Cass. Civ., Sez. I, Sentenza 3 giugno 2014, n. 12370
CORTE DI CASSAZIONE – Civile, Sezione I, Sentenza 3 giugno 2014, n. 12370
Svolgimento del processo
Con sentenza in data 4.6.2004 il Tribunale di Pavia, in accoglimento delle domande proposte da R.R. , socio della Calcestruzzi s.r.l., nei confronti della società stessa e dei soci R.G. , Re.Gr. , C.C. , R. , S. e M.G. (quali eredi di R.L. ), dichiarò, da un lato, l’invalidità delle delibere assembleari del 22.2.2001 (di nomina del rappresentante comune nella persona di R.G. degli eredi contitolari della quota di M.F. ), del 28.2.2001 (di nomina di R.G. quale liquidatore) e del 12.3.2001 (di revoca della liquidazione, proroga della data di scadenza della società e ampliamento dell’oggetto sociale); dall’altro, la inefficacia, per violazione del diritto di prelazione previsto dall’art. 7 dello Statuto sociale, dell’atto, iscritto nel Libro soci il 20.11.2000, di cessione da R.G. a C.C. di quota sociale del valore nominale di Euro 5422,80, limitatamente al 50% (Euro 2.711,40) ritenuto spettante all’attore R.R. , che trasferiva a quest’ultimo subordinatamente al pagamento in favore della C. della corrispondente parte-determinata in Euro 47.772,26 – del corrispettivo convenuto per la cessione.
Proponevano appello R.G. e C.C. – cui resisteva R.R. proponendo anche appello incidentale – nel quale censuravano le sole statuizioni relative alla inefficacia della suddetta cessione di quota sociale, lamentando: a)l’erroneo rigetto della eccezione di difetto di giurisdizione dell’Autorità giudiziaria ordinaria in relazione alla clausola compromissoria inserita nell’art.26 dello Statuto sociale; b) in via subordinata, l’erronea declaratoria di inefficacia della cessione; c) in via ulteriormente subordinata, l’erroneo accoglimento della domanda di riscatto, e comunque l’erronea suddivisione delle quote oggetto di cessione.
La Corte di Milano, con sentenza depositata il 12 ottobre 2007 e notificata il 30 gennaio 2008, ha, in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettato la domanda di riscatto proposta da R.R. , compensando tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio. Ha in sintesi rilevato la Corte: a) che merita conferma l’inoperatività, ritenuta dal primo giudice, della clausola compromissoria di cui all’art. 26 dello Statuto – avente all’epoca struttura “binaria”, in quanto devolveva la controversia alla decisione di tre arbitri, due dei quali da nominare da ciascuna delle parti ed il terzo, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale – ad una controversia, quale quella sulla violazione del diritto di prelazione, che coinvolge le posizioni di più parti sostanziali; b) che, con il solo limite (qui non ricorrente) dei trasferimenti “endofamiliari” precisati nell’art. 7 dello Statuto, la clausola di prelazione si applica non solo ai trasferimenti in favore di estranei ma anche tra soci, tutelando anche l’interesse al mantenimento delle rispettive posizioni patrimoniali all’interno della società; c) che l’inserimento del patto di prelazione nello Statuto attribuisce a tale clausola efficacia “reale”, nel senso che la rende opponibile anche al terzo acquirente; d)che, confermata quindi la declaratoria di inefficacia della cessione, deve invece ritenersi esclusa la possibilità di R.R. di riscattare la quota alienata in violazione della prelazione, perché il riscatto è rimedio eccezionale, non suscettibile di applicazione oltre i casi espressamente previsti dalla legge, non estensibili alla prelazione societaria che ha natura convenzionale e non legale; e perché la clausola prevede che il diritto di prelazione sia esercitato da parte di tutti i soci ed in proporzione delle rispettive quote (salvo il caso di rifiuto da parte di alcuni entro il termine previsto, decorrente dall’invio dell’offerta) onde consentire di mantenere invariata la consistenza della propria partecipazione sociale, e tale ratio sarebbe violata ove il diritto di riscatto fosse esercitato da un solo socio, come nella specie; c) che la domanda di risarcimento del danno, nella quale R.R. insisteva con appello incidentale, era stata rettamente rigettata dal primo giudice, in difetto-non colmabile con una consulenza tecnica – di deduzioni e riscontri probatori in ordine al danno, tenendo presente che la mancanza nella specie dei presupposti di cui all’art. 1226 cod.civ. circa l’impossibilità – o la rilevante difficoltà – di provare l’ammontare preciso del danno preclude il ricorso alla valutazione equitativa.
Avverso questa sentenza R.R. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resistono R.G. e C.C. con controricorso e ricorso incidentale per un motivo-illustrato anche da memoria ex art. 378 c.p.c. – al quale a sua volta resiste R.R. con controricorso.
Motivi della decisione
1. I due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, debbono essere riuniti a norma dell’art.335 cod.proc.civ..
2. Occorre innanzitutto esaminare il ricorso incidentale, con il quale R.G. e C.C. censurano, sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 808 c.p.c.) e sotto quello del vizio di motivazione, il rigetto della loro eccezione di difetto di giurisdizione in relazione alle domande aventi ad oggetto la violazione del diritto di prelazione, che insistono nel ritenere devolute ad arbitri dalla clausola compromissoria contenuta nell’art. 27 dello statuto sociale della Calcestruzzi s.r.l. Sostengono che la struttura “binaria” di tale clausola non è incompatibile con la pluralità dei soggetti coinvolti nella controversia, tenendo presente che la nozione di parte va assunta nella accezione di centro di imputazione di interessi; e che, una volta esclusa la attribuzione alla Calcestruzzi s.r.l. della qualità di parte nella controversia sulla cessione di quota sociale, i centri di interesse coinvolti si polarizzano in due soli gruppi sostanzialmente omogenei, rispettivamente il ricorrente R.R. che intende esercitare la prelazione ed essi controricorrenti che hanno interesse a conservare il negozio di cessione.
2.1. La doglianza è infondata. È vero che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte di legittimità, deve escludersi una incompatibilità, in via di principio, tra clausola compromissoria binaria e pluralità di parti, richiedendosi piuttosto, ai fini della compatibilità, che si sia in effetti realizzato lo spontaneo raggruppamento degli interessi in gioco in due gruppi omogenei e in concreto contrapposti. Tuttavia, secondo la stessa giurisprudenza richiamata, occorre anche che la specifica lite concretamente promovenda avanti al collegio arbitrale sia di per sé compatibile con la clausola: ove invece la pretesa azionata introduca, secondo la generale ed astratta previsione del legislatore, un litisconsorzio necessariamente caratterizzato dalla presenza di più di due centri autonomi di interesse, non riconducibili a detta previsione bipolare, resta irrilevante ogni eventuale coincidenza delle posizioni difensive di parti contrapposte, derivante da valutazioni contingenti estranee alla struttura ed alla regolamentazione normativa della pretesa stessa, incontrando l’autonomia delle parti il limite della fattispecie legale (cfr. tra molte: Cass. n. 2983/88; n. 14788/07; n. 1090/14).
2.2. La corte di appello ha correttamente applicato tali principi, avendo rilevato la presenza di una pluralità di parti, ciascuna portatrice di specifici interessi tra di loro confliggenti. Né vale opporre che la società resta estranea ad una controversia avente ad oggetto il contratto di cessione delle quote sociali, perché qui non è della cessione in sé che si controverte, ma della violazione della clausola statutaria di prelazione. Clausola il cui inserimento nell’atto costitutivo assume il chiaro significato di attribuire ad essa – al pari di qualsivoglia altra pattuizione riguardante posizioni soggettive individuali dei soci che venga iscritta nello statuto dell’ente – anche un valore rilevante per la società, la cui organizzazione ed il cui funzionamento l’atto costitutivo e lo statuto sono destinati a regolare. In tal modo, la clausola assume anche (oltre alla funzione di regolare le posizioni soggettive di soci o di terzi ai quali la società, in quanto tale, resti estranea) una rilevanza organizzativa, ovvero una funzione specificamente sociale, venendo ad incidere sul rapporto tra l’elemento capitalistico e quello personale della società, nel senso di accrescere il peso del secondo elemento rispetto al primo nella misura che i soci ritengano di volta in volta più adatta alle esigenze dell’ente. È sulla base di tali considerazioni che la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte (cfr. tra molte: Sez. 1 n. 691/05; n. 12012/98; n. 7614/96; n.7859/93) riconosce nella clausola statutaria di prelazione-accanto al carattere pattizio, connesso con l’interesse individuale dei soci stipulanti – il carattere sociale dell’interesse (organizzativo) sotteso alla clausola stessa, che è evidentemente proprio della società come tale e trascende l’interesse individuale di ciascuno dei soci. Tale natura di regola organizzativa, del resto, costituisce la ragione per la quale si afferma che gli effetti della clausola statutaria di prelazione siano opponibili anche al terzo acquirente: perché, appunto, si tratta di una regola del gruppo organizzato alla quale non potrebbe non sottostare chiunque volesse entrare a far parte di quel gruppo.
2.3. Pertanto, anche ad ammettere che cedente e cessionario costituiscano, nella presente controversia, una parte sostanzialmente unica quale centro unitario di imputazione di interessi, dovrebbe aggiungersi non solo il socio pretermesso ma anche, alla stregua della sopra indicata valutazione della natura intrinseca della domanda stessa, la società in quanto portatrice di un proprio interesse autonomo e distinto da quello individuale dei soci. Sicché la lite acquista una consistenza almeno tripolare, ostativa alla applicabilità del meccanismo binario di nomina degli arbitri. Il rigetto del ricorso incidentale ne deriva di necessità.
3. Con il primo motivo del ricorso principale R.R. censura, sotto il profilo della violazione di norme di diritto (artt. 12 preleggi, 732, 2479 cod.civ. nel testo ante riforma del 2003, e occorrendo art. 2469 cod.civ. nella formulazione attuale) e sotto quello del vizio di motivazione, la ritenuta esclusione del diritto di riscatto in caso di violazione del diritto di prelazione previsto dall’art.7 dello statuto, nel testo all’epoca vigente. La clausola così disponeva: “Le quote sociali sono divisibili e liberamente trasferibili mortis causa. In caso di trasferimento delle quote, o di parte di esse, per atto tra vivi, sarà riservato a favore degli altri soci il diritto di prelazione a prezzo da convenirsi, o in difetto draccordo da stabilirsi da tre arbitri scelti uno per parte ed il terzo dai due prescelti od in caso di loro disaccordo dal Presidente della CCIA di Pavia. La rinunzia al diritto di prelazione, espressa o presunta nel caso di mancata risposta nel termine di 30 giorni dall’invio dell’offerta da farsi mediante lettera raccomandata, darà diritto al socio di cedere liberamente la sua quota a terzi. Il trasferimento dovrà comunque avvenire entro 30 giorni dalla rinunzia al diritto di prelazione. La società non potrà prendere nota nei propri Libri di alcun trasferimento di quote per atto tra vivi a terzi, se non sia data la prova del pieno rispetto delle condizioni sopra precisate. La procedura di cui sopra non sarà necessaria qualora il trasferimento anche in parte della quota sociale avvenga a favore del coniuge o di parenti in linea retta del cedente, nel qual caso il trasferimento è libero”.
Deduce il ricorrente: a)che il riscatto non costituisce rimedio eccezionale, stante la frequenza con cui è previsto nelle ipotesi di prelazione legale (art. 732 cod.civ., legge n. 392/78, legge n. 590/65) e l’identità di ratio sottesa a tali previsioni, quella cioè di apprestare tutela a interessi riconosciuti superiori all’interesse del proprietario alla libera scelta della controparte contrattuale, ratio ricorrente anche nella clausola statutaria prevedente il diritto di prelazione a favore dei soci; b)che dunque il disposto dell’art.12 delle preleggi non preclude la applicazione analogica nella specie della previsione del riscatto a favore dei coeredi contenuta nell’art.732 cod.civ., tanto più che secondo un’opinione dottrinaria alla prelazione societaria andrebbe riconosciuta natura legale, considerando che l’art. 2479 cod.civ. (ante riforma) prevedeva l’alternativa paritetica tra la libera circolazione e la limitazione, rimessa alla scelta dei privati; e)che d’altra parte nulla vieta che, nell’inerzia degli altri soci nell’esercizio del diritto di prelazione o di riscatto (come nel caso in esame, in cui gli altri soci si erano astenuti da tale esercizio pur essendo stati posti in grado di farlo con la notifica della citazione, restando piuttosto contumaci), l’unico socio che tali diritti eserciti acquisisca l’intera quota negoziata in violazione della prelazione.
3.1. Tali assunti, pur traendo spunto da un effettivo dibattito dottrinale e giurisprudenziale (che del resto la sentenza impugnata non disconosce), non sono tuttavia condivisi dal Collegio, giacché non superano l’obiezione fondamentale secondo la quale l’art.2479 cod.civ., nel testo applicabile nella specie (“Le quote sono trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell’atto costitutivo”), non prevede né conforma il diritto di prelazione, bensì consente il patto di prelazione: il diritto la cui violazione l’odierno ricorrente lamenta non ha cioè fonte legale, bensì negoziale, e in tale ambito (alla stregua delle norme di legge, generali e speciali, che lo regolano) trova la sua conformazione. Ne deriva che alla inopponibilità – cui fa riferimento la clausola statutaria sopra trascritta -, nei confronti della società e dei soci titolari del diritto di prelazione, della cessione della partecipazione sociale conclusa in violazione delle disposizioni statutarie, si aggiunge – alla stregua delle norme generali sull’inadempimento delle obbligazioni – l’obbligo di risarcire il danno eventualmente prodotto dalla violazione stessa, non anche il diritto potestativo di riscattare la partecipazione nei confronti dell’acquirente. Tale diritto non costituisce invero rimedio generale in caso di violazione di obbligazioni contrattuali, bensì una forma di tutela specificamente apprestata dalla legge nel conformare i diritti spettanti ai titolari di diritti di prelazione che essa stessa prevede. Non vi è dunque spazio per ricorrere ad un’applicazione analogica, nella fattispecie in esame, del diritto di riscatto previsto dall’art.732 cod.civ. a favore dei coeredi: ciò anche in considerazione del fatto che, oltre i confini oggettivi stabiliti dalla convenzione statutaria limitativa, opera la regola generale, posta dall’art. 2479 cod.civ., della libera trasferibilità della quota sociale (cfr. Cass. Sez. 1 12.1.1989 n. 93).
Per tali assorbenti considerazioni, il rigetto del motivo si impone.
4. Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c.: la Corte distrettuale avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata proposta da esso ricorrente ex art. 2932 cod.civ., e ribadita anche in appello.
4.1. Dall’esame degli atti del giudizio – che l’oggetto della censura consente – risulta che l’odierno ricorrente non ha formulato autonoma domanda ex art. 2932 cod.civ., avendo, nelle conclusioni precisate in primo grado e in appello, dichiarato che egli, pur in ragione delle quote sociali per le quali è iscritto nel libro soci, intende procedere al riscatto delle quote negoziate in violazione del diritto di prelazione anche attraverso l’applicazione dell’art. 2932 cod.civ.”. Alla domanda di riscatto così formulata la Corte distrettuale ha risposto negativamente sulla base di motivazioni in diritto che ha implicitamente ritenuto idonee ad escluderne la fondatezza anche sotto il profilo di diritto attinente alla applicazione dell’art. 2932 cod.civ. La sentenza invero ha motivato il rigetto non solo facendo riferimento alla natura convenzionale (e non legale) della prelazione societaria, “ma soprattutto perché il riscatto esercitato da un solo socio violerebbe nuovamente lo spirito della clausola stessa la quale prevede che tale diritto sia esercitato dai soci tutti ed in proporzione delle rispettive quote in modo da consentire di mantenere invariata la consistenza della propria partecipazione sociale; solo nel caso di rifiuto da parte di uno dei soci entro il termine previsto dallo statuto gli altri potranno acquistare la quota in proporzione ovviamente maggiore”. La Corte distrettuale ha dunque ritenuto contrario alla ratio della clausola di prelazione l’esercizio da parte di uno solo dei soci del diritto stesso, e tale motivazione appare in effetti idonea ad investire, sia pure implicitamente, la domanda di riscatto nella sua unitaria estensione delineata dall’odierno ricorrente; il quale, del resto, non ha formulato in ricorso una specifica censura in ordine a tale idoneità. Il rigetto della doglianza di omessa pronuncia ne deriva dunque di necessità.
5. Con il terzo motivo del ricorso principale R.R. censura, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art.1226 cod.civ.) e sotto quello del vizio di motivazione, il rigetto dell’appello incidentale da lui proposto avverso il rigetto della domanda di risarcimento del danno; del quale aveva chiesto la liquidazione in via equitativa e comunque non inferiore alla somma di Euro 47.772,26 (pari alla metà del corrispettivo pagato dalla C. a R.G. per la cessione), salva la miglior valutazione da effettuarsi tramite consulenza tecnica d’ufficio. La Corte distrettuale ha ritenuto, da un lato, l’assenza di riscontri probatori, non colmabile mediante c.t.u., dall’altro il difetto del presupposto per una valutazione equitativa a norma dell’art. 1226 cod.civ., costituito dalla impossibilità di provare l’ammontare del danno. Il ricorrente sostiene invece l’applicabilità nella specie dell’art. 1226 cod.civ., in quanto la violazione della clausola di prelazione comporterebbe in re ipsa un danno per il socio pretermesso (che vede violato il proprio diritto ad essere preferito e a mantenere – o incrementare – la propria partecipazione), e quindi costituirebbe all’evidenza un’ipotesi di impossibilità, o notevole difficoltà, di quantificazione precisa di tale danno.
5.1. Va tuttavia osservato, in primo luogo, che la scelta da parte del giudice del merito di avvalersi, o non, del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, e quindi l’accertamento in ordine alla sussistenza, o non, del relativo presupposto sopra indicato, sono il frutto di un giudizio di fatto, non sindacabile in sede di legittimità se correttamente motivato (cfr. tra molte: Cass. n. 23233/13; n. 17198/13; n. 6285/04; n. 4788/01). Nel caso in esame, la critica alla motivazione della statuizione negativa si sostanzia nella sola affermazione della tesi secondo la quale la violazione della clausola statutaria di prelazione comporterebbe sempre un danno per il singolo socio avente diritto alla prelazione: tesi indimostrata, e che del resto non può basarsi sulla funzione organizzativa della clausola violata, dal momento che tale funzione corrisponde ad un interesse sociale, laddove il risarcimento del danno in favore del singolo socio presuppone che sia dal medesimo allegato, prima ancora che provato, un suo specifico interesse all’acquisto rimasto pregiudicato dalla condotta violativa. Solo in presenza di una congrua allegazione di tale pregiudizio specifico – che nella specie non risulta effettuata -, potrebbe porsi l’esigenza di una verifica in ordine alla impossibilità – o notevole difficoltà – di una precisa quantificazione del danno, sì da giustificare il ricorso alla liquidazione equitativa alla stregua del disposto dell’art.1226 cod.civ. La doglianza non merita dunque accoglimento.
6. Infine con il quarto motivo il ricorrente censura, sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 92 c.p.c.) e sotto quello del vizio di motivazione, la statuizione relativa alla compensazione integrale delle spese di entrambi i gradi del giudizio di merito, motivata dalla Corte di merito con riferimento alla “natura della causa, al dibattito aperto in dottrina sulle questioni prospettate con argomentazioni puntuali, e all’esito del giudizio”. Deduce che il giudizio riguardava anche la invalidità delle delibere assembleari, che il primo grado aveva visto soccombenti tutti i convenuti, e che l’appello era stato accolto con riguardo ad un solo motivo. 6.1. Va tuttavia osservato: a)che nella specie deve applicarsi l’art. 92 comma 2 cod.proc.civ. nel testo anteriore alle modifiche introdotte non solo dalla legge n. 69/2009 ma anche dalla legge n. 263/2005, queste ultime da applicarsi ai giudizi instaurati dopo la data del 1 marzo 2006, laddove il presente giudizio è iniziato in primo grado nel 2001, ed in appello nel 2005; b)che la norma da applicarsi è stata interpretata nel senso che la sussistenza di giusti motivi per la compensazione delle spese rientra nella valutazione discrezionale del giudice di merito e non è quindi sindacabile in sede di legittimità, sempre che non risulti violato il divieto di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa, o che non siano addotte ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale del giudice di merito; c) che né l’una né l’altra delle ipotesi enunziate sussiste nella specie: da un lato, il ricorrente non risulta totalmente vittorioso da un esame complessivo dell’esito dell’intero giudizio di merito, dall’altro la scelta discrezionale di compensare tra le parti le spese di tale giudizio risulta sorretta da motivazione che non appare palesemente illogica, inconsistente o erronea.
7. Si impone pertanto il rigetto di entrambi i ricorsi proposti, con la conseguente compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.