Cass. Civ., Sez. I, sentenza 10 maggio 2017 n. 11449
Corte di Cassazione, I sezione civile, sentenza 10 maggio 2017, n. 11449
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Lecce Sez. distaccata di Taranto ha respinto il gravame della F. s.p.a., procuratrice speciale di Commercio e Finanza s.p.a., avverso la sentenza con cui il Tribunale, su domanda del curatore del fallimento della T. V. s.r.I., aveva tra l’altro dichiarato la nullità del contratto in data 19 maggio 2005, con il quale la società fallita, all’epoca in bonis, aveva venduto a Commercio e Finanza s.p.a. un immobile in Taranto dopo avere in precedenza, con atto del 17 marzo 2005, stipulato con la medesima società un contratto di leasing relativo al medesimo immobile. La Corte, qualificata la complessiva operazione come sale and lease back, ha ritenuto che essa violasse il divieto di patto commissorio (art. 2744 c.c.), atteso che nello stesso atto di vendita si precisava che l’immobile veniva acquistato “al solo scopo di concederlo in locazione finanziaria alla Soc. T. V. s.r.l.”, e dunque era palese lo scopo di garanzia come causa del contratto; che il prezzo di acquisto – C 280.000.000,000 – era sproporzionato rispetto al valore stimato del bene nel bilancio al 31 dicembre 2003 della società venditrice, pari ad C 752.530,55; che era nota alla società acquirente lo stato di insolvenza in cui versava la venditrice.
2. La società soccombente – ora Commercio e Finanza Leasing & Factoring s.p.a. – ha proposto ricorso per cassazione con un solo motivo, cui ha resistito con controricorso e memoria la curatela intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, si deduce la mancanza del presupposto di illegittimità, per violazione del divieto di patto commissorio, del contratto – in sé lecito – di sale and lease back, costituito dalla preesistenza di un debito del venditore-utilizzatore nei confronti dell’acquirente-concedente, non potendosi la sussistenza di un siffatto debito argomentare, come invece ha fatto la Corte d’appello, dal leasing stipulato il 17 marzo 2005, poiché questo aveva per oggetto il medesimo immobile e decorrenza dalla stipula della vendita. La ricorrente censura, altresì, l’accertamento della sussistenza della sproporzione del valore dell’immobile rispetto al prezzo di vendita e della conoscenza dello stato di insolvenza della società venditrice da parte della società acquirente.
2. La complessiva censura non può trovare accoglimento. Questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che il contratto di sale and lease back, pur configurando in sé un’operazione negoziale che non può ritenersi necessariamente preordinata alla fraudolenta elusione del divieto stabilito dall’art. 2744, cod. civ., tuttavia viola tale divieto qualora, per le circostanze del caso concreto – difficoltà economiche dell’impresa venditrice, che giustificano il sospetto di un approfittamento della sua condizione di debolezza, sproporzione tra il valore del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente – l’operazione riveli una finalità in contrasto con esso (Cass. 06/08/2004, n. 15178; 21/07/2004, n. 13580; 22/04/1998, n. 4095; 16/10/1995, n. 10805).In questo quadro, la preesistenza di una situazione debitoria del venditore-utilizzatore nei confronti del compratore-concedente, evidenziata nella massima di Cass. 14/03/2006, n. 5438, richiamata dalla ricorrente, non è rilevante in quanto tale, ma soltanto come una delle possibili manifestazioni della situazione di difficoltà economica costituente, essa sì, uno degli indici rivelatori della finalità elusiva del divieto di patto commissorio in concreto perseguita dagli stipulanti.
Nella specie, tale situazione è argomentata dalla Corte d’appello con il riferimento, più che a preesistenti debiti della società venditrice verso la società acquirente, al vero e proprio stato di dissesto economico della stessa.
Le censure, infine, degli accertamenti di fatto relativi alla sproporzione tra prezzo di vendita dell’immobile e suo effettivo valore e alla conoscenza del dissesto di T. V. s.r.l. da parte di Commercio e Finanza s.p.a., non superano la soglia delle pure e semplici critiche di merito, in quanto tali inammissibili in questa sede.
3. Il ricorso va in conclusione respinto. Le spese processuali, liquidate come in dispositivo,seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del fallimento controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in C 200,00 ed agli accessori di legge.