Cass. Civ., Sez. II, 30 marzo 2012, n. 5152
Cassazione, sentenza 30 marzo 2012, n. 5152, sez. II civile
Successioni “mortis causa” – Disposizioni generali – Accettazione dell’eredità – Diritto di accettazione – Trasmissione – Chiamato all’eredità nel possesso dei beni ereditari di grado successivo rispetto ad altri chiamati – Redazione dell’inventario nel termine di tre mesi – Onere – Sussistenza – Decorrenza – Dalla data di apertura della successione – Fondamento – Conseguenze.
In tema di successioni legittime, il chiamato all’eredità nel possesso dei beni ereditari ha l’onere di redigere l’inventario entro il termine di tre mesi dal giorno dell’apertura della successione, anche se sia di grado successivo rispetto ad altri chiamati, poiché, quando l’eredità si devolve per legge, si realizza una delazione simultanea in favore di tutti i chiamati, indipendentemente dall’ordine di designazione alla successione, come si evince dalle disposizioni di cui all’art. 480, comma terzo, e 479 cod. civ., che, con riferimento al decorso del termine per l’accettazione dell’eredità e alla trasmissione del diritto di accettazione, non distinguono tra i primi chiamati ed i chiamati ulteriori, conseguendone, per tutti, contestualmente, la nascita di facoltà ed oneri e, quindi, l’integrazione dell’ambito applicativo della fattispecie astratta di cui all’art. 485 cod. civ. Né a diversa conclusione può indurre la previsione, nel primo comma di questa disposizione, della notizia della devoluta eredità come fattispecie alternativa all’apertura della successione ai fini della decorrenza del termine per la redazione dell’inventario, in quanto l’espressione “devoluzione” deve intendersi come sinonimo di “delazione”, ed il chiamato nella disponibilità dei beni ereditari è a conoscenza sia dell’apertura della successione sia della circostanza che i beni sui quali esercita la signoria di fatto sono proprio quelli caduti in successione.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GOLDONI Umberto – Presidente –
Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere –
Dott. PROTO Cesare A. – Consigliere –
Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso iscritto al n.r.g. 3037/10 proposto da:
– S.M.F.A. rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale del 19 gennaio 2010 per atto notar M. di Aosta, dall’avv. W.M. e dagli avv.ti proff. M.A. e I.N. ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Andrea Vesalio n. 22;
– ricorrente –
contro
B.S. rappresentato e difeso dall’avv. M.T. e dall’avv. M.D., ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Roma, piazza Vescovio n. 21, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
nonché nei confronti di:
– Lo Stato Italiano in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri;
– intimato –
– per la cassazione della sentenza n. 1477/09 della Corte di Appello di Torino, depositata il 5/11/09 e notificata il 2/12/09. Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2012 dal Consigliere relatore Dott. Bruno Bianchini;
– sentiti gli avv.ti proff. I.N. e M.A. per la parte ricorrente, che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso;
– sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
– M.F.A.S. citò, con atto notificato nel giugno 2006, innanzi al Tribunale di Torino, lo Stato Italiano, chiedendo che fosse accertato l’avvenuto acquisto per usucapione speciale ex art. 1159 bis c.c., comma 1, della metà indivisa di fondi montani siti in Ayas, di cui era stato comproprietario il fratello Riccardo, deceduto nell’agosto 2002, i quali si sarebbero devoluti ex lege allo Stato, non avendo accettato l’eredità del germano nessuno dei chiamati alla di lui successione entro il sesto grado: a sostegno della domanda evidenziò di aver posseduto uti domina anche la parte di cui il fratello era titolare, almeno sin dal 1990, allorché aveva concesso a terzi il diritto di taglio di erbe. La Presidenza del Consiglio dei Ministri si costituì chiedendo il rigetto della domanda; spiegò intervento B.S., creditore del de cujus in forza di cinque assegni dal medesimo emessi, chiedendo che la S. fosse dichiarata erede pura e semplice, essendo nel possesso dei beni ereditati ed avendo omesso di redigere l’inventario entro i tre mesi dall’apertura della successione (avvenuta il 28 agosto 2002), secondo quanto previsto dall’art. 485 c.c., comma 2, a nulla valendo l’intervenuta rinunzia all’eredità, del pari intervenuta dopo detto termine (giusta dichiarazione del 29 novembre 2002).
– l’adito Tribunale respinse la domanda della S. – dichiarando che l’attrice era erede pura e semplice del fratello e che difettava di interesse alla proposizione della domanda di usucapione, essendo divenuta proprietaria per diritto di successione del medesimo cespite – e la condannò al pagamento, in favore dell’intervenuto, del credito vantato nei confronti del de cujus.
– La Corte di Appello di Torino respinse a sua volta il gravame della S., evidenziando, per quello che ancora conserva interesse in sede di legittimità, che la simultanea delazione dell’eredità in favore di tutti i chiamati, nei vari gradi, avrebbe comportato la necessità per la S., chiamata successiva in possesso dei beni, di compiere comunque l’inventario nei tre mesi dall’apertura della successione, pur se la delazione nei suoi confronti non fosse ancora divenuta attuale per non essere venuta meno quella in favore dei chiamati poziori (coniuge, figli e nipoti del defunto): ciò in ragione della contestualità della rinunzia dei predetti chiamati e di quella dell’appellante e della ratto sottesa alla disposizione di cui all’art. 485 cod. civ., diretta a salvaguardare il patrimonio ereditario, con finalità accelerazione della definizione dello stato di incertezza relativo alla destinazione dei beni caduti in eredità – che sarebbe potuto perdurare sin tanto che fosse mancata la manifestazione di volontà di accettare l’eredità da parte dei chiamati poziori -, nell’interesse sia di altri chiamati (nello stesso grado o in quello successivo) sia di terzi creditori, parti entrambe i cui diritti avrebbero potuto rimanere in sospeso – seguendo la tesi dell’appellante – financo sino al decorso del termine decennale stabilito per l’accettazione dell’eredità. Per la cassazione di tale sentenza la S. ha articolato due motivi, a contrastare i quali il B. ha depositato controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative; lo Stato Italiano non ha svolto difese, pur depositando comparsa contenente la manifestazione di volontà di partecipare alla discussione in pubblica udienza.
Motivi della decisione
1 – Con il primo motivo la ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione dell’art. 485 cod. civ. imputando alla Corte distrettuale di non aver rilevato che essa deducente non era nel possesso dei beni ereditari in virtù di successione bensì come comproprietaria degli stessi assieme al fratello defunto, così che la signoria di fatto che esercitava sui medesimi si sarebbe esplicata – per quanto oggetto di controversia – sulla quota astratta di cui il fratello era titolare e non sul bene medesimo, come invece prevedeva l’art. 485 c.c., comma 1.
– 1/a – Il controricorrente ha eccepito l’inammissibilità del motivo, a cagione della ritenuta immutazione della tesi difensiva rispetto a quella formante oggetto dell’appello, in cui si era configurato come possesso esclusivo quello che in sede di legittimità è stato poi qualificato come compossesso, sia pure non idoneo ad attivare la fattispecie di cui all’art. 485 c.c., comma 11, ed in ragione della deduzione, del pari “nuova”, circa l’oggetto del possesso medesimo. 1/b – Giudica la Corte che tale eccezione non sia condivisibile in quanto la materia del contendere e l’oggetto delle difese della S., se pure risentivano della decisione del Tribunale – a cui in senso critico si adattavano, al fine di attaccare la trama argomentativa utilizzata dal primo giudice- rimanevano le stesse (trattandosi pur sempre di giustificare l’inapplicabilità dell’onere di redazione dell’inventario al chiamato nel possesso dei beni ereditari): ne consegue che non era idoneo a passare in giudicato il percorso argomentativo seguito dal primo giudice per rispondere alle difese originariamente proposte dalla S. in risposta alle deduzioni del B.; in particolare non si rinviene alcuna distonia argomentativa – da cui sortirebbe la ragione della denunziata successiva novità delle difese in sede di legittimità – nel fatto che innanzi al Tribunale la S. abbia dichiarato che i beni ereditari non sarebbero caduti in successione dal momento che ne avrebbe, già da prima della apertura della successione, acquisito la proprietà per effetto di usucapione, atteso che tale tesi è sempre stata immanente nel presente giudizio, che, giova ricordarlo, mira proprio a far riconoscere l’intervenuta usucapione e nell’ambito del quale la dibattuta questione delle condizioni per l’efficacia della contemporanea rinunzia di tutti i chiamati all’eredità aveva valore strumentale rispetto al petitum mediato sopra richiamato.
– 1/c – Venendo all’esame della censura della ricorrente, ritiene la Corte che la stessa non sia condivisibile perché la signoria di fatto esercitata sul bene con il relativo animus si estendeva a tutti i cespiti già in comproprietà e la necessaria delimitazione della domanda alla pars quota non eliminava le caratteristiche del corpus possessionis – oltretutto, come indicato nella citazione, esercitato in via indiretta attraverso la detenzione qualificata del terzo acquirente delle erbe prodotte dai fondi montani.
– 1/d – Va poi messo in rilievo il fatto che, seguendo il ragionamento della ricorrente, si arriverebbe alla non condivisibile conclusione che il coerede, comproprietario con il de cujus dei beni, non potrebbe dirsi mai nel possesso dei beni ereditari perché la sua signoria sarebbe esercitata con riferimento alla quota astratta, conclusione che non tiene conto che per i terzi creditori del de cujus la situazione di incertezza in merito alla riferibilità della garanzia per il soddisfacimento dei propri crediti, rappresentata dai beni del proprio defunto debitore, permarrebbe identica, prima dell’accettazione dell’eredità del predetto, sia che il chiamato fosse entrato in possesso dei beni dopo l’apertura della successione, sia che esercitasse detta signoria con riferimento ad una preesistente contitolarità.
– 1/e – Conferma poi l’assunto anche l’accezione estremamente lata che l’interpretazione di legittimità da del concetto di possesso, utile a deliminare la fattispecie di cui all’art. 485 c.c., comma 1, tale da comprendervi “ogni situazione di fatto che consenta l’esercizio di concreti poteri su beni, sia pure per mezzo di terzi detentori, con la consapevolezza della loro appartenenza al compendio ereditario…” (così Cass. n. 4835/1980; Cass. n. 4707/1994).
– 1/f – Si deve dunque ritenere che ai fini che ne occupano sia equivalente la situazione del chiamato all’eredità – nella fattispecie, assieme ad altri, sia pure in ordine successivo – che eserciti il possesso sui beni ereditari solo dopo l’apertura della successione, rispetto a quella del chiamato che, a tale data, già fosse nel (compossesso dei medesimi beni per esserne comproprietario. 2 – Con il secondo motivo viene dedotta nuovamente la violazione e falsa applicazione dell’art. 485 cod. civ., accompagnata da identico vitium in judicando in relazione all’art. 12 cod. civ., sostenendosi che il giudice dell’appello avrebbe errato nel delibare la portata applicativa della norma ritenuta invocabile a disciplina della fattispecie l’art. 485 cod. civ. appunto – in quanto non avrebbe considerato che detta disposizione, nel far decorrere il termine trimestrale per la redazione dell’inventario, prevede due ipotesi alternative: o dall’apertura della successione o dalla notizia della devoluta eredità: la sentenza di appello non si sarebbe poi fatta carico di specificare a quale delle due fattispecie si sarebbe dovuto applicare il principio di diritto esposto; sostiene dunque parte ricorrente che nella fattispecie si sarebbe dovuto far riferimento alla seconda delle due ipotesi, con la conseguenza che il dies a quo del termine trimestrale per la redazione dell’inventario sarebbe dovuto decorrere dal momento in cui essa ricorrente avrebbe avuto notizia della rinunzia dei coeredi, atteso che solo allora l’eredità sarebbe stata “devoluta” alla medesima, divenendo attuale la sua “delazione”, essendo chiamata all’eredità de qua in ordine successivo, con l’ulteriore conseguenza che, avendo la deducente ricevuto, nello stesso giorno, la notizia della devoluta eredità ed avendo, contestualmente, rinunziato alla stessa, non sarebbe stata in obbligo di redigere un inventarlo, inutile per effetto della contestuale rinunzia.
– 2/a – Va innanzi tutto esclusa l’eccepita – dal contro ricorrente – inammissibilità della censura in quanto introducente un motivi di doglianza diverso da quelli fatti valere in sede di appello, sol che si considerino i profili interpretativi involti dall’esame del terzo motivo di tale gravame, in cui si sosteneva che il disposto dell’art. 485 cod. civ. si riferisse esclusivamente ai chiamati che fossero nell’attualità di accettare l’eredità agli stessi delata; del resto, una volta introdotta in giudizio la necessità di determinare la regula juris da applicare, e, in particolare, la perimetrazione applicativa dell’art. 485 cod. civ. in caso di delazione a chiamati all’eredità di grado differente, nasceva l’obbligo del giudice del merito di delibare la portata precettiva di siffatta norma, non essendo commessa alla Corte di Appello la semplice scelta tra una delle due interpretazioni proposte bensì di determinare il contenuto della disposizione da applicare alla fattispecie.
– 2/b – Non è neppure condivisibile l’ulteriore eccezione del contro ricorrente, a mente della quale il motivo in esame sarebbe altresì inammissibile secondo la previsione dell’art. 360 bis c.p.c., in base all’assunto che la Corte di merito, ritenendo la delazione simultanea anche per i chiamati ulteriori, avrebbe deciso la questione di diritto sottopostale in modo conforme alla giurisprudenza della Corte (con sentenza n. 4845/2003) e che dall’esame del motivo non sarebbero emersi motivi per contrastare tale indirizzo interpretativo. 2/c – In contrario va osservato che la fattispecie in esame non ha formato oggetto di specifico arresto in sede di legittimità (la fattispecie presa in esame da Cass. 4845/2003 non riguardava un orcio successivus di chiamati all’eredità) e men che mai di un consolidato indirizzo, quale quello presupposto nell’uso del termine “giurisprudenza” nella norma in scrutinio.
– 3 – Scendendo all’esame della censura contenuta nel secondo mezzo, è convincimento della Corte che la stessa sia infondata. 3/a – Questa Corte ha affermato che nelle successioni legittime, qualora sussista una pluralità di designati a succedere in ordine successivo, si realizza una delazione simultanea a favore dei primi chiamati e dei chiamati ulteriori, con la conseguenza che questi ultimi, in pendenza del termine di accettazione dell’eredità per i primi chiamati, sono abilitati ad esercitare una accettazione (espressa o tacita) valida, ma con efficacia subordinata al venire meno, per rinuncia o per prescrizione-eventi i quali configurano una condicio iuris – del diritto dei primi chiamati (Cass., Sez. 2, 16 agosto 1993, n. 8737; Cass., Sez. 2, 22 giugno 1995, n. 7073; Cass. sez. 2, 13 luglio 2000 n. 9286), osservando, anzitutto, che l’art. 480 c.c., comma 3, stabilisce che il termine di dieci anni, fissato per accettare l’eredità, non corre per i chiamati ulteriori, nel caso in cui vi sia stata accettazione da parte dei precedenti chiamati e successivamente il loro acquisto sia venuto meno: ciò significa che, al di fuori dell’ipotesi espressamente contemplata, il termine di prescrizione corre anche per i chiamati ulteriori sin dal momento dell’apertura della successione, donde l’inferenza della delazione simultanea, con produzione immediata di effetti anche in capo ai chiamati ulteriori, titolari di una situazione giuridica rilevante, in quanto assoggettata alla prescrizione. 3/b – Ad ulteriore conferma dell’assunto la citata Cass. 9286/2000 afferma che, se il chiamato all’eredità muore senza averla accettata, ai sensi dell’art. 479 cod. civ. il diritto di accettarla si trasmette agli eredi: poiché non distingue tra i primi chiamati e chiamati ulteriori, la disposizione è considerata applicabile anche in favore dei secondi ed il fatto che agli ulteriori chiamati venga riconosciuta una posizione giuridicamente rilevante e trasmissibile agli eredi, costituisce un altro argomento in favore della tesi che la delazione operi immediatamente anche in favore dei chiamati ulteriori.
– 3/c – La precitata pronunzia aggiunge, infine, che ai chiamati in ordine successivo, ai sensi dell’art. 481 cod. civ., spetta il potere di esercitare l’actio interrogatoria al fine di far fissare ai chiamati di grado poziore un termine per dichiarare se accettano o se rinunciano all’eredità. Detto potere, si sottolinea, non esaurisce lo status di chiamato ulteriore, quale unica espressione di rilevanza giuridica, bensì lo completa sotto il profilo della tutela. “In conclusione, per i chiamati ulteriori a quelli di primo grado ricorre, se non proprio una istituzione condizionale, una situazione giuridica analoga: vale a dire, una situazione di pendenza destinata a risolversi nel momento in cui il diritto dei primi chiamati sia oggetto di rinunzia o si estingua per prescrizione decennale. Per analogia, quindi, anche i chiamati ulteriori possono compiere atti di accettazionc, espressa o tacita dell’eredità, che diventeranno efficaci solo se i primi chiamati rinunzino o non accettino nel termine” (così Cass. 9286/2000).
– 4 – Non appare condivisibile la difesa della ricorrente che, pur dando atto dell’indicato arresto di legittimità, ne limita la portata all’insorgere di una facoltà – di accettare la eredità da parte del chiamato ulteriore – negando però che dal medesimo principio – della delazione simultanea – possa nascere anche l’onere di redigere l’inventario da parte del chiamato in ordine successivo, che sia anche nel possesso dei beni ereditari: in contrario deve osservarsi che le conseguenze della delazione simultanea come sopra delineata integrano – siccome espressione di un principio generale- l’ambito applicativo della fattispecie astratta di cui all’art. 485 cod. civ..
– 5 – Le argomentazioni appena esposte permettono di negare la fondatezza – perché non corrispondente all’istituto dell’accettazione come sopra delineato – alla tesi espressa nel ricorso, in forza della quale si dovrebbe rinvenire nella sistematica della legge (e nel parere espresso dal Consiglio di Stato in sede di redazione del progetto preliminare del codice civile, pure riportato in ricorso) un’ontologica differenza i termini “delazione” e “devoluzione”, riservando il primo alla chiamata diretta ed il secondo alla trasmissione ai chiamati ulteriori della facoltà di accettare.
– 6 – Quanto precede consente inoltre di operare una corretta interpretazione dell’espressione “dalla notizia della devoluta eredità” che la ricorrente, che parte dal qui non condiviso principio della devoluzione progressiva dell’eredità in caso di una pluralità di delati in ordine successivo, interpreta nel senso che la “conoscenza” abbia ad oggetto non già l’apertura della successione bensì la devoluzione allo specifico chiamato, indipendentemente dalla scienza della morte del de cujus. 6/a – Tale interpretazione non appare avere un solido aggancio testuale nella sistematica della legge in cui la specificità della disciplina, per il chiamato che sia nel possesso dei beni, sta nel fatto di conoscere, da un lato, l’esistenza dell’apertura della successione e, dall’altro, la circostanza che i beni sui quali eserciti la signoria di fatto siano proprio quelli che siano caduti in successione, atteso che, come osserva autorevole Dottrina, il chiamato – indipendentemente dalla posizione rispetto ad altri delati poziori – deve essere consapevole dell’investitura di quello specifico possesso che comporterà, se non accompagnato dalla redazione dell’inventario, alla preclusione della facoltà di rinunziare.
– 7 – Il ricorso va pertanto rigettato; la novità della questione trattata e l’obiettiva controvertibilità delle opzioni interpretative fanno ritenere sussistenti giustificati motivi per la compensazione delle spese.
P.Q.M.
– La Corte Rigetta il ricorso e compensa le spese.
– Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2012