Cass. Civ., Sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1670
Cassazione civile sezione II, 29 gennaio 2015, n. 1670
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Motivi della decisione
La controversia concerne un appartamento che la ricorrente asserisce di aver goduto sin dal tempo della sua edificazione in virtù di contratto, definito preliminare, nell’atto introduttivo del primo grado, e poi qualificato come definitivo, in appello, stipulato il 3.2.1966. Detto immobile – sito in via Laurentina n. 3, Roma (scala 3, int. 10) – che risulta dai Registri Immobiliari di proprietà del S. per acquisto fattone con atto pubblico del 28.6.1984, secondo la sentenza impugnata, a conferma di quella di primo grado, è stato nel godimento della ricorrente a titolo di detenzione, per essere la dazione avvenuta a seguito di sottoscrizione, da parte del suo dante causa, il coniuge V.H., con la società costruttrice, la Immobiliare Laurentina Domus, di contratto preliminare di compravendita, come dalla stessa riconosciuto.
Tanto chiarito, con il primo motivo la ricorrente lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su documenti indispensabili ai fini del decidere per avere la corte di merito ritenuto che il dante causa dell’appellante era entrato nel possesso dell’immobile a seguito di stipula di preliminare di compravendita e non già di compravendita definitiva, per cui non vi era stato l’effetto traslativo della proprietà, senza tenere conto di n. 5 documenti indispensabili, specificamente indicati nell’udienza del 17.11.2005 come depositati nel giudizio di appello. Prosegue la ricorrente che i quattro documenti depositati – rappresentanti comunicazioni bancarie del Credit du Nord di Parigi a Leon V.H. del V’.7.1977, 22.7.1977, 25.8.1977 e 12.10.1977 – costituirebbero dimostrazione della circostanza che il marito aveva contratto un mutuo per il pagamento della casa di via Laurentina n. 3, con ciò avvalorando l’assunto che si sarebbe trattato non già di preliminare di compravendita ma di contratto definitivo di compravendita, come tale traslativo della proprietà e del possesso uti dominus. Aggiunge che il contratto di compravendita era andato perduto in un incendio, ma il cui contenuto era possibile ricostruire dalle dichiarazione dello stipulante, V.H., rilasciate e trascritte al verbale di udienza del 16.12.2004, il quale aveva affermato che il corrispettivo per l’acquisto dell’appartamento, al prezzo complessivo di £. 5.000.000, era avvenuto quanto a £. 3.000.000 in contanti e quanto a £. 2.000.000 a mezzo di mutuo bancario. A conclusione del mezzo la ricorrente formula il seguente quesito di fatto: ‘Dica la Corte di Cassazione se, vertendosi in tema di acquisto della proprietà per usucapione, il giudice di merito ha il dovere di valutare e motivare su documenti allegati al giudizio di appello siccome indispensabili ai fini dell’adeguata valutazione della situazione di fatto indispensabile ai fini del decidere, comprovanti l’esistenza di mutuo bancario a carico dell’acquirente sull’immobile oggetto della controversia e quindi la qualificazione di compravendita traslativa della proprietà del contratto da cui origina il possesso nonchè il momento iniziale del possesso, con conseguente implicazione della sussistenza in capo all’acquirente e alla di lui moglie del possesso uti dominus, come tale valido per il riconoscimento dell’acquisto della proprietà per usucapione. E se conseguentemente rappresenti omissione di motivazione la mancanza nella decisione di merito di ogni riferimento alla detta produzione documentale, anche al solo fine di ritenerne la non indispensabilità, omissione denotante la mancanza o insufficienza di esame della situazione di fatto’.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione per avere la corte di merito del tutto omesso di considerare e valutare l’inesistenza agli atti del giudizio dell’atto di compravendita del 6.2.1966 intervenuto fra V.H. e la Laurentina Domus, per cui la valutazione del dedotto contratto, preliminare ovvero definitivo, è avvenuta sulla base del nomen iuris dato da parte ricorrente. II giudice del gravame, inoltre, ha trascurato di esaminare ed omesso di motivare sull’atto di compravendita dei 6.8.1973, ossia sulla circostanza che esso sia intervenuto nel momento in cui V.H. ancora stava pagando il mutuo per lo stesso immobile; ancora, che l’indennità di occupazione era stata richiesta alla E. per la prima volta con la domanda riconvenzionale formulata in primo grado sul presupposto che la situazione si fosse protratta per oltre trenta anni, con ciò valorizzando l’esito del giudizio possessorio, la cui decisione, seppure assunta ultra-petita, era comunque passata in giudicato. A corollario dei mezzo viene formulato il seguente quesito di fatto: ‘Dica la Corte di Cassazione se, vertendosi in tema di usucapione di immobile, è dovere della Corte di merito esaminare la questione di fatto attraverso l’approfondito esame di tutte le risultanze processuali ai fini della valutazione del comportamento delle parti e della necessarietà o meno della sussistenza della interversione; e se sia censurabile per omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione la decisione di merito che abbia del tutto trascurato o insufficientemente esaminato la questione di fatto’.
Le censure – da esaminare congiuntamente in quanto attinenti la medesima questione della qualificazione della relazione esistente fra la ricorrente e l’immobile in questione – non possono trovare ingresso.
Premesso che le Sezioni Unite (Cass. n. 7930 del 2008) hanno stabilito che ‘Nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori. Pertanto la relazione con la cosa, da parte del promissario acquirente, è qualificabile esclusivamente come detenzione qualificata e non come possesso utile ad usucapionem, salvo la dimostrazione di un’intervenuta ‘interversio possessionis’ nei modi previsti dall’art. 1141 c.c.’, come ineccepibilmente affermato dalla Corte di appello, che ha negato la configurabilità del possesso in capo al coniuge della ricorrente, in ciò richiamando le stesse affermazioni della E. contenute nell’originario atto di citazione, osserva il Collegio che agli atti non risulta mai essere stata prodotta la scrittura privata del 3 febbraio 1966, che si assume perduta in un incendio.
La questione centrale della controversia, dunque, riguarda l’esistenza ed il contenuto della predetta scrittura privata di (preliminare di) compravendita immobiliare (intercorsa appunto tra V.H. e la società Immobiliare Laurentina Domus), posta a fondamento della domanda giudiziale proposta dalla odierna ricorrente al fine di comprovare l’esistenza del suo buon diritto a godere dell’appartamento uti dominus, inesistente il contrapposto diritto di colui che – a suo avviso – risulterebbe essere solo intestatario del bene.
E’ incontestato che nessuna scrittura privata risulta essere stata prodotta dall’attrice, la quale ha dedotto di averla perduta in un incendio, ragione per la quale aveva articolato una serie di richieste di ammissione di prova per testi, al fine di dimostrare che il contenuto della scrittura di compravendita era nel senso dell’intervenuto effetto traslativo del bene, nonchè, nel giudizio di appello, l’istanza di acquisizione di n. 5 documenti rappresentanti comunicazioni bancarie del Credit du Nord di Parigi rilasciate a Leon V.H. il 1.7.1977, il 22.7.1977, il 25.8.1977 ed il 12.10.1977, che a suo avviso dimostrerebbero la stipula da parte del suo dante causa di un mutuo bancario per il pagamento del prezzo dell’abitazione, tutte rimaste, tuttavia, senza esito. La ricorrente – pur riconoscendo che, legittimamente, la Corte territoriale non aveva potuto esaminare la suddetta scrittura – ha, però, inteso censurare la sentenza del giudice di appello con riferimento alla ritenuta (implicita) irrilevanza della documentazione prodotta in appello ovvero inammissibilità della prova testimoniale dedotta nell’interesse dell’appellante, odierna ricorrente, e all’insufficiente percorso motivazionale adottato in proposito, non avendo indagato sulla ricorrenza o meno di ipotesi equiparabili allo smarrimento incolpevole. Rileva, invero, il collegio che la Corte di appello di Roma, nell’escludere l’ammissibilità della prova orale richiesta dalla odierna ricorrente, ha basato la sua decisione su un condivisibile principio giuridico, affermato anche dalla più recente giurisprudenza di questa Corte. Risulta, infatti, sufficientemente affermato nella sentenza impugnata che, nel caso di specie, non si sarebbe potuta considerare ricorrere l’ipotesi prevista dal n. 3) del citato art. 2724 c.c., dal momento che non risultava neanche dedotta la prova del caso fortuito o della forza maggiore che aveva determinato la perdita della scrittura.
Come già evidenziato, nella fattispecie, il titolo costitutivo del diritto di proprietà avrebbe dovuto essere concluso con la forma scritta ‘ad substantiam’ (ai sensi dell’art. 1350 c.c.), con la conseguenza che, in tal caso, l’unica eccezione al limite di ammissibilità della prova per testi si sarebbe dovuta ricondurre all’ipotesi specificata, appunto, nell’art. 2724, n. 3, c.c., ovvero al caso dell’incolpevole smarrimento del documento comprovante il titolo (per i cui presupposti e relativi oneri probatori cfr. Cass. n. 43 del 1998 e Cass. n. 26155 del 2006). Ma, avendo la stessa ricorrente dichiarato – nell’atto di citazione del giudizio di primo grado – trattarsi di contratto preliminare di compravendita e in assenza di articolazione di prove comprovanti la incolpevole perdita, in via logica è conseguente l’inapplicabilità della suddetta eccezione relativa all’ammissibilità della prova testimoniale.
Infatti, posto che (v. Cass. n. 8611 del 1998), in generale, quando la legge stabilisce per un determinato contratto la forma scritta ‘ad substantiam’ (come, nella specie, contratto di trasferimento della proprietà immobiliare), alla mancata produzione in giudizio del documento non può supplire la prova testimoniale, ostandovi il disposto espresso dell’ad. 2725 c.c., salva l’ipotesi della perdita incolpevole dei documento costitutivo di quel diritto, essendo volta in tal caso la prova per testimoni alla ricostruzione del documento, la Corte territoriale, nel ritenere insussistente quest’ultima ipotesi, ha osservato che non era stata offerta alcuna prova al riguardo, per cui non ricorre nella specie l’ipotesi disciplinata dall’art. 2724, n. 3, c.c., la conseguenza era la esclusione di ogni deroga al divieto della prova testimoniale ai sensi dell’ad. 2725 c. c..
A questi principi si è esattamente uniformata la Corte capitolina che ha, perciò, correttamente escluso che la situazione determinatasi nel caso di specie potesse essere equiparata allo smarrimento incolpevole del documento, tale da legittimare la configurazione dell’ipotesi riconducibile all’art. 2724, n. 3) c.c..
Eguali considerazioni valgono anche quanto alla (mancata) valutazione della documentazione bancaria, allegata dall’appellante, odierna ricorrente, in appello.
In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, il ricorso deve essere integralmente respinto, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi €. 2.200,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre a spese forfettarie ed accessori come per legge.