Cass. Civ., sez. trib., sentenza 22 febbraio 2016 n. 6798
Corte di Cassazione, Sezione tributaria, sentenza 22 febbraio 2016, n. 6798
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 09/09/2015 il Tribunale di Milano, sezione riesame, confermava il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente emesso nei confronti di A.F. in data 20/07/2015 dal Gip presso lo stesso Tribunale, per il reato di cui agli artt. 110, cod. pen., 11, d.lgs. 74/2000, in concorso con altri, relativamente ad ipotizzati atti fraudolenti commessi al fine della sottrazione dal pagamento delle imposte sui redditi della M. & G. srl. Quanto al fumus commissi delicti osservava il Tribunale che, refluendo il procedimento de quo da altro procedimento riguardante anche altri soggetti in relazione ad un illecito traffico di rifiuti, l’A. avrebbe prestato la propria consulenza appunto al fine di agevolare C.M., titolare della M. & G. srl, nel raggiungimento dello scopo di ostacolare l’attività di riscossione coattiva avviata da E. per un credito fiscale da evasione di imposte dirette pari ad euro 1.805.456,15. Specificamente la condotta ascritta al professionista risultava da files attratti dal suo personal computer in sede di verifica fiscale della GdF, nei quali erano ipotizzati due distinti modi (costituzione di un Trust; cessione di un immobile) di depauperamento patrimoniale fraudolentemente preordinato alla diminuzione della garanzia patrimoniale generica di detto credito erariale, essendo peraltro tale indizio corroborato da intercettazioni telefoniche tra altri soggetti nonché tra uno di essi e lo stesso A. che riguardavano il ruolo dell’indagato nella strategia inerente lo scopo delittuoso in questione. Venivano poi riscontrate e contraddette le singole tesi difensive sia in ordine all’elemento oggettivo che in ordine all’elemento soggettivo del reato de quo. Quanto poi all’oggetto della disposta misura cautelare reale, rilevava anzitutto il Tribunale che vertendosi in ipotesi di sequestro finalizzato alla confisca, ancorché per equivalente, non fosse necessaria la sussistenza di un pericolo in relazione all’eventuale commissione di altri reati e che la ricerca dell'”equivalente” nel patrimonio di soggetti diversi dal contribuente, quali appunto l’A., era consentito ogni qualvolta, come nel caso di specie, non fosse possibile la “confisca diretta” ossia del profitto del reato nel patrimonio del contribuente, quindi il relativo sequestro preventivo. In secondo luogo affermava la corretta determinazione dell’entità del “profitto” sequestrabile/confiscabile (per equivalente), ben potendosi sequestrare tale valore “per intero” presso ciascun concorrente nel reato, salva riduzione in sede di esecuzione della disponenda confisca.
2. Avverso l’ordinanza di riesame, tramite il difensore fiduciario, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, con deduzione di tre articolati motivi.
2.1 Con un primo motivo si duole della erronea applicazione di legge e la carenza assoluta di motivazione in relazione alla sussistenza del fumus commissi delicti.
In questo senso anzitutto censura la mancanza di autonoma valutazione di tale profilo da parte del giudice di seconda istanza, avendo comunque a suo dire il Tribunale omesso totalmente ogni considerazione delle sue argomentazioni difensive in ordine al contenuto dell’atto istitutivo del trust M. & G. ed alla perizia asseverata dell’arch. A. Ribadiva comunque rispetto alla prima argomentazione difensiva l’inutilizzabilità dei files acquisiti dal proprio personal computer in sede di verifica fiscale da parte della GdF.
2.2 Con un secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio motivazionale assoluto sulla questione del profitto sequestrabile. In primo luogo denuncia l’erroneità delle considerazioni del Tribunale in ordine all’esatta determinazione dell’ammontare, astrattamente, sequestrabile, in difformità, per eccesso, rispetto a quella fatta dal Gip, dovendosi affermare, appunto diversamente da quanto sostenuto nell’ordinanza impugnata, che tale valore deve essere identificato nell'”equivalente” dell’operazione oggetto della sottrazione fraudolenta e quindi nel caso di specie in una somma non superiore al valore dell’unica cessione immobiliare accertata, senza possibilità di riferirsi al trust per le ragioni esposte relativamente al primo motivo di ricorso.
2.3 Con un terzo motivo censura il provvedimento impugnato per violazione di legge in riferimento alla affermata sussistenza dei presupposti per procedere alla confisca per equivalente dei suoi beni. Il ricorrente indica infatti la possibilità che venisse disposta la confisca “diretta” del profitto del reato, in tesi di accusa costituita dalla acquisizione delle quote della società S. srl, appunto avvenuta mediante storno fittizio dell’incasso del prezzo della cessione imputata al C., non essendo a questo fine di ostacolo che tali quote fossero già state sequestrate con analogo provvedimento cautelare, ancorché da altra A.G. e per diverso titolo di reato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
2. Con la prima doglianza il ricorrente censura l’ordinanza impugnata per violazione di legge e mancanza di motivazione del fumus commissi delicti relativamente all’imputazione provvisoria mossagli ex art. 11, d.lgs. n. 74/2000. Sostiene anzitutto che la costituzione del Trust M. & G. srl non esplica effetti a tale fine, poiché nello stesso non sono affluiti beni di alcun tipo provenienti dal patrimonio della debitrice fiscale M. & G. srl, come certificato dalla GdF con nota del 4 maggio 2015, e lamenta altresì l’omessa motivazione sul punto da parte del Tribunale di Milano. In secondo luogo afferma che il Tribunale medesimo non abbia preso in alcuna considerazione la valutazione data al patrimonio della M. & G. srl con perizia asseverata dall’arch. A., dimostrativa che, anche al netto della cessione immobiliare oggetto di accusa (immobile sito in Lazzate), tale patrimonio è del tutto capiente rispetto alla pretesa fiscale (immobili per il valore stimato di euro 4.648.603,00; prezzo di cessione di detto immobile pari ad euro 528.061,00). In terzo luogo contesta la legittimità dell’acquisizione di files dal suo personal computer in sede di verifica tributaria da parte della GdF, per violazione delle previsioni di cui all’art. 247, comma 1 bis, cod. proc. pen.
Il motivo è infondato.
I primi due profili non hanno alcun rilievo in ordine alla configurazione, ancorché provvisoria e cautelarmente finalizzata, del reato di cui all’art. 11, d.lgs., n. 74/2000 a carico dell’indagato. Infatti che il Trust M. & G. non abbia ricevuto conferimenti, in particolare immobiliari, ovvero che il patrimonio della M. & G. possa essere capiente rispetto alla pretesa fiscale penalmente tutelata dalla norma incriminatrice de qua, sono fatti che non incidono sulla concreta applicabilità della medesima, trattandosi di un reato non di danno, bensì di pericolo, eventualmente permanente, la cui consumazione si protrae per tutto il tempo in cui vengono posti in essere atti idonei a insidiare patrimonialmente l’adempimento dell’obbligazione tributaria (Cass, Sez. 3, n. 37415 del 25/06/2012, Tonetto, 253359).
Tale configurazione del reato in questione si attaglia pienamente alle fattispecie in esame e viene ampiamente illustrata nella motivazione della ordinanza impugnata, anche per relationem con il provvedimento del Gip. In essa particolarmente si rileva che la stessa costituzione del Trust è atto che di per sé mette in pericolo la garanzia patrimoniale del credito fiscale, potendo in qualsiasi momento essere ceduto a esso e quindi segregato un valore economico rientrante nel patrimonio della M. & G. ed essendo d’altro canto proprio questa la finalità per la quale, espressamente, il Trust è stato costituito. Sottolinea, correttamente, il Tribunale che tale intenzione, concretizzante il dolo concorrenziale ascritto -anche- al prevenuto, risulta tabularmente sia dalle premesse dell’atto costitutivo del Trust sia dai files acquisiti presso il personal computer dell’A.; che in quest’ultimi esso è indicato quale modalità di attuazione del disegno frodatorio in oggetto, unitamente alla cessione dell’immobile di Lazzate; che la pericolosità concreta di questo secondo atto, giuridicamente perfezionato, consiste nel fatto che tramite lo stesso il patrimonio della M. & G. è stato significativamente depauperato, mediante una complessa operazione simulata che ha fatto sì che B.R., socia di detta società e già convivente del suo titolare C.M., divenisse titolare delle quote della S. Service srl utilizzando il prezzo della cessione immobiliare oggetto dell’imputazione che le è stato girato quale rimborso, peraltro fittizio, di crediti per finanziamento alla M. & G. medesima.
Infine sempre in ordine al dolo dell’A. di concorso nel reato fiscale de quo va rilevato che nell’ordinanza, come peraltro ritenuto legittimo da consolidata giurisprudenza di questa Corte, il Tribunale fa espresso ed integrale rinvio alla motivazione dell’ ordinanza cautelare del Gip, dalla quale rinviene l’ulteriore rilevante considerazione che il ruolo attivo e di primo piano assunto dall’A. stesso si possa desumere anche dall’univoco significato che in questo senso assume la conversazione intercettata tra F.A. e S.M. in data 21/10/2013 ed in quella che la riscontra tra il ricorrente ed il F. intercettata il 31/10/2013, oltre alla circostanza che in data 19/05/2014 la sede legale della M. & G. sia stata trasferita presso lo studio professionale del ricorrente medesimo.
Sul punto va poi notato che non può considerarsi vizio motivazionale dell’ordinanza stessa il non aver approfondito la questione, posta in sede di riesame della misura cautelare de qua, della “capienza” del patrimonio immobiliare residuo della società debitrice fiscale, sulla base della consulenza, pur asseverata, dell’arch. A. Trattasi all’evidenza di questione pertinente al merito dell’accusa, che non può essere affrontata funditus sul piano delle valutazioni cautelari di competenza del Tribunale del riesame di Milano.
In ogni caso va notato che nella struttura ontologica del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, l'”idoneità” delle condotte è riferita all’inefficacia della esecuzione esattoriale sia “in tutto” sia “in parte”. Il che appunto sta a significare che anche una non totale diminuzione della garanzia patrimoniale generica offerta dal patrimonio del debitore fiscale deve pacificamente considerarsi condotta penalmente rilevante nell’ambito di questo titolo di reato.
In ordine ai files acquisiti dal PC dell’indagato, il vizio di legittimità dedotto in questa sede, quale terzo profilo del primo motivo di ricorso, nemmeno può affermarsi sussistente. Ritiene infatti il Collegio che debbano essere seguiti i più recenti indirizzi ermeneutici di questa Corte secondo i quali, per un verso «In materia di illeciti tributari gli elementi raccolti durante gli accessi, le ispezioni e le verifiche compiute dalla Guardia di Finanza per l’accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e delle imposte dirette sono sempre utilizzabili quale “notitia criminis”, in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l’operato della polizia giudiziaria, sicché la mancanza o l’irregolarità formale dell’autorizzazione, se è causa di invalidità dell’accertamento fiscale, non riverbera i suoi effetti sull’accertamento penale» (Sez. 3, n. 12017 del 07/02/2007, Monni, Rv. 235927); per altro verso «L’ illegittimità della perquisizione non invalida il conseguente sequestro, qualora vengano acquisite cose costituenti corpo di reato o a questo pertinenti, dovendosi considerare che il potere di sequestro, in quanto riferito a cose obbiettivamente sequestrabili, non dipende dalle modalità con le quali queste sono state reperite, ma è condizionato unicamente all’acquisibilità del bene e alla insussistenza di divieti probatori espliciti o univocamente enucleabili dal sistema» (Sez. 2 n. 26819 del 23/04/2010, PM in proc. Ceschini, Rv. 247679), ben potendosi considerare detti files, ai fini dell’applicazione di questo secondo principio di diritto, quali “cose pertinenti” al reato.
3. Di contro devono ritenersi fondati il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
3.1 Con il secondo motivo l’A. lamenta la violazione di legge in ordine alla determinazione del “profitto sequestrabile” ed allega la sussistenza di un vizio motivazionale assoluto di tale punto dell’ordinanza impugnata.
Sotto tale profilo il Tribunale, ribaditi i pur pertinenti arresti di principio della giurisprudenza di legittimità anche a SU, ha osservato che nel caso di specie il profitto sequestrabile “per equivalente” presso l’indagato quantitativamente corrispondesse al debito fiscale, principalmente per l’imposta evasa, gravante sulla M. & G. e dunque oltre euro 1.500.000,00, traendone la conseguenza che i beni sequestrati in concreto all’A., anche in considerazione dell’andamento negativo del mercato immobiliare, fosse ben al di sotto di detto valore sequestrabile/confiscabile. Il Tribunale, sempre in base ai precedenti di questa Corte, ha poi anche rilevato che rispetto a tutti i correi il sequestro può legittimamente essere disposto per l’intero ossia fino all’entità del profitto complessivo.
Queste considerazioni risultano erronee quanto alla premessa giuridica ossia in ordine alla esatta quantificazione del profitto sequestrabile e quindi confiscabile.
Ritiene infatti il Collegio di aderire alla giurisprudenza di legittimità che, difformemente da quanto affermato nell’ordinanza impugnata, in relazione alla fattispecie incriminatrice astratta de qua più recentemente ha sancito che il profitto del reato va individuato non nell’ammontare dell’imposta evasa, essendo semmai tale quello dei diversi reati di evasione fiscale eventualmente commessi, quanto invece nel valore dei beni sottratti all’esecuzione fiscale, essendo questo più propriamente l’oggetto della condotta incriminata, la cui ratio è pacificamente la tutela della garanzia generica del credito tributario e non il credito in quanto tale (vedi Sez. 3, n. 10214 del 22/01/2015, Chiarolanza e precedenti nella medesima citati).
A tale, diverso e specifico, principio dovrà dunque uniformarsi il giudice del rinvio.
3.2 Con il terzo motivo l’A. si duole della violazione di legge relativamente all’affermazione della sussistenza dei presupposti per procedere al sequestro “per equivalente” dei suoi beni. In particolare cita uno dei principi della sentenza delle SU di questa Corte n. 10561/2014, Gubert, secondo il quale «il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili per qualsiasi ragione».
Anche su questo punto il ricorso è fondato.
Ritiene infatti il Collegio di doversi adeguare a tale principio di diritto, così come poi evoluto e specificato da una seguente pronuncia di questa Corte (Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015, PM in proc. Scognamiglio, Rv. 265028) secondo la quale « In tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato. (Fattispecie in cui la Corte ha escluso la legittimità dell’emissione di un decreto di sequestro per equivalente in difetto di una verifica, sommaria e allo stato degli atti, dell’impossibilità di procedere al sequestro di somme di denaro, costituendo quest’ultimo un sequestro in forma “diretta”)».
Né il Gip né il Tribunale in sede di appello cautelare hanno minimamente motivato in relazione a detti principi di diritto, la cui applicazione quindi dovrà esserne cura in sede di rinvio, nella quale dunque bisognerà considerare le prospettate possibilità di confisca “diretta” del profitto del reato tributario di che si tratta, presso la M. & G., società debitrice fiscale, ovvero presso chiunque tale profitto detenga, anche per effetto della trasformazione del denaro in beni materiali ovvero immateriali.
Al giudice del rinvio è poi riservata la individuazione del profitto concretamente sequestrabile -se le quote della S. Service srl, come prospetta il ricorrente, o altro- trattandosi all’evidenza di una valutazione di tipo meritale, che non pertiene a questa sede di legittimità.
Questo accertamento andrà peraltro coordinato con quello di cui al secondo motivo di ricorso ossia si dovrà tener conto della necessità di una individuazione giuridicamente corretta dell’ammontare del profitto sequestrabile ai fini confiscatorii.
4. In conclusione, accolti il secondo ed il terzo motivo di ricorso, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Milano, sezione per il riesame.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Milano, sezione per il riesame.