Corte di Cassazione

23 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. I, sentenza 7 aprile 2017 n. 9063

Corte di Cassazione, I sezione civile, sentenza 7 aprile 2017, n. 9063

FATTI DI CAUSA

1. — Con citazione notificata il 23 febbraio 1998 Credito Emiliano s.p.a. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Modena, R. L. e P.S..

Deduceva l’attrice che ai convenuti era riferibile un rapporto di apertura di credito per originarie £ 100.000.000 elevato, nel tempo, fino a £ 1.400.000.000 e in uso per £ 1.436.427.108: apertura di credito accordata cumulativamente e disgiuntivamente ai convenuti e a R. G.; assumeva che i convenuti erano inoltre titolari di un rapporto di deposito titoli in custodia recante un controvalore di £ 2.576.872.975, mentre altro rapporto di deposito di titoli, per £ 536.196.331, era intestato a R. G..

Quest’ultimo — era esposto della citazione — era rispettivamente padre e marito dei convenuti ed era deceduto il 5 novembre 1997.

Nell’atto introduttivo del giudizio era dedotto che L. R. e P.S. avevano disconosciuto le sottoscrizioni da loro apposte in calce alle richieste di aumento dell’apertura di credito successive a quella iniziale e che gli stessi convenuti avevano richiesto la liquidazione del deposito titoli loro intestato, dedotta la somma di £ 100.000.000. La banca assumeva di essere legittimata, in base alla convenzione di conto corrente, a compensare le ragioni creditorie del conto con quelle debitorie dipendenti da altri rapporti e domandava che, previo accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte sulle richieste di aumento dell’apertura di credito, il Tribunale dichiarasse che i convenuti erano suoi debitori, jure proprio ovvero jure successionis, per l’esposizione del conto corrente e che, inoltre, essa attrice aveva diritto di operare la compensazione di tale debito con il credito derivante dal conto deposito titoli di cui si è detto.

I convenuti si costituivano in giudizio operando il disconoscimento delle firme apposte sui moduli per la richiesta di ampliamento dell’apertura di credito e chiedendo il rigetto delle domande di controparte o, in subordine, l’accoglimento delle stesse nei limiti del saldo attivo dell’eredità beneficiata: in proposito, eccepivano di aver accettato l’eredità di G. R. con il beneficio di inventario e rilevavano che tale accettazione, determinando la separazione del patrimonio del de cuius da quello degli eredi e la limitazione di responsabilità di questi ultimi, comportava che la compensazione potesse attuarsi solo entro il valore accertato dei beni residui dopo il pagamento dei crediti dell’eredità beneficiata.

A seguito dell’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio diretta all’accertamento dell’autenticità delle firme contestate, il Tribunale di Modena accertava che -alla data della proposizione la domanda convenuti erano debitori, in solido, del saldo passivo del conto corrente e dichiarava la legittimità della compensazione operata dalla banca tra tale saldo passivo e le poste attive del conto di deposito titoli.

2. — Avverso la sentenza proponevano appello i convenuti, chiedendone l’integrale riforma. La Corte di appello di Bologna, con sentenza depositata il 16 aprile 2012, rigettava il gravame. In estrema sintesi, il giudice distrettuale osservava che con l’apertura del conto corrente «a delega disgiunta» ciascun intestatario assume il rischio per l’altrui operato, sicché in relazione ad ogni operazione intrapresa opera il principio di solidarietà di cui agli artt. 1854 e 1292 c.c.; la solidarietà passiva, che dunque connotava il conto corrente bancario, consentiva pertanto alla banca di richiedere il pagamento del saldo ad uno qualsiasi dei cointestatari.

La Corte emiliana richiamava poi l’affermazione del giudice di primo grado secondo cui l’apertura di credito in conto corrente aveva l’effetto di far confluire una disponibilità di denaro nella sfera dell’intestatario del conto determinando, nel caso di conto cointestato, che tutti i contitolari risultassero solidalmente responsabili nei confronti della banca del saldo passivo derivante dall’utilizzo dell’apertura di credito, a prescindere dalla riferibilità di tale rapporto a questo o a quello dei correntisti.

Del resto — aggiungeva —, ciascuno dei cointestatari del conto si giova dell’apertura di credito concessa a richiesta di uno solo di essi, in quanto tale apertura di credito alimenta il conto corrente bancario di una provvista che entra nella libera disponibilità di tutti i correntisti.

3. — La sentenza della Corte di Bologna é oggetto del ricorso per cassazione di L. R. e di P.S.: ricorso affidato a un unico, articolato, motivo. Resiste con controricorso Credito Emilano s.p.a., che ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. — I ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1° e 2° co. c.c., 1321, 1854, 1842 e 1852 c.c., nonché delle norme che disciplinano il contratto di conto corrente bancario e quello di apertura di credito; lamentano altresì l’illogicità e la «intrinseca ingiustizia» della pronuncia impugnata.

Rilevano che la Corte di Bologna ha confuso due titoli giuridici autonomi e distinti tra loro: il contratto di conto corrente cointestato e il contratto di apertura di credito regolato sul medesimo conto, i quali disciplinavano rapporti autonomi e distinti. In conseguenza, l’art. 1854 c.c. non poteva trovare applicazione, dovendo per contro prevalere la norma generale dell’art. 1372, 2° co. c.c., secondo cui il contratto produce effetto solo tra le parti che lo hanno concluso.

Le estensioni dell’apertura di credito, una volta acclarata la falsità delle firme riconducibili ai ricorrenti, potevano dunque interessare il defunto G. R., non anche essi ricorrenti. In particolare, le pattuizioni modificative dell’accordo originariamente intercorso in tema di apertura di credito erano idonee a dispiegare efficacia sul collegato rapporto di conto corrente solo nel caso in cui tutti i cointestatari del conto vi avessero aderito. La non riferibilità agli istanti della stipula delle convenzioni di modifica del finanziamento impediva, in concreto, che trovassero applicazione, nello specifico, sia l’art. 1854 c.c., sia l’art. 17 del contratto di conto corrente, dettati in tema di responsabilità solidale dei cointestatari dello stesso.

Nel corpo del motivo, poi, vengono sviluppati ulteriori argomenti, avendo riguardo ai richiami di precedenti giurisprudenziali operati dalla controricorrente, alle produzioni documentali utili per la decisione e a profili della controversia estranei al decisum della Corte di appello, in quanto oggetto di assorbimento.

E’ pure sollevata una questione vertente sulla violazione, da parte della banca, dell’obbligo di buona fede di cui all’art. 1375 c.c. (con particolare riguardo alla falsificazione delle sottoscrizioni apposte su alcuni documenti e alla omessa informazione agli odierni istanti dell’estensione del fido posta in atto dall’altro cointestatario del conto) e viene lamentata, infine, la mancata condanna della controparte a norma dell’art. 96 c.p.c..

2. — Il motivo non merita accoglimento.

2.1. — Il tema dibattuto si origina dal collegamento del rapporto di conto corrente cointestato con un’apertura di credito, pure cointestata, ma che risultava incrementata, nella somma finanziata, per effetto di pattuizioni non riconducibili alle persone degli odierni istanti (essendo stato accertato il carattere apocrifo delle sottoscrizioni apparentemente riferibili agli stessi ricorrenti). Ora, stabilisce l’art. 1854 c.c. che nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà di compiere operazioni anche separatamente, gli intestatari sono considerati creditori e debitori dei saldi del conto.

Dalla mera cointestazione del conto non discende la riferibilità ad uno dei correntisti delle operazioni poste in essere dall’altro. E’ necessario, a tal fine, che il contratto preveda la facoltà dei correntisti di operare separatamente, in quanto, come è stato osservato da questa Corte, in assenza di una disposizione negoziale di tale tenore, non è dato di affermare la presunzione del consenso dei contitolari all’operazione posta in essere da uno solo di essi (Cass. 1 ottobre 2012, n. 16671).

Infatti, la contestazione del conto fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto (per cui, infatti: Cass. 8 settembre 2006, n. 19305; Cass. 26 ottobre 1981, n. 5584), non anche l’esistenza del reciproco consenso dei cointestatari del conto alle operazioni poste in atto da uno di loro: consenso che, invece, è preventivamente manifestato allorquando sia accordata ad ogni contitolare del conto il potere di effettuare operazioni in modo disgiunto. In presenza della facoltà dei correntisti di operare separatamente — facoltà che deve essere prevista espressamente (Cass. 5 luglio 2000, n. 8961) — l’operazione posta in atto da uno solo dei cointestatari vincola, dunque, anche gli altri (pur essendosi precisato, in dottrina, che tale modalità di esercizio concerne unicamente il potere di disposizione del saldo, non anche la facoltà di effettuare i versamenti, rispetto alla quale non assumerebbe rilievo la previsione della firma disgiunta o congiunta).

Operando disgiuntamente, ciascuno dei correntisti può allora disporre della provvista giacente sul conto; simmetricamente, la banca si libera, ed esegue la prestazione afferente il servizio di cassa cui è tenuta contrattualmente, effettuando il pagamento o l’accreditamento delle somme secondo quanto gli venga richiesto.

Al contempo, proprio perché in caso di cointestazione disgiunta l’atto di disposizione del singolo correntista vincola gli altri, dovendosi ritenere attuato col consenso di questi, è stabilito che ogni contitolare del rapporto sia solidalmente responsabile nei confronti della banca per il saldo passivo del conto corrente. Non rileva, in proposito, che l’esposizione verso l’istituto di credito discenda dal finanziamento accordato dalla banca stessa in favore di uno o di alcuni soltanto dei correntisti.

Quel che conta è, infatti, la previsione di solidarietà posta dall’art. 1854 c.c.: previsione che concerne tutte le operazioni bancarie regolate in conto corrente (quindi anche l’apertura di credito: art. 1852 c.c.) e che importa l’assunzione del debito da parte di tutti i correntisti, in presenza di una disciplina convenzionale di cointestazione disgiunta del conto.

Dirimente, in altri termini, è che il servizio di cassa della banca consistente nella erogazione di somme eccedenti le disponibilità giacenti sul conto debba intendersi giuridicamente eseguito in favore non del solo correntista che abbia impartito le necessarie disposizioni all’istituto di credito, ma di tutti i correntisti, i quali sono infatti obbligati solidalmente per i saldi passivi del conto a mente del cit. art.1854 c.c.. E del resto, significativamente, quest’ultima norma, nel configurare la solidarietà degli intestatari del conto, non distingue tra le diverse ipotesi che possano determinare la confluenza, sul conto stesso, di somme che si debbano poi restituire alla banca: sicché tale disposizione è destinata ad operare anche laddove irt saldo passivo si determini per effetto di un’apertura di credito accordata ad alcuni soltanto dei correntisti, o comunque utilizzata Solamente da taluni di loro.

Del principio suesposto, basato sull’irrilevanza delle condotte dei singoli correntisti, questa Corte ha fatto del resto applicazione, in passato, nell’ipotesi di erroneo accreditamento di somme ad uno dei correntisti, ritenendo che quando una certa somma sia affluita sul conto la stessa rientra nella disponibilità dei contitolari di esso, i quali a norma dell’art. 1854 c.c. ne divengano condebitori nel caso in cui venga a risultare l’erroneità del suo accreditamento, restando irrilevante che taluno dei cointestatari non abbia in concreto compiuto operazioni sul conto (Cass. 24 maggio 1991, n. 5876).

Ciò posto, la cointestazione disgiunta del conto è affermata dalla Corte di appello (a pag. 8 della sentenza impugnata, ove si parla di «conto corrente cointestato a delega disgiunta») e sul punto non vi è censura; tale contestazione è del resto presupposta dagli stessi ricorrenti, laddove affermano di non aver mai utilizzato la provvista «formatasi nel conto grazie ai vari fidi provvisori» (asserzione, questa, che lascia chiaramente intendere che essi dibattano di una facoltà non esercitata, e non di una preclusione derivante dalla disciplina convenzionale inerente al rapporto di conto corrente).

Alla stregua di quanto rilevato, dunque, gli odierni ricorrenti non hanno ragione di dolersi dell’addebito operato nei loro confronti.

2.2. — Non vi è ragione di soffermarsi sugli ulteriori rilievi svolti dagli istanti nel corpo del complesso motivo: rilievi che non risultano ammissibili, dal momento che sono privi di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata (in tema: Cass. 18 febbraio 2011, n. 4036; Cass. 3 agosto 2007, n. 17125).

Ciò vale anche con riguardo alla deduzione vertente sulla responsabilità per lite temeraria, di cui all’art. 96 c.p.c.. Circa, infine, la questione avente ad oggetto la supposta violazione, da parte della banca, dell’obbligo di buona fede, va evidenziato che essa presenta carattere di novità, dal momento che la Corte di merito non la affronta, né i ricorrenti chiariscono se e come l’abbiano sollevata nel precedente grado di giudizio (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270).

3. — Il ricorso è dunque respinto.

4. — Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in C 7.500,00, di cui C 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, nella misura del 15%, e oneri di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1^ Sezione Civile in data 31 gennaio 2016.

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