Cass. Civ., sez. II, sentenza 19 luglio 2016, n. 14765
Corte di Cassazione, II Sezione civile, sentenza 19 luglio 2016, n. 14765
Ritenuto in fatto
1. – Con nota del 29 ottobre 2013, il conservatore dell’Archivio notarile di Vicenza chiedeva l’avvio di un procedimento disciplinare nei riguardi del dott. D.P., notaio in Creazzo, per i seguenti addebiti, emersi in occasione dell’ispezione ordinaria degli atti del notaio nel biennio 2011-2012:
– 1) violazione dell’art. 2500-ter cod. civ., con conseguente violazione dell’art. 28 della legge notarile e applicazione della sanzione di cui agli artt. 138 e 138-bis, secondo comma, della legge notarile, perché, con riferimento all’atto 18 febbraio 2011 di trasformazione da società in accomandita semplice a società a responsabilità limitata rep. n. 58556 e racc. n. 8303, la determinazione del capitale della società in euro 20.000 risultava superiore al patrimonio stimato di euro 11.844, senza che nell’atto vi fosse traccia di come fosse avvenuta l’ulteriore capitalizzazione, non risultando presente alcuna delibera di aumento del capitale né alcuna sottoscrizione da parte dei soci;
2) violazione dell’art. 769 cod. proc. civ. – con conseguente violazione dell’art. 1, numero 4, della legge notarile e applicazione della sanzione prevista dall’art. 138, secondo comma, della legge notarile – perché, con atto in data 28 novembre 2011, repertorio n. 59261 e raccolta n. 8887, il notaio aveva redatto inventario di eredità, su richiesta di un amministratore di sostegno ai fini dell’accettazione dell’eredità stessa con beneficio di inventario, già autorizzata dal giudice tutelare in data 7 settembre 2011, sulla base di provvedimento dell’autorità giudiziaria, che lo delegava a tale operazione, afflitto da doppio vizio di incompetenza (e per materia e per territorio), trattandosi di eredità di persona deceduta in Vicenza, per la quale l’autorizzazione alla redazione dell’inventario avrebbe dovuto essere rilasciata dal Tribunale di Vicenza (luogo di apertura della successione) e non, come ritenuto invece dal notaio, dal Giudice tutelare di Cittadella (luogo di domicilio dell’assistito);
3) violazione dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52 del 27 febbraio 1985, con conseguente violazione dell’art. 28 della legge notarile, e 4) violazione dell’art. 47, secondo comma, della legge notarile, perché, con atto di data 11 luglio 2012, repertorio n. 59723 e raccolta n. 9283, il notaio aveva ricevuto un atto pubblico di donazione di unità immobiliari urbane, omettendo di fare menzione della dichiarazione, da effettuarsi dalla parte donante, circa la conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto degli immobili oggetto dell’atto, e perché nel medesimo atto si riscontravano incongruenze ed errori non rilevati né in sede di redazione né in sede di lettura dell’atto, tali da determinare dubbi sul reale contenuto della volontà espressa, sia sull’oggetto del medesimo.
2. – All’esito del procedimento disciplinare, la Commissione amministrativa regionale di disciplina ha ritenuto sussistenti tutti gli addebiti, escluso il secondo, e ha condannato il notaio, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena pecuniaria di euro 5.000 per la prima violazione e di euro 600 per le altre due.
3. – Con ordinanza in data 22 luglio 2015, la Corte d’appello di Venezia ha respinto il reclamo del notaio.
4. – Per la cassazione dell’ordinanza della Corte d’appello il notaio P. ha proposto ricorso, con atto notificato il 1° febbraio 2016, sulla base di cinque motivi.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede.
Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 7 e 21 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e 97 Cost. Ad avviso del ricorrente, vi sarebbe nullità del procedimento disciplinare e della decisione impugnata per avere l’Archivio notarile di Vicenza omesso di sentire preliminarmente il notaio incolpato circa i fatti contestatigli, non consentendogli quindi di difendersi.
1.1. – Il motivo è infondato.
Questa Corte, a Sezioni Unite, ha già statuito, con la sentenza 31 luglio 2012, n. 13617, che, in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, non è necessaria la comunicazione prescritta dall’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, allorché il presidente del Consiglio notarile investa quest’ultimo del promovimento della procedura, perché, da un lato, lo stesso art. 7 limita il proprio ambito di operatività, escludendola quando esistano «ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento», e, dall’altro, dette ragioni sono legislativamente presupposte dall’art. 153 della legge 16 febbraio 1913, n. 89, come sostituito dall’art. 39 del d.lgs. 1° agosto 2006, n. 249, il quale dispone che «il procedimento è promosso senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto disciplinarmente rilevante».
Più in generale, si è statuito (Sez. II, 19 giugno 2015, n. 12732) che lo svolgimento della difesa nella fase che precede l’iniziativa disciplinare cessa di avere rilevanza autonoma ove quest’ultima sia esercitata, e diviene oggetto di esame da parte del giudice se ed in quanto ne sia derivato un vulnus non altrimenti emendabile nell’ambito del giusto procedimento disciplinare. E poiché in quest’ultimo la difesa è piena ed espressamente prevista anche prima che sia eventualmente fissata l’udienza davanti alla Commissione regionale di disciplina (v. art. 155, comma 2, della legge notarile), ne deriva che la sola doglianza di non avere potuto far valere le proprie ragioni anticipatamente alla richiesta dell’organo titolare dell’azione non vizia il procedimento disciplinare, nel quale quelle stesse ragioni l’incolpato ha facoltà di esporre.
E ciò non senza osservare, inoltre e nella specie, che – come sottolineato con puntuale ricostruzione della vicenda da parte della Corte d’appello di Venezia – dal verbale di ispezione del 1° agosto 2013 risulta che il notaio P. era presente allo svolgimento dell’ispezione e si era riservato “di presentare al più presto proprie osservazioni e deduzioni” in ordine ai rilievi formulati.
2. – Il secondo mezzo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ. e 115 cod. proc. civ., nonché omessa valutazione di un punto decisivo della controversia. Si censura che la Corte di merito abbia affermato (a pag. 10) che “la mancata produzione dell’atto nella versione originale – è stato dimesso solo quello rinnovato – non consente di apprezzare la formula originaria di riporto a riserva del patrimonio di stima eccedente il capitale sociale”. Sostiene il ricorrente che, poiché oggetto della controversia è proprio la discrepanza tra l’atto originario e quello successivo che si assume corretto, la mancata produzione dell’atto originario da parte del soggetto accusatore impedirebbe in modo assoluto di verificare se quanto affermato da notaio P. a proprio discapito corrisponda o meno al vero. La Corte d’appello – si assume – sembrerebbe trarre argomenti di prova solo dal fatto che il notaio abbia ritenuto, ma solo per proprio scrupolo professionale, di redigere un altro atto, pur nella piena validità ed efficacia del precedente.
2.1. – Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi.
La Corte d’appello ha respinto il motivo di reclamo del notaio concernente l’illecito disciplinare relativo alla violazione dell’art. 2500-ter cod. civ., commessa in occasione dell’atto 18 novembre 2011 di trasformazione da società in accomandita semplice a società a responsabilità limitata, per essere la determinazione del capitale della società in euro 20.000 risultata superiore al patrimonio stimato di euro 11. 844, senza che nell’atto vi sia traccia di come sia avvenuta l’ulteriore capitalizzazione.
E lo ha fatto disattendendo la tesi del reclamante secondo cui si sarebbe in presenza di un errore materiale che il notaio si offriva di provare con i capp. 9 e 10 e che sarebbe emersa dal riporto a riserva della differenza tra netto patrimoniale e capitale.
Ora, la Corte d’appello, lungi dall’invertire l’onere della prova, ha più semplicemente ritenuto che – in considerazione del tenore del motivo di reclamo, mirante a prospettare la tesi difensiva dell’errore materiale – occorreva che il reclamante stesso provvedesse a produrre, o a ripristinare nella sede dell’impugnazione del provvedimento disciplinare, l’atto nella sua versione originale, onde consentire di apprezzare la formula originaria di riporto a riserva del patrimonio di stima eccedente il capitale sociale, giacché solo la specifica delle cifre avrebbe consentito di valutare l’eventuale discrepanza e l’asserita consapevolezza di volere collocare a riserva solo l’eccedenza rispetto ad un capitale sociale da intendersi diminuito alla metà.
D’altra parte la Corte del merito ha significativamente preso le mosse dalla sottolineatura che “l’errore materiale non è dimostrato dai capitoli citati che lo assumono come dato scontato e si limitano a dare atto o di una disattenzione generale … o di come l’atto avrebbe dovuto essere correttamente redatto”. E, sotto questo profilo, ci si trova sul piano dell’apprezzamento della rilevanza delle prove, e quindi di una valutazione di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, essendo applicabile, ratione temporis, il nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo novellato dall’art. 54 del decreto-legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, secondo cui l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge, qui non riscontrabile, si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
3. – Il terzo motivo, relativo alla prima ipotesi di addebito, denuncia violazione dell’art. 2500-ter, secondo comma, cod. civ., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 1418 cod. civ., e 28 della legge notarile. Premesso che la citata disposizione del codice civile è una norma di favore, volta ad agevolare la trasformazione delle società di persone in società di capitali, il ricorrente sostiene che l’errato valore riportato nel corpo dell’atto non va ad intaccare ed inficiare la correttezza e la validità della perizia di stima allegata all’atto stesso e quindi a ledere qualsivoglia diritto e/o interesse. L’ordinanza impugnata, secondo la difesa del notaio incolpato, ometterebbe di valutare un dato storico incontrovertibile, ovvero che anche la difesa dell’Archivio notarile e del Consiglio notarile concordano sull’esistenza di un errore materiale nell’atto di trasformazione de quo. Avrebbe inoltre errato la Corte territoriale a ritenere che l’erronea indicazione del capitale sociale ricada tra le ipotesi di nullità radicale dell’atto che portano alla responsabilità del notaio rogante. Non esisterebbe alcun orientamento interpretativo – né giurisprudenziale né dottrinale – dal quale si possa evincere la nullità affermata dalla CO.RE.DI. e dalla Corte d’appello.
3.1. – Il motivo è infondato.
Nell’ambito della trasformazione omogenea di società di persone in società di capitali, il capitale della società risultante dalla trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi dell’attivo e del passivo e deve risultare da apposita relazione di stima redatta in conformità alla normativa propria del tipo sociale.
Nella specie il capitale della società risultante dalla trasformazione è stato fissato non in conformità alle risultanze della relazione di stima: mentre il patrimonio netto, secondo il criterio del valore attuale degli elementi dell’attivo e del passivo, è stato stimato in euro 11.844, il capitale della società è stato indicato in euro 20.000, importo volontariamente determinato in misura superiore al minimo legale, senza che nell’atto vi sia traccia di come sia avvenuta l’ulteriore capitalizzazione, non risultando presente alcuna delibera di aumento oneroso del capitale in occasione della sottoscrizione né alcuna sottoscrizione da parte dei soci.
L’indicazione del capitale sociale in un ammontare superiore al patrimonio netto ma non sottoscritto per intero determina un vizio dell’atto redatto dal notaio, essendo l’atto di trasformazione soggetto alla disciplina prevista per il tipo adottato e dovendo contenere tutte le indicazioni previste per l’atto di costituzione del tipo, tra cui quelle relative al capitale sociale della società a responsabilità limitata, il quale, pur avendo visto negli ultimi anni ridotta la sua funzione, resta un essenziale strumento organizzativo soprattutto nell’interesse dei terzi. E tali condizioni sono nella specie manifestamente insussistenti, non avendo i soci previsto nella delibera di trasformazione l’aumento e le relative sottoscrizioni e facendo quindi difetto la sottoscrizione per intero del capitale sociale.
Di qui la correttezza della ordinanza impugnata, la quale ha riconosciuto la responsabilità del notaio ai sensi del combinato disposto degli artt. 28, primo comma, numero 1), e 138- bis, comma 2, della legge notarile, per la redazione, in contrasto con una norma imperativa, di un atto di trasformazione omogenea carente della identità tra capitale sociale e patrimonio netto stimato ed in assenza di delibera di capitalizzazione.
4. – Il quarto motivo, relativo alla terza ipotesi di addebito (violazione dell’art. 28 della legge notarile), denuncia omessa esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52 del 1985. Erroneamente la Corte d’appello avrebbe negato aprioristicamente l’esistenza di un errore materiale in relazione alla presunta omessa menzione della dichiarazione di conformità catastale, nonostante l’iter argomentativo logico prospettato dalla difesa del notaio. Il ricorrente esclude inoltre che il legislatore, con il citato art. 29, comma 1-bis, abbia posto un obbligo di dichiarazione formale di conformità degli immobili ai dati catastali e alle planimetrie. L’essenziale è che dall’atto si evinca che il cedente ha comunque manifestato la conformità catastale oggettiva: ne deriva che l’allegazione delle planimetrie originali e la loro sottoscrizione, avvenute nel caso in esame, costituirebbero una manifestazione di conformità oggettiva – non quindi una mera presunzione – che si estende, pertanto, sia alle planimetrie stesse che ai dati catastali relativi.
4.1. – Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985, n. 52, aggiunto dal comma 14 dell’art. 19 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, coma modificato dalla relativa legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122, «Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. La predetta dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale.
Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari»
Questa Corte (Sez. II, 11 aprile 2014, n. 8611) ha già statuito che in tema di atti notarili, la dichiarazione richiesta dall’art. 19, comma 14, del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, riguarda la conformità allo stato di fatto non della sola planimetria dell’immobile, ma anche dei dati catastali, questi ultimi costituendo gli elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali del bene, rilevanti ai fini fiscali; l’omissione determina la nullità assoluta dell’atto, perché la norma ha una finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi dell’art. 28, primo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89.
Il principio è stato di recente ribadito da Cass., Sez. II, 3 giugno 2016, n. 11507, affermandosi che sussiste la responsabilità disciplinare del notaio, a norma dell’art. 28, primo comma, n. 1, della legge notarile, per avere redatto un atto espressamente proibito dalla legge, in ipotesi di omissione della dichiarazione, richiesta dall’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52 del 1985, di conformità allo stato di fatto dei dati catastali relativi alla identificazione ed alla capacità reddituale del bene, senza che rilevi la sola dichiarazione di conformità della planimetria dell’immobile, a sua volta recante i dati catastali informativi.
A questo orientamento si è attenuta, correttamente, la Corte d’appello, la quale ha riconosciuto la responsabilità disciplinare del notaio P. per avere redatto un atto pubblico di donazione omettendo di fare menzione della dichiarazione, da effettuarsi dalla parte donante, circa la conformità dei dati catastali e delle planimetrie allo stato di fatto degli immobili oggetto dell’atto. Si tratta, infatti, agli effetti dell’art. 28 della legge notarile, di nullità inequivoca ed indiscutibile, in quanto testuale, ovvero espressa dalla lettera del citato art. 29, comma 1-bis.
D’altra parte, la Corte territoriale ha escluso – all’esito di un tipico accertamento di merito, non sindacabile in questa sede – che vi sia evidenza di errore materiale, affermando che neppure i capitoli proposti sono idonei a dimostrarlo, “perché il n. 8 accenna ad una prassi operativa mentre l’errore materiale esige che l’atto contenga dei termini di confronto da cui ricavare con evidenza la divergenza laddove qui si tratta di un’omissione”.
5. – Con il quinto mezzo, relativo all’ulteriore ipotesi di addebito, il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 47, secondo comma, della legge notarile. La Corte d’appello non avrebbe colto il significato delle affermazioni della difesa del reclamante circa la materialità dell’errore e avrebbe escluso, senza adeguata motivazione, la possibilità di sentire testimoni. Ad avviso del ricorrente, chi ha avviato il procedimento non ha fornito le prove della contestazione disciplinare in ordine alla errata interpretazione della volontà delle parti. Gli errori sarebbero inoltre avvenuti nelle parti secondarie o accessorie, e non intaccherebbero il contenuto essenziale dell’atto. Si afferma che la donazione di cui si discute, anche prima della rinnovazione, avrebbe perfettamente raggiunto i suoi effetti ed il suo scopo, risultando regolarmente trascritta nei suoi termini corretti e regolarmente volturata nei registri catastali.
5.1. – Il motivo è inammissibile.
La Corte d’appello ha respinto la censura svolta con il motivo reclamo osservando:
– che dalla stessa capitolazione delle prove orali si evince che il reclamante confonde l’errore materiale, che non dipende dall’interpretazione della volontà delle parti, con l’omissione determinata da disattenzione e/o errore che non scrimina anche se risalente a fatto dell’ausiliario;
– che lo stesso notaio ha ritenuto di procedere ad un atto in rinnovazione, cosi mostrando di ritenere che gli errori e le incongruenze erano tali da ingenerale dubbi sulla reale volontà delle parti;
– che in ogni caso l’uso contestuale dei termini donazione e vendita sia in relazione all’individuazione dell’atto e delle parti sia in relazione all’oggetto – individuato ora nella donazione della piena ed esclusiva proprietà ora invece dell’usufrutto – dimostrano che non fu assolta la funzione notarile di indagare la volontà delle parti e di trovare la forma dell’atto adeguata ad esprimerla.
La Corte d’appello ha tratto il convincimento che il notaio sia venuto meno all’obbligo di indagare la volontà delle parti e di curare sotto la propria direzione e responsabilità la compilazione integrale dell’atto da una serie di elementi gravi e convergenti, ossia dal riscontro di evidenti incongruenze ed errori non rilevati né in sede di redazione né in sede di lettura dell’atto, tali da determinare dubbi sul reale contenuto della volontà espressa e sull’oggetto del contratto.
Si tratta di una motivazione congrua ed esente da vizi logici; ed il ricorrente, anche là dove formalmente invoca lo scrutinio di violazione e falsa applicazione di legge, non pone in realtà alcuna questione di diritto, ma mira a sollecitare un novello esame delle prove e della loro rilevanza.
6. – Il ricorso è rigettato.
L’infondatezza dell’impugnazione esclude la rilevanza di ogni questione preliminare sulla ritualità notificazione del ricorso per cassazione, avvenuta – per quanto riguarda l’Archivio notarile distrettuale – presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato anziché presso l’Avvocatura generale dello Stato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
7. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.