Cass. Civ, Sentenza 7 novembre 2014, n. 46137
CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 7 novembre 2014, n. 46137
Con ordinanza 14 marzo 2014, il tribunale di Parma ha rigettato la richiesta di riesame e ha confermato il sequestro conservativo, disposto il 18.2.2014 dal Gip del medesimo tribunale, di 6 fabbricati conferiti alla M.F. Trust, istituito il 7.2.2008, da G.A. indagato per i reati di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ad operazioni dolose, concorso in bancarotta fraudolenta documentale, concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, contestati in relazione al fallimento delle società G.G. & Figli spa e G.G. srl, il cui fallimento è stato dichiarato il 10.2.2012, nonché per il reato di calunnia.
Il tribunale ha ritenuto precluso il sindacato sul fumus boni iuris , a seguito dell’emissione del decreto di giudizio immediato in data 13.2.2014 , alla luce dell’orientamento giurisprudenziale che nell’analoga ipotesi di emissione di decreto di citazione a giudizio ha ritenuto non necessario un determinato collegamento tra il bene oggetto di sequestro e il reato ipotizzato, dato l’esclusivo fine di garanzia patrimoniale costituente uno dei presupposti della misura cautelare (sez. 2 n. 805 del 12.11.03, rv 227802); entrambi i decreti costituiscono modalità di esercizio dell’azione penale, che comporta l’assunzione di qualità di imputato ex art. 60 c.p.p. e la celebrazione di un giudizio di merito, condizione legittimante l’adozione del provvedimento di cautela patrimoniale.
Quanto alla pignorabilità dei beni, il tribunale ha condiviso l’esito dell’accertamento incidentale del Gip, sfociato nella declaratoria di nullità dell’atto costitutivo della M.F. Trust, considerato uno sham trust, come tale improduttivo dell’effetto segregativo connaturato all’istituto, alla luce della qualifica di trastee e di beneficiario (insieme ai familiari) rivestito dall’imputato, unitamente alla madre S.M.T.P., entrambi titolari originari dei beni conferiti.
Nell’interesse del G è stato presentato ricorso per i seguenti motivi :
1. violazione di legge in riferimento agli artt. 316, 325 c.p.p., 194 c.p., 11 della Convenzione sulla legge applicabile ai trust e sul loro riconoscimento, adottata all’Aja l’1.7.1985, 602 ss c.p.c.: sono stati sottoposti a sequestro beni in un procedimento avente ad oggetto reati ad essi non collegati, a tutela di crediti dello Stato non nei confronti del trust, ma dell’imputato. Secondo il ricorrente, il sequestro ha investito beni non pignorabili, in quanto il giudice penale può incidentalmente delibare l’invalidità/inefficacia degli atti istitutivi di un trust o di un altro soggetto giuridico, proprietario dei beni sequestrati -e non responsabile civile nel processo in corso- solo nelle ipotesi di accertamento di atti illeciti e del conseguente sequestro, ex art. 321 c.p.p., delle cose ad essi pertinenti; non può sequestrare a norma dell’art. 316 c.p.p. beni all’infuori di quelli di proprietà dell’imputato o del responsabile civile, essendo addirittura escluso- secondo la giurisprudenza (sez. 1 n.203163 dell’11.10.1995, fall. Bozzi) il sequestro di beni di un terzo ,allorché sia iniziata l’azione revocatoria ordinaria, ma la stessa non risulti ancora definita.
Secondo il ricorrente non sussistono le ipotesi di fatto legittimanti l’azione revocatoria ex artt. 192, 193, 194 c.p., né i beni possono essere oggetto di un’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., esercitabile sempre che non risulti già decorso il termine di prescrizione quinquennale (sul punto il ricorrente rileva che la persona offesa del reato ha esercitato l’azione revocatoria con esito negativo, perché il sequestro è stato ritenuto inapplicabile prima della conclusione dell’azione di merito).
Sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente afferma che il sequestro conservativo, in mancanza di una pronuncia di merito sull’inefficacia dell’atto di conferimento del bene e in difetto di alcun atto recente di disposizione in frode dei creditori, appare una scorciatoia giuridica e non uno strumento
di tutela dei crediti dello Stato, sorti a sei anni di distanza dagli atti dispositivi che si pretendono inefficaci .
Secondo il ricorrente, il sequestro conservativo è illegittimo perché riguarda beni impignorabili a norma dell’art. 11 della Convenzione dell’Aja 1.7.1985 in materia di trust:, la cui costituzione produce la segregazione del patrimonio conferito. Ne deriva che, prima dell’esperimento vittorioso di un’azione che accerti e dichiari la simulazione del trust, o che ne revochi i conferimenti, non è possibile aggredire pignorandoli e quindi anche sequestrandoli, i beni facenti parte del patrimonio segregato.
2. violazione di legge in riferimento all’art. 2 della Convenzione dell’Aja 1.7.1985: i giudici hanno incidentalmente ritenuto invalido/inefficace il trust in ragione di una coincidenza tra disponente e beneficiario del trust medesimo. Pur dando per ammesso questo profilo di merito ,deve rilevarsi che tale deduzione viola l’art. 2 u.co. della suddetta Convenzione, secondo cui “il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza del trust.” Pertanto, il tribunale aveva l’onere, non adempiuto, di dimostrate specificamente la ragione per cui, pur avendo il disponente mantenuto alcuni diritti propri del beneficiario, tale trust risulterebbe inesistente.
Tale onere dimostrativo presuppone un accertamento complesso, proprio di una causa di merito in contraddittorio e non certo compatibile con il rito sommario della misura cautelare applicata dal giudice penale.
Il ricorso non merita accoglimento.
Risulta l’assoluta mancanza di una base normativa e/o di una giustificazione razionale in ordine alla tesi del ricorrente secondo cui, nel caso in esame, sussiste l’esigenza dell’esperimento vittorioso di un’azione che accerti e dichiari la simulazione del trust M.F.Trust, o che ne revochi i conferimenti, rendendo così possibile, all’esito vincente della predetta azione, pignorare e quindi anche sequestrare i beni facenti parte del patrimonio segregato.
Dalle indagini preliminari è infatti risultata la piena trasparenza della finalità elusiva (e quindi la superfluità di apposito accertamento giudiziale, nel contesto del procedimento incidentale) della costituzione del trust. Tale operazione è stata posta in essere in maniera evidente come mero espediente per creare un diaframma tra patrimonio personale e proprietà costituita in trust, con evidente finalità elusiva delle ragioni creditorie di terzi, comprese quelle erariali.
Infatti è stato accertato che
a. la M.F. Trust è stata costituita con atto istitutivo depositato presso l’ufficio delle entrate di Parma, in cui G.A. e la madre S.M.T.P. assumevano la qualifica di disponenti e di trustee (amministratori);
b. tale costituzione è avvenuta in un contesto temporale in cui le società fallite, G.G. e G.G., delle quali il G. era amministratore, si trovavano in una situazione di dissesto, occultato dallo stesso ricorrente, in concorso con altre persone, in primo luogo con il figlio F.);
c. i beneficiari del M.F. Trust venivano indicati nella famiglia dei signori S.M.T.P. e G.A. e i suoi componenti anche se residenti in luoghi diversi ed i loro discendenti in linea retta;
d. la durata era determinata a partire da “oggi (data della costituzione del trust) fino alla morte di tutti i beneficiari nominati con il presente atto istitutivo e, comunque, per un periodo non superiore a cinquanta anni da oggi, ovvero se antecedente, la durata massima prevista dalla legge regolatrice;
e. i sei beni immobili sono stati ceduti con atto del 7.3.2008 al trust, da G.A. e dalla madre P.T.S.M.;
f. in data 21.12.2012 il M.F. Trust è stato trasferito in Romania, nella provincia di Costanza.
La piena legittimità del provvedimento cautelare, diretto su beni su cui era stato creato un fittizio diaframma, emerge in maniera incontestabile alla luce del consolidato orientamento interpretativo (sez. 5, n. 13276 del 24.10.2011, rv 249838) secondo cui che il trust, tipico istituto di diritto inglese, si sostanzia nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale “proprietario ” (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio.
Tale situazione di mera apparenza, che sul versante civilistico sarebbe causa di radicale nullità, è stata correttamente valutata dal giudice della cautela, per concludere che, al di là delle forme, il G., trustee (cioè amministratore) egli stesso, continuava ad amministrare i beni, conservandone la piena disponibilità (oltre ad essere, insieme alla madre e ai familiari, beneficiario).
Il tribunale del riesame ha anche correttamente richiamato la giurisprudenza civile (sez.2,/28363 del 22/12/2011, Rv.620632) secondo cui, nel rapporto giudico del trust, va riconosciuto il ruolo di primario protagonista al trustee: questi, nei rapporti con i terzi, agisce non come rappresentante del trust (che è privo di autonoma personalità giuridica) , ma come soggetto che dispone del diritto (e, in quanto tale, nell’ipotesi di sanzioni amministrative relative alla circolazione stradale di un veicolo appartenente ad un trust – in applicazione dell’art. 2, comma 2, lett. b, della legge 16 ottobre 1989, n. 364 -recante la ratifica ed esecuzione della convenzione sulla legge applicabile ai “trusts” e sul loro riconoscimento, adottata a L’Aja il 1 luglio 1985- – assume la posizione di intestatario formale dell’autovettura e quindi di obbligato in solido con l’autore della violazione).
Alla luce dell’accertato comportamento sleale del G., è da ritenere pienamente legittimo il sequestro conservativo degli immobili (il cui valore catastale è di circa € 557.582), disposto sulla base di un giustificato giudizio prognostico negativo in ordine alla conservazione delle garanzie patrimoniali del debitore, nei confronti dello Stato, che ha dovuto sostenere spese estremamente rilevanti € 955.000 per la consulenza tecnica disposta dal P.M.) essendo, invece, irrilevante che i beni siano pertinenti ai reati contestati.
Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.