ipoteca sbagliata e questo quand’anche l’istituto di credito poteva accorgersi dell’errore.

Corte di Cassazione 25 Settembre 2023

Corte di Cassazione, II sezione civile, ordinanza 13 luglio 2023, n. 20066

Divisione: configura donazione indiretta la rinuncia all’azione di riduzione da parte di un legittimario.

Corte di Cassazione 27 Luglio 2023

Corte di Cassazione, I sezione civile, sentenza 26 giugno 2023, n. 18164

Fondo patrimoniale: il giudice delegato non può acquisire al fallimento il fondo patrimoniale.

torna all'inizio del contenuto Realizzazione siti internet Campania