Cass. Civ., sez. III, sentenza 14 aprile 2016 n. 4967
Corte di Cassazione, III Sezione civile, sentenza 14 marzo 2016, n. 4967
Svolgimento del processo
1. Con sentenza depositata il 5 aprile 2012 la Corte d’appello di Roma, accogliendo l’appello principale proposto dalla S. Costruttori s.p.a., ha rigettato la domanda di annullamento della delibera dell’assemblea dell’indicata società del 5 settembre 2001, proposta da F.S.S., in proprio e quale legale rappresentante della S. s.r.I., nonché da A.S., F.S., C.S. e S.P.S.
2. La Corte territoriale ha rilevato che l’art. 17 dello statuto sociale, nel richiedere la maggioranza del 60% per le assemblee, sia in prima che in seconda convocazione, per gli argomenti concernenti talune materie, riguardava soltanto le delibere aventi per oggetto tali materie e non comprendeva anche quelle aventi ad oggetto la modifica di tale previsione.
In conseguenza, essa ha ritenuto che legittimamente l’assemblea del 5 settembre 2001 aveva proceduto a mutare tale clausola, ai sensi dell’art. 2369 cod. civ., nel testo previgente alle modifiche apportate dal d. Igs. n. 6 del 2003, ossia con il voto favorevole di soci titolari di azioni rappresentanti più di un terzo del capitale sociale, pur tenendo conto delle azioni proprie, ai sensi dell’art. 2357-ter, secondo comma cod. civ., anch’esso nel testo previgente, ai fini del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo.
La Corte d’appello ha ritenuto insussistente il lamentato abuso della maggioranza in quanto: a) quest’ultimo non sarebbe configurabile con riferimento ad una delibera che, in sé legittima, costituisce mero atto preparatorio della decisione asseritamente abusiva; b) pur volendo considerare il risultato finale di procedere, con la diversa maggioranza risultante dalla modifica dello statuto, all’annullamento delle azioni proprie, con conseguente riduzione del capitale sociale e ricostituzione dello stesso a titolo gratuito, ossia, in altre parole, l’obiettivo di rimuovere una situazione che ostacolava le finalità deliberative, comunque l’art. 17 dello statuto aveva sottratto alla maggioranza qualificata le delibere aventi ad oggetto le modifiche dello statuto, in tal modo attribuendo solo temporaneamente e in modo precario ai soci di minoranza un peso determinante nell’adozione delle decisioni riguardanti le suddette materie; c) non era stata dimostrata l’intenzionalità specificamente dannosa perseguita dal socio di maggioranza di sottrarsi al controllo della minoranza sulle irregolarità contestate nell’amministrazione della società, alla luce della meritevolezza dell’interesse perseguito di superare gli ostacoli all’efficienza assembleare derivanti dai dissidi tra i soci e, in ogni caso, dell’assenza di un vantaggio ingiustificatamente conseguito con l’operazione descritta.
3. Avverso tale sentenza, F.S.S., in proprio e quale legale rappresentante della S.. s.r.I., A.S., F.S., C.S. e S.P.S. propongono ricorso per cassazione affidato a sedici motivi.
Resiste con controricorso la S.C. s.p.a.
Nell’interesse di tutte le parti sono state depositate memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Svolgimento del processo
1. Per ragioni di economia espositiva e tenuto conto della loro stretta connessione logica, verranno esaminati congiuntamente i primi otto motivi di ricorso.
2. Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1364 cod. civ., per avere la sentenza impugnata travisato il significato letterale dell’art. 17 dello statuto societario del quale si discute, ritenendo che una diversa esegesi avrebbe finito per attribuire alla previsione negoziale un significato estraneo agli oggetti sui quali le parti si erano proposte di contrattare.
3. Con il secondo motivo, si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., per avere la Corte territoriale trascurato di attribuire rilievo al significato letterale della clausola, anche alla luce del complessivo tenore del regolamento negoziale.
4. Con il terzo motivo si lamenta contraddittorietà della motivazione, per avere la sentenza impugnata, nel ricercare la comune intenzione delle parti, esattamente rilevato che la clausola statutaria aveva la funzione di garantire l’equilibrio tra le parti, evitando che in assemblea un gruppo prevalesse sull’altro, salvo poi erroneamente affermare che, nel corso del tempo, entrambi i gruppi avevano accresciuto la propria partecipazione in misura superiore a detta maggioranza.
5. Con il quarto motivo si lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., oltre che vizi motivazionali, valorizzando le medesime considerazioni di cui al motivo che precede e sottolineando la sostanziale circolarità dell’apparato argomentativo della sentenza impugnata, che ha desunto da un ipotetico significato attribuito alla previsione statutaria l’intenzione storica dei contraenti, per poi utilizzare quest’ultima come riscontro logico confermativo del ritenuto significato letterale della clausola.
6. Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1366 e 1367 cod. civ., per avere la Corte territoriale recepito una interpretazione della clausola statutaria destinata a vanificarne sostanzialmente la portata, dal momento che consentiva, attraverso due passaggi deliberativi, di ottenere lo stesso risultato precluso ad una sola delibera.
7. Con il sesto motivo si lamenta insufficiente motivazione, per avere la Corte d’appello trascurato di considerare gli effetti paradossali provocati dalla conclusione di ritenere non protetta la disposizione destinata a proteggere, con la previsione di una maggioranza rafforzata, determinati equilibri societari.
8. In relazione alle stesse considerazioni, con il settimo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1366 cod. civ. e con l’ottavo motivo si lamenta insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia.
9. Le censure svolte negli otto motivi riassunti sono, nel loro complesso, fondate. Al riguardo, occorre premettere che il sindacato di legittimità sull’interpretazione fornita dal giudice di merito, quanto al contenuto delle previsioni contrattuali, ha ad oggetto non già la ricostruzione della volontà delle parti bensì solamente la individuazione dei criteri ermeneutici scelti e del processo logico seguito dal giudice di merito, al fine di verificare se sia incorso in vizi del ragionamento o in errore di diritto (v., ad es, Cass. 29 luglio 2004, n. 14495).
Nel sistema normativo delineato dagli artt. 1362 e ss. cod. civ., si osserva che la verifica condotta alla stregua della formulazione letterale deve comunque essere accompagnata dalla applicazione dei criteri dell’interpretazione dell’interpretazione funzionale, ai sensi dell’art. 1369 cod. civ., e dell’interpretazione secondo buona fede, ai sensi dell’art. 1366 cod. civ., che si caratterizzano quali primari criteri d’interpretazione soggettiva, e non già oggettiva, del contratto, avendo riguardo allo scopo pratico perseguito dalle parti con la stipulazione del contratto e quindi alla relativa causa concreta (v., di recente, Cass. 22 ottobre 2014, n. 22343, la quale ribadisce che il primo di tali criteri consente di accertare il significato dell’accordo in coerenza appunto con la relativa ragione pratica o causa concreta, laddove il secondo si specifica in particolare nel significato di lealtà, al fine di non suscitare falsi affidamenti e non speculare su di essi come pure nel non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nella controparte). In tale prospettiva, va osservato che, proprio muovendo dai dati fattuali assunti dalla sentenza impugnata e dalla ricostruzione della causa negoziale, quale accertata dalla Corte territoriale, emerge che la soluzione interpretativa raggiunta non risponde ai sopra ricordati criteri ermeneutici.
Ed, infatti, proprio alla stregua del fondamentale criterio di buona fede, illuminato dal rilievo della intenzione comune delle parti, appare intrinsecamente contraddittorio, in presenza di una clausola statutaria finalizzata a garantire, con riferimento a determinate materie, un potere di interdizione ad una minoranza determinata, contemporaneamente consentire alla maggioranza non qualificata di modificare liberamente la previsione che tale potere attribuisce. In altre parole, salva una non equivoca diversa volontà negoziale, nella specie insussistente, una clausola che protegga la minoranza richiedendo una maggioranza rafforzata per le delibere aventi ad oggetto gli argomenti concernenti determinate materie non può essere modificata da una maggioranza più limitata. E che tale fosse la funzione dell’art. 17 dello statuto della S.C. s.p.a. si desume proprio dalla ricostruzione causale operata dalla sentenza impugnata che ha colto nella clausola della quale si discute l’obiettivo di fissare i rapporti di forza esistenti al momento e di assicurare la persistenza degli stessi attraverso la previsione di una maggioranza che imponeva l’accordo tra i diversi gruppi.
Ne discende, alla luce di tali principi di diritto e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, che la presente controversia può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma secondo, cod. proc. civ., nel senso dell’annullamento della delibera assembleare del 5 settembre 2001,con la sola esclusione della parte in cui ha modificato l’art. 17 dello statuto della S.C. s.p.a. con riferimento alla maggioranza necessaria per l’approvazione da parte dell’assemblea ordinaria di seconda convocazione del bilancio di esercizio e per la nomina e revoca dalle cariche sociali.
Con riguardo a tali profili, infatti, si tratta dell’adeguamento a previsioni imperative di legge (v., ad es., Cass. 16 marzo 1990, n. 2198) dello statuto, invalido in quanto prevedeva un quorum costitutivo, per la assemblee ordinarie di seconda convocazione maggiore di quello previsto dall’art. 2369, terzo comma, cod. civ., con riferimento agli argomenti di cui ai punti 1 e 2 dello stesso comma primo dell’art. 17 dello statuto (e, infatti, a conferma di tale interpretazione, si veda il testo attuale dell’art. 2369, quarto comma, cod. civ.).
10. Le considerazioni che precedono conducono a ritenere assorbiti i restanti motivi, con i quali, rispettivamente, si denuncia: a) l’omesso esame di un motivo di appello concernente l’inconferenza del richiamo ai diritti indisponibili come limite al principio maggioritario (nono motivo): b) sotto plurimi profili, l’erroneità delle conclusioni della Corte territoriale in ordine alle modalità di computo delle azioni proprie, ai fini del quorum deliberativo, in relazione agli artt. 2357-ter e 2369 cod. civ. (decimo e undicesimo motivo); c) sotto vari profili, l’illegittimità della decisione, quanto al lamentato abuso di potere della maggioranza (motivi dal dodicesimo al sedicesimo).
11. La novità delle questioni esaminate giustifica la compensazione tra le parti delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
Accoglie i primi otto motivi di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi; in relazione al disposto accoglimento, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla la delibera assembleare impugnata, con la sola esclusione della parte in cui ha modificato l’art. 17 dello statuto della S.C. s.p.a., con riferimento alla maggioranza necessaria per l’approvazione da parte dell’assemblea ordinaria di seconda convocazione del bilancio di esercizio e per la nomina e revoca dalle cariche sociali. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.