Corte di Cassazione

30 Aprile 2019

Cass. Civ., Sez. Unite, sentenza 4 febbraio 2015, n. 1955

Cassazione Civile, sentenza n. 1955 del 4 febbraio 2015

Fatto

Con sentenza n.117/44/12, depositata il 27.9.2012 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava gli appelli riuniti proposti dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 396/01/10 che ha annullato l’avviso di liquidazione di imposta di registro e irrogazioni sanzioni, nei confronti della società O.M. s.p.a., per l’omessa registrazione del contratto di cessione d’azienda,risultante dal complesso di operazione posta in essere dalla società OE s a r.l., quale avente causa dalla società O.M. s.p.a., per un valore di cessione di €199.325.190,00.

Rilevava, al riguardo, la Commissione Tributaria Regionale la carenza probatoria in relazione agli atti presupposti che avrebbero integrato la cessione del ramo d’azienda, osservando come il trasferimento contestato di otto dipendenti dalla società O.M. S.p.a. alla società O.E. sar.l. aveva trovato riscontro documentale in relazione a un unico soggetto, che la lista clienti della società O.M. s.p.a. era stata ceduta, quale componente del ramo di azienda preposto alla distribuzione, alla società O.S. and Distribution e non alla società O.E. sar.l. e che i programmi software asseritamente trasferiti ritenuti provvisti di contenuti innovativi ideati dalla O.M. s.p.a., sono risultati i fogli di calcolo Microsoft excel senza prova che siano stati funzionali alla implementazione del sistema informatico SAP a livello di gruppo.

In relazione al subentro di contratti di fornitura tra le predette società la CTR ha osservato che la società O.E. s a r.l. aveva esteso i rapporti contrattuali limitate l’Italia a più vasto contesto di nazioni europee, rilevando, con riferimento all’abuso del diritto, che l’ufficio nulla aveva argomentato al riguardo.

Con sentenza n. 30/44/13, depositata il 8.5.2013, la Commissione Tributaria Regionale della Campania rigettava l’appello proposto dalla società O.E. sar.l., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Napoli n. 272/21/12 che ha confermato l’avviso di accertamento Iva,per gli anni 2006 e 2007, per un maggior importo rispettivamente di € 20.281.981,00 e 3.090.088,00, oltre, su entrambi gli importi, interessi e sanzioni, nei confronti della società O.E. sar.l.,

La somma veniva recuperata a tassazione, in relazione al primo accertamento, per la ritenuta indetraibilità dell’Iva in relazione a un’operazione di cessione di beni esistenti nel magazzino della società O.M. s.p.a., mentre, con riferimento all’anno 2007, veniva ritenuta la indetraibilità dell’Iva in relazione a una somma riconosciuta versata dalla società O.M. s.p.a. quale indennizzo di spoliazione.

La CTR affermava, al riguardo, la natura di cessione di ramo d’azienda della operazione commerciale di cessione dalla società O.M. s.p.a. alla società O.E. sar.l. dei beni di magazzino, con conseguente esclusione dell’applicazione dell’lva e dei conseguenti meccanismi della relativa rivalsa e detrazione che avevano comportato la neutralizzazione del l’imposta.

Rilevava anche la Commissione Tributaria Regionale la insussistenza dei presupposti per la sospensione necessaria del giudizio in attesa della decisione di quello pendente dinanzi alla CTR della Lombardia, avente ad oggetto la qualificazione della natura giuridica delle medesime operazioni, rilevando come si tratti di identità di questione giuridica tale da poter determinare un potenziale contrasto di giudicati, rilevando come non sussista, tuttavia una pregiudizialità logica tra le due questioni.

Osservava la C TR della Campania come le emergenze probatorie consentissero di ritenere integrata la cessione del ramo d’azienda, rilevando, in particolare,come la cessione del magazzino non costituiva operazione a sé stante ma andava inquadrata in una complessa operazione di ristrutturazione in base alla quale la società italiana ha dismesso l’attività suindicata per conto proprio, limitandosi a produrre per conto terzi e subentrando in quella di commercializzazione la società O.E.sar.l. divenuta proprietaria di tutte le materie prime necessarie per la produzione dei contenitori di vetro, nonché degli stampi.

Con riferimento alla remunerazione di € 14.938.000,00 per il c.d. ” valore di spoliazione”, i giudici di merito rilevavano come in effetti riguardasse il valore dell’avviamento oggetto di cessione e che, con tale ulteriore atto, la società cedente era stata ricompensata per il trasferimento del ramo d’azienda.

Aggiungeva, inoltrerà CTR come le parti non abbiano inteso solo cedere i beni di magazzino, ma anche la proprietà del prodotto finito, della materia prima e degli stampi, finalizzata all’accentramento, in capo la società cessionaria, dell’attività di produzione che la società cedente ha proseguito solo per conto terzi, in quanto privata di ogni autonomia decisionale e responsabilità gestionale, deducendone i giudici di merito che proprio la mancanza dell’attività produttiva in proprio, ma solo quale contoterzista e sulla base delle direttive della società O.E. sa r.l., era indicativa dell’avvenuta cessione del ramo d’azienda da parte della O.M. s.p.a. alla O.E. s a r.l..

Osservava, inoltre che, al fine di celare la reale natura dell’atto, solo per un dipendente, peraltro in posizione apicale vi era stato un formale trasferimento mentre per altri dipendenti era stato operato un distacco e per due di essi un trasferimento presso la O.S. and Distribution ( società partecipata al 90% dalla O.E. s a r.l. che prosegue l’attività di produzione per conto di quest’ultima).

Rilevava,confrontando le ulteriori argomentazioni difensive della società O.E. s a r.l. come la valutazione del complessivo contenuto in funzione dell’atto negoziale era nel senso di ritenere che fosse stato stipulato, tra le indicate società, cessione di ramo d’azienda, coerente con il complessivo processo di riorganizzazione a livello europeo dell’attività della società cessionaria.

La CTR respingeva anche la l’eccezione relativa alla violazione dei principi di neutralità ed effettività dell’Iva.

L’Agenzia delle entrate impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia deducendo i seguenti motivi:

a) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. cinque, c.p.c. non avendo i giudici di merito rilevato come l’operazione ha comportato anche una cessione di beni materiali da O.M. s.p.a. a O.E. sar.l omettendo di valutare nel loro insieme la cessione dell’intero magazzino, materie prime, stampi e prodotti finiti, trasferimento di beni materiali (know how, marketing intangibles e software), subentro nei contratti in essere con i fornitori, cessione di contratti, distacco di personale con funzioni chiave presso società O.E. sar.l.;

b) vizio di motivazione su un fatto decisivo è controverso del giudizio, in relazione all’art. 360, n. cinque, c.p.c. avendo omesso la sentenza di giustificare le ragioni per le quali è stato disatteso il contenuto del p.v.c. nella parte in cui si precisava che la ricostruzione dei verificatori si concentrava sulle mansioni svolte pre e post restructuring del personale in posizione apicale (dirigenti) che avrebbero cessato di svolgere le proprie mansioni della società italiana e iniziato a svolgerle per la società elvetica, non avendo valutato che la cessione di ramo di azienda così realizzata, con riferimento al personale dipendente, anche nell’ipotesi in cui lo stesso, in misura prevalente, sia transitato alle dipendenze solo funzionali della cessionaria (nello specifico in posizione di distacco) costituisce un abuso finalizzato ad occultare l’intervenuta effettiva cessione del ramo d’azienda;

c) violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 c.c., del d.p.r. 131/1986 e del principio del divieto di abuso del diritto, rilevando come la CTR non abbia valutato che la cessione di ramo d’azienda possa realizzarsi anche nell’ipotesi in cui il personale dipenderne della cedente,in misura largamente prevalente, sia transitato alle dipendenze solo funzionali della cessionaria, nello specifico in posizione di distacco.

d) violazione e falsa applicazione dell’art. 20 del d.p.r. 131/ 1986 e del principio del divieto di abuso del diritto, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c. rilevando come il contralto di cessione di ramo d’azienda sia sullo occultato abusando dell’operazione di ristrutturazione del gruppo, senza che sia necessario che il transito del personale avvenga alle dipendenze formali del cessionario;

La intimata si è costituita con controricorso, presentando anche memorie.

La O.E. sa r.l., impugna la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania deducendo i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 19 della direttiva 2006/112/CE e dell’art. due, comma tre, lettera b) d.p.r. 633/1972, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c. rilevando come la normativa nazionale esclude dal campo di applicazione dell’Iva la cessione di azienda o di rami di azienda, e costituisce norma di attuazione dell’art. 19 della direttiva 2006/112/CE (c.d. sesta direttiva Iva). Rilevava inoltre: 1) errata individuazione di un trasferimento di azienda in assenza di sostituzione da parte dell’asserito cessionario dell’attività svolta dall’asserita cedente, chiedendo, in via subordinata il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 2) errata qualificazione come trasferimento di azienda di operazioni che coinvolgono una pluralità di soggetti asseritamele cessionari e non solo la società O.E. s a r.l., in contrasto con la direttiva 2006/112/CE e la relativa norma di recepimento in ambito nazionale, in quanto l’azienda non può essere smembra e ceduta a una pluralità di cessionari, essendo necessario che l’operazione riguardi un unico cedente e un unico cessionario;

b) omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360, n. cinque, c.p.c., non avendo la CTR valutato ai fini della ritenuta cessione del ramo di azienda, l’esistenza di un software elaborato da O.M. s.p.a. e ceduto a OC e le circostanze che i contratti con i fornitori erano nuovi e diversi rispetto a quelli della società asseritamente cedente, e l’effettivo riconoscimento dell’indennità di spoliazione;

c) omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, n. cinque c.p.c., nella versione vigente ante novella L. 83/ 2012, non avendo la CTR valutato le circostanze di fatto sopra evidenziate;

d) violazione e falsa applicazione del principio di neutralità dell’Iva, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c., non essendosi prodotto alcun danno erariale in quanto O.M. s.p.a. ha versato riva addebitata a O.C.;

e) violazione e falsa applicazione del principio di effettività dell’Iva, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c. in quanto la negazione del diritto di detrazione del l’iva si pone in contrasto con il principio di definitività nella riscossione dell’imposta. rilevando come, in forza delle pronunce della Corte di Giustizia, il principio di definitività risulta violato ogniqualvolta, in presenza di indebito versamento Iva, il soggetto passivo non possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria di uno Stato membro che ha incassato, senza titolo, l’imposta medesima;

f) violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ex art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. quattro, c.p.c. per omessa pronuncia da parte della CTR della dedotta violazione del principio di effettività dell’Iva in entrambi i gradi di merito;

g) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma cinque, legge 212/2000, in relazione all’art. 360, n. tre c.p.c., essendosi la verifica posta a fondamento degli avvisi di accertamento protratta per oltre un anno

h) violazione e falsa applicazione dell’art.8, D.lgs 546/ 1992 e dell’art. 10, comma tre legge 212/ 2000, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c., ritenendo sussistenti obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito applicativo della norma violata da cui scaturisce la pretesa erariale;

i) violazione e falsa applicazione dell’art. 12, comma quinto, D.lgs 472/ 1997, in relazione all’art. 360, n. tre, c.p.c., rilevando l’erronea applicazione dell’istituto della continuazione, ritenendo applicabile, con riguardo al periodo d’imposta 2007, l’istituto del cumulo giuridico, aumentando di un quarto la sanzione base per la violazione più grave;

La Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.

Le società presentavano memorie.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 7.11.2014, in cui il PG ha concluso come in epigrafe.

Motivi della decisione

1. Osserva preliminarmente il Collegio che i due ricorsi proposti avverso atti impositivi riguardanti un unitario contesto di operazioni aziendali, vanno riuniti, stanti gli evidenti motivi d’intima connessione soggettiva ed oggettiva.

Detta riunione può essere disposta ai sensi dell’art. 273 c.p.c., applicabile anche al giudizio di Cassazione, in quanto le Sezioni unite di questa Corte (sentenza 13 settembre 2005, n. 18125) hanno affermato che l’istituto della riunione di procedimenti relativi a cause connesse, previsto dall’art. 274 c.p.c., in quanto volto a garantire l’economia e il minor costo dei giudizio, oltre alla certezza del diritto, risulta applicabile anche in sede di legittimità, in relazione a ricorsi proposti contro sentenze diverse pronunciate in separati giudizi, in ossequio al precetto costituzionale della ragionevole durata del processo, cui è funzionale ogni opzione semplificatoria e acceleratoria delle situazioni processuali che conducono alla risposta finale sulla domanda di giustizia, e in conformità al ruoto istituzionale della Corte di Cassazione che, quale organo supremo di giustizia, è preposta proprio ad assicurare l’uniforme interpretazione della legge, nonché l’unità del diritto oggettivo nazionale”. Tale principio tanto più vale in presenza di sentenze legate l’una all’altra da un rapporto di connessione (o pregiudizialità) e impugnate, ciascuna, con separati ricorsi per Cassazione (cfr. anche Cass. 4 aprile 1997, n. 2922; 18 aprile 2003, n. 6328; Cass. 5 aprile 2006 n. 7966; Cass. 22 giugno 2007 n. 14607; Cass. 17 giugno 2008 n. 16405; Cass. S.U. 4 agosto 2010 n. 18050 e 23 gennaio 2013 n. 1521; nonché, in materia tributaria, Cass. 19 gennaio 2007 n. 1237; Cass. 11 maggio 2007 n. 10792; Cass. 26 febbraio 2009 n. 4627, in motivazione).

Nella fattispecie il ricorso 28856/2012 ha ad oggetto l’avviso di liquidazione imposta di registro ed accessori e sanzioni, per violazione dell’obbligo di chiedere la registrazione ex art. 10 ss. d.p.r. n, 131/86 per cessione di ramo d’azienda da parte della O.M. alla O.E. CTP e la CTR Lombardia ha ritenuto infondata la pretesa erariale, non reputando configurabile la cessione di ramo d’azienda, privilegiando, in sostanza, la prospettazione “atomistica” dell’oggetto delle cessioni.

Il ricorso 23405/2013 ha ad oggetto un avviso di accertamento per il recupero di IVA 2006, ritenuta dall’Ufficio indetraibile in relazione a cessione di beni del magazzino qualificata dall’ufficio quale cessione del ramo d’azienda, nonché un altro avviso di accertamento per recupero di IVA 2007 ritenuta indetraibile dall’ufficio in relazione a somma riconosciuta alla O.M. quale “‘indennizzo di spoliazione” a seguito della riorganizzazione.

La CTR Campania, confermando la sentenza della CTP di Napoli, ha respinto le censure avverso gli atti impositivi, considerando configurabile la cessione di ramo d’azienda, tenuto conto dell’unitarietà del complesso dei beni trasferiti,

2. In relazione al ricorso R.G. 23405/13 va, preliminarmente, rigettata l’eccezione di nullità di notifica del ricorso perché effettuata direttamente presso l’Avvocatura generale dello Stato, anziché presso l’Agenzia delle entrate, risultando il viziò sanato, ai sensi dell’art. 156 c.p.c., dalla rituale costituzione nel giudizio di cassazione dall’Agenzia delle entrate, rappresentate e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato.

3. II settimo motivo del ricorso R.G. 23405/13,esaminato prioritariamente in ordine logico, va disatteso.

Ancorché debba ritenersi che la società contribuente, attuale ricorrente ( OE s a r.l.) non direttamente sottoposta a controllo, ma nei cui confronti venga comunque esercitata la pretesa erariale sulla base delle verifica compiuta nei confronti di un soggetto terzo (O.M. s.p.a.) sia legittimata a contestare l’illegittimità di una verifica fiscale effettuata nei confronti della O.M. s.p.a., per violazione dell’art. 12 dello Statuto del contribuente, riverberandosi gli effetti anche nei confronti della O.E. sar.l., tuttavia il motivo è, oltre che carente di autosufficienza, anche infondato.

Anzitutto non è consentito a questa Corte, in relazione al vizio lamentato, accedere direttamente agli atti del giudizio al fine di valutare la dedotta violazione che non risulta documentata “per tabulas” da altro atto prodotto.

Peraltro, in tema di verifiche tributarie, il termine di permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione Finanziaria presso la sede del contribuente è meramente ordinatorio, in quanto nessuna disposizione lo dichiara perentorio, o stabilisce la nullità degli atti compiuti dopo il suo decorso, né la nullità di tali atti può ricavarsi dalla ratio delle disposizioni in materia, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’amministrazione (cfr Cass. 5 ottobre 2012, n. 17002), fermo restando la sanzionabilità degli operatori sotto il profilo disciplinare e dell’eventuale risarcimento del danno subito dal contribuente in conseguenza della violazione di tale principio.

4. In via preliminare all’esame dei motivi di entrambi i ricorsi (alcuni dei quali dedotti come vizio di motivazione), va osservato che le sentenze impugnate, per quanto soggette al regime di cui al novellato art. 360 c.p.c., conseguente all’art. 54, 10 co., lett. b), del d.l. n. 83 del 2012, in ragione della data di pubblicazione (27.9.2012 e 8.5.2013), non sono interessate dal filtro selettivo della cd. doppia conforme sui fatti, in vista della limitata utilizzabilità del mezzo di cassazione ex art. 360, n. 5, c.p.c.

Appare risolutivo l’aspetto di diritto temporale, in quanto il principio della cd. doppia conforme in fatto astrattamente riferito al giudizio di cassazione anche in materia tributaria (come precisato da Cass. sez. un. n. 8053-14), limita l’impiego del mezzo suddetto.

Tanto si evince con chiarezza dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, il 2° comma del quale stabilisce che le disposizioni della lettera a) del Io comma (appunto riferite al principio in esame, in correlazione con le modifiche apportale agli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.) si applicano, al pari di quelle di cui alle lett. a), c), c bis), d) cd c), “ai giudizi d’appello introdotti con ricorso o con citazione di cui sia stata chiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione”.

Se ne desume che, quanto al ricorso per cassazione, e ai fini della soggezione al filtro selettivo della cd. doppia conforme sui fatti, non è decisivo di per sé il momento di pubblicazione della sentenza gravata dal ricorso (espressamente riferito, dall’art. 54. 3° co., all’applicabilità delle modifiche apportate al codice di procedura civile dalla sola lett. b) del Io comma, 4 significativamente non menzionata nel ripetuto 2° comma del medesimo art. 54), quanto piuttosto il fatto che l’appello sia stato introdotto a partire dalla data sopra considerata, (cfr anche Cass. 14714/14)

Nel caso di specie, per quanto le sentenza impugnata siano state depositate il 27.9.2012 e 8.5.2013 l’appello risulta proposto con ricorso proposto rispettivamente in data 9.8.2011 e, quindi, in epoca antecedente al’entrata in vigore della predetta normativa ( 11.9.2012)

5. Il secondo e terzo motivo del ricorso R.G. 23405/13, con cui si deduce, rispettivamente omesso esame di fatti decisivi e omessa motivazione circa un fatto controverso sono inammissibili alla luce della nuova formulazione dell’art. 360,n. 5 c.p.c., applicabile al giudizio di cassazione anche avverso le sentenze delle Commissioni tributarie (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053)

Il nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 introduce nel l’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risultati dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053) Dopo la modifica normativa dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ. (ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134) la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili. (Cass.Sez. 6-3,9/06/2014 n. 12928)

Quindi l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053 ).

Con riferimento alla omessa valutazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio, ancora denunciabile ex art. 360 n. 5 c.p.c.,la parte ricorrente deve indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ.:

a) il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso,

b) il ”datò’, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza

c) il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti,

d) la “decisività” del fatto stesso. (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053)

Oggetto di contestazione è esclusivamente il rilievo relativo alla detrazione dell’Iva inerente alle operazioni di cessione di attività della O.M. s.p.a. alla O.E. sar.l. e le relative conseguenze inerenti alle sanzioni Con riferimento ai motivi 2 e 3 dedotti non risultano soddisfatte le ultime due condizioni in relazione alla denuncia dei fatti asseritamente omessi (esistenza di un software elaborato da O.M. s.p.a. e ceduto a O.C., contratti nuovi e diversi rispetto a quelli della società asseritamente cedente, mancato riconoscimento dell’indennità di spoliazione)

Inoltre va anche segnalato il difetto di autosufficienza in quanto dalla sentenza della CTR Campania impugnata non risulta che il contribuente abbia formulato le relative questioni con il ricorso introduttivo, né – ove le avesse proposte- che le abbia “riproposte” in appello ai sensi degli artt. 56 Dlgs n. 546/1992 e 346 c.p.c..

Qualora, infatti, una determinata questione giuridica, che implichi accertamenti di fatto -come nella specie l’esame del documento costituito dall’avviso di accertamento notificato al contribuente- non risulti trattata in alcun modo nella sentenzi! impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della cesura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia affatto, trascrivendone il contenuto o le parti essenziali di esso, onde dare modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (giurisprudenza consolidata: (cfr. Corte cass. V sez. 2.4.2004 n. 6542; id. IlI sez. 10.5.2005 n. 9765; id. IlI sez. 12.7.2005 n. 14599; id. sez. lav. 11.1.2006 n. 230; id. IlI sez. 20.10.2006 n. 22540; id. IlI sez. 27.5.2010 n. 12912)

La articolata valutazione di merito in base alla quale la CTR ha ritenuto configurarsi nella fattispecie una cessione di azienda, tenuto conto dell’unitarietà del complesso dei beni trasferiti non è più soggetta al sindacato di legittimità di questa Corte e le circostanze evidenziate nella sentenza impugnata, unitamente a quelle accertate nella sentenza di primo grado, sono state ritenute idonee a configurare tale operazione.

Non è stato rilevata la decisività, ai fini dell’esclusione dell’ accertato trasferimento di azienda, dell’omesso rilievo del mancato trasferimento di un software di elevato valore commerciale, il mancato trasferimento di contratti con i fornitori e dell’avviamento commerciale, trattandosi di elementi che non possono, di per sé soli, implicare l’insussistenza della cessione di azienda, accertata in forza degli ulteriori elementi e circostanze accertate dai giudici di merito, tra cui l’indennizzo da spoliazione.

Emerge infatti dalle pronunce impugnate che la O.M. s.p.a. ha ceduto alla OE s a r.l., che ha acquisito la proprietà del prodotto finito futuro, stampi, prodotti finiti, materie prime e materiale da imballo, pagando un indennizzo da spoliazione, con conseguente trasferimento delle funzioni strategiche e dei rischi aziendali in capo alla società cessionaria.

Sono stati inoltre trasferiti alla cessionaria figure professionali della O.M. s.p.a., a prescindere dalla formale assunzione (in molti casi ricorrendo alla figura del distacco)

6. Per connessione logica vanno esaminati il terzo e quarto motivo formulato dall’Agenzia nel ricorso R.G. 28856/12, assorbenti degli altri deducenti vizio di motivazione.

Alla luce delle considerazioni sopra espresse è nella organizzazione del complesso dei beni che va riconosciuta la componente immateriale caratteristica dell’azienda, o di un suo ramo, atteso che i beni, singolarmente considerati, prospettano solo la loro specifica essenza, ma la loro “organizzazione”, finalizzata alla produzione, conferisce al complesso dei beni il carattere di complementarietà necessario perché possa attribuirsi ad esso la definizione di azienda (Cass. n. 4319 del 1998).

L’art. 20 D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (T.U. Imposta Registro) recita: “1. l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio, fissato dal sovracitato articolo, dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti comporta che, nell’imposizione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali. Né, ove l’operazione economica sia unitaria, al di là delle forme giuridiche in cui la sia rivestita, può darsi valore preminente alla diversità di oggetto e di causa relativi, ad esempio, a due contratti, per negare il loro collegamento e consentire un intento elusivo di una fattispecie tributaria (Cass. n. 13580 del 2007).

L’art. 20 cit. costituisce indubbio indice rivelatore di criteri di qualificazione autonomi rispetto alle ordinarie interpretative civilistiche, attesa la preminenza del principio generale antiabuso (SU 30005/08; C. 12042/09) e della regolamentazione reale degli interessi (C. 9162/10, 11769/08) oggettivizzata nell’indagine sulle possibili conseguenze giuridiche di atti e negozi (Cass. n. 1405 del 2013).

Ciò comporta che, ancorché non si prescinda dall’interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nell’individuazione della materia imponibile dovrà darsi la preminenza assoluta alla causa reale sull’assetto cartolare.

Ne consegue la tangibilità, sul piano fiscale, delle forme negoziali, in considerazione della funzione antielusiva sottesa alla disposizione in parola. Sicché l’autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi (e non anche di quelli economici, riferiti alla fattispecie globale) restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti, perché altrimenti finirebbero per sovvertire i detti criteri impositivi (C. 10273/07; cfr. C. 11457/05 e 14900/01).

La scelta legislativa di privilegiare, nella contrapposizione fra la intrinseca natura e gli effetti giuridici e “il titolo o la forma apparente di essi”, la sostanzia dell’operazione implica che “gli stessi concetti privatistici sull’autonomia negoziale regrediscano a semplici elementi della fattispecie tributaria”, di guisa che, anche se non si può prescindere dall’interpretazione della volontà negoziale secondo i canoni generali, nella individuazione della materia imponibile ha preminenza assoluta la “causa reale sull’assetto cartolare” (Cass. n. 14900/2001; Cass. n. 10660/2003; Cass. n. 11457/05 sottolinea l’indisponibilità della qualificazione contrattuale ai fini fiscali, da ultimo, Cass. 8 maggio 2013, n. 10740 e Cass. n. 6405/2014).

Per conseguenza, i rilievi della società sono irrilevanti, nella parte in cui fanno leva, ai fini della valenza fiscale delle operazioni compiute, sul fatto che molteplici fossero i contratti di cessione di beni aziendali: ciò che importa non è cosa le parti hanno scritto (mediante i contratti conclusi) ma cosa esse hanno effettivamente realizzalo col complessivo regolamento negoziale adottato, anche indipendentemente dal contenuto delle dichiarazioni rese.

Significativo è il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 4, il quale stabilisce che “per gli atti che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse il valore di cui al comma 1 è controllato dall’ufficio con riferimento al valore complessivo dei beni che compongono l’azienda, compreso l’avviamento ed esclusi i beni indicati nell’art. 7 della parte prima della tariffa, al netto delle passività risultanti dalle scritture contabili obbligatorie o da atti aventi data certa a norma del codice civile, tranne quelle che l’alienante si sia espressamente impegnato ad estinguere e quelle relative ai beni di cui al citato art. 7 della parte prima della tariffa e art. 11 bis della tabella. L’ufficio può tenere conto anche degli accertamenti compiuti ai fini di altre imposte e può procedere ad accessi, ispezioni e verifiche secondo le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto”.

La norma riflette la più antica e tradizionale concezione dell’azienda come oggetto unitario della vicenda traslativa, ovvero come unitaria realtà economica;la commisurazione del tributo al “valore complessivo dei beni che la compongono”, e non già al valore dei singoli beni e rapporti trasferiti, implica la necessità di assumere ad elementi della base imponibile anche i beni ed i rapporti diversi da quelli formalmente oggetto del contratto di cessione d’azienda, se comunque afferenti all’azienda ceduta ed oggetto della complessiva regolamentazione attuata.

Poiché l’imposta di registro ha per oggetto il negozio giuridico e non l’atto documentale, essa richiede l’interpretazione unitaria del negozio, anche se frazionata in atti distinti. La prevalenza della natura intrinseca dell’atto e dei suoi effetti giuridici sul suo titolo e sulla sua forma apparente, vincolando l’interprete a privilegiare, nell’individuazione delta struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, comporta la necessità di verificare se sia configurarle “il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali” (Cass. 25 febbraio 2002, n. 2713); di qui la conseguenza che “l’incorporazione in un solo documento di una sola dichiarazione negoziale ad effetto giuridico unico, l’incorporazione in un solo documento di più dichiarazioni negoziali, produttive di effetti giuridici distinti e l’incorporazione in documenti diversi di dichiarazioni negoziali miranti a realizzare, attraverso effetti giuridici parziali, un unico effetto giuridico finale traslativo, costitutivo o dichiarativo costituiscono tecniche operative alternative per i contribuenti, che si trovano, però, dinanzi ad una sola e costante qualificazione giuridica formulata dal legislatore tributario: la sottoposizione ad imposta di registro del loro atto o dei loro atti in base alla natura dell’effetto giuridico finale dei loro comportamenti, semplici o complessi che essi siano”. Né si può argomentare, in senso contrario, dalla natura d’imposta d’atto del tributo di registro, dovendo essere tale espressione intesa, come già chiarito, nel senso della necessità della commisurazione del tributo agli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione.

7. Anche il primo motivo del ricorso R.G. 23405/13 è infondato.

La CTR ha rilevato come la O.M. s.p.a. abbia dismesso in Italia l’attività di produzione, di commercializzazione dei contenitori di vetro in parte proseguita per conto terzi e in parte ceduta alla neo costituita O.S. and Distribution, partecipata al 90% dalla società O.E. s. a r.l., ritenendo, con valutazioni di merito, che proprio il mutamento della posizione del cedente che non svolge più attività produttiva in proprio, ma solo quale soggetto contoterzista e sulla base delle direttive della O.E. s a r.l.” è assolutamente indicativa dell’avvenuta cessione del ramo di azienda, dalla quale O.M. Italy è stata conseguentemente deprivata”.

Emerge dalla sentenza impugnata che la società italiana ha continuato a svolgere attività lavorativa attraverso svariati siti produttivi, anche se non più in proprio, avendo trasferito alla società svizzera il potere di gestione del rischio d’impresa, operando quale contoterzista e, quindi quale mero esecutore materiale delle direttive impartite da O.E. s. a.r.l., privandosi, a favore della O.E. s.a. r.l., della disponibilità del magazzino, degli stampi, dei prodotti finiti, del materiale da imballo e delle figure apicali della sua organizzazione.

Risulta realizzata quindi la cessione alla O.E. s. a. r.l. che ha assunto e gestito l’attività di produzione, del rischio operativo, il rischio di mercato e del rischio tecnologico, non assumendo rilevanza, ai fini della rilevata cessione di azienda la circostanza che l’attività materiale di produzione sia rimasta affidata allo stesso soggetto cedente, essendo sufficiente a configurare la cessione di azienda il trasferimento della titolarità dell’attività produttiva, senza che assuma rilevanza contraria al riguardo la circostanza che l’attività di distribuzione e di commercializzazione sia stata formalmente trasferita ad altra società (O.S. and Distribution), peraltro quasi interamente controllata dalla stessa O.E. s. a.r.l. (al 90%).

Ai fini di configurare la cessione di azienda non è necessario il trasferimento delle attività svolte dalla cedente alla cessionaria ma è sufficiente che sia trasferita, come nel caso di specie, con riferimento all’attività produttiva, un’unita organizzativa autonoma, avendo i giudici di merito valutato le circostanze, ai fini di individuare la cessione di azienda, nella loro unitarietà e il non sotto il profilo atomistico.

Appare inoltre, irrilevante, ai fini della predetta qualificazione, che il personale della O.M. s.p.a. che ha successivamente prestato attività lavorativa a favore della O.E. s. a.r.l.,sia stato formalmente assunto dalla società cessionaria distaccato dalla O.M. s.p.a., avendo la CTR rilevato, nel merito, che il personale apicale addetto all’attività di produzione non ha più svolto mansioni per la società italiana, lavorando per la società elvetica, ma non fornendo prova alcuna la parte che tale personale è stato sostituito con altro presso la cedente.

Inoltre nella relazione del consiglio di amministrazione, relativa alla gestione dell’esercizio 2006 della O.S. and Distribution, riportata nel controricorso, emerge che tale ultima società opera come distributore di prodotti di proprietà di O.E. s. a r.l. sul territorio nazionale in forza di apposito contratto di distribuzione il quale prevede che i rischi sostanziali legati all’attività caratteristica della società siano trasferiti in capo alla controllante O.E. s a r.l.

L’impugnata sentenza si palesa dunque immune da censura, ponendosi, con motivazione congrua, nel solco dell’interpretazione unitaria dell’operazione negoziale complessivamente intesa.

L’art. 20 D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 vincola l’interprete a privilegiare il dato giuridico reale rispetto ai dati formalmente enunciati – anche frazionatamente in uno o più atti, e perciò il risultato di un comportamento sostanzialmente unitario rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali. Così, una pluralità di negozi, strutturalmente e funzionalmente collegati al fine di produrre un unico effetto giuridico finale, vanno considerati, ai fini dell’imposta di registro, come un fenomeno unitario, anche in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva.

Proprio in relazione a fattispecie di trasferimento immobili e cessione di azienda con atti separati, si è già evidenziato (Cass. 10660/2003) che in terna di interpretazione degli atti ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, il criterio fissato dal D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 20, dell’intrinseca natura e degli effetti giuridici degli atti comporta che, nell’imposizione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguita dai contraenti, anche se mediante ima pluralità di pattuizioni non contestuali, cosicché nessun valore preminente può essere attribuito alla diversità di oggetto e di causa relativi a due contratti, per negare il loro collegamento (cfr. Cass. 9162/2010 e Cass. 15192/2010).

A tal proposito è sufficiente correggere, nel senso che segue, la motivazione dell’impugnata sentenza (art. 384,ult. comma, c.p.c.).

In caso di operazioni distinte di cessione del magazzino della società O.M. s.p.a.,, di riconoscimento di indennizzo di spoliazione, formale trasferimento di un dipendente in posizione apicale e distacco di due di essi presso la società presunta cessionaria e trasferimento di un altro presso una società partecipata al 90% dalla O.E. s.a r.l. (O.S. and Distribution) che prosegue l’attività di produzione per conto di quest’ultima, il fenomeno ha, a tal fine, come riconosciuto, peraltro, dai primi giudici, carattere unitario (in conformità al principio costituzionale di capacità contributiva ed all’evoluzione della prestazione patrimoniale tributaria dal regime della tassa a quello dell’imposta) ed è configurabile come cessione di azienda, senza necessità di ricorrere all’abuso del diritto in forza della elusività della operazione, per cui non grava sull’Amministrazione l’onere di provare i presupposti dell’abuso di diritto atteso che i termini giuridici della questione sono già tutti desumibili dal criterio ermeneutico di cui al citato art. 20, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3481 del 14/02/2014).

A sostegno del frazionamento in più atti di un’unitaria operazione possono infatti esservi ragioni fisiologiche e non solo patologiche, senza che ciò escluda la configurabilità di un’operazione unitaria ai fini dell’assoggettabilità all’imposta di registro.

Ciò non significa che l’operazione economica non possa anche configurare gli estremi di una elusione fiscale, ma non è necessario ricorrere a tale figura nel caso in cui si siano conseguiti vantaggi fiscali mediante uso distorto di strumenti giuridici, potendo, al riguardo, supplire il criterio ermeneutico di cui all’art. 20 cit.

L’art. 20 del d.p.r. n. 131/86 non è soltanto una norma interpretativa degli atti registrati, ma una disposizione intesa a identificare l’elemento strutturale del rapporto giuridico tributario il quale è dato dall’oggetto e viene fatto coincidere con gli effetti giuridici indicativi della capacità contributiva dei soggetti che compiono gli atti (cfr Cass. n. 2713-02).

In simile contesto, la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla loro forma apparente vincola l’interprete a privilegiare, nell’individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma, cioè il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici, rispetto a ciò che formalmente è enunciato, anche frazionatamente, in uno o più di questi atti.

Con la conseguenza di doversi riferire l’imposizione al risultato di un comportamento sostanzialmente unitario, rispetto ai risultati parziali e strumentali di una molteplicità di comportamenti formali.

Gli artt. 1 e 20 del d.p.r. n. 131 del 1986 vanno interpretati nel senso che oggetto dell’imposta di registro, per quanto genericamente e formalmente individuata nel riferimento dell’art. 1 agli atti soggetti a registrazione o volontariamente presentati per la registrazione, è, nella sostanza, costituito dagli effetti giuridici di tali atti.

Il criterio di interpretazione degli atti, fissato dall’art. 20 cit., comporta quindi che, nella qualificazione di un negozio, deve attribuirsi rilievo preminente alla sua causa reale e alla regolamentazione degli interessi effettivamente perseguila dai contraenti, anche se mediante una pluralità di pattuizioni non contestuali, o di singole operazioni. E non è decisiva, in caso di negozi collegati, la rispettiva differenza di oggetto (cfr Cass. n. 9541-13; n. 14150-13; n. 17965-13).

Nel caso in esame, è stata ricostruita ed apprezzare l’oggettiva intenzione delle parti, determinandone, di conseguenza, gli effetti giuridici, rilevanti sul piano tributario, accertando quale sia, secondo la volontà dei contraenti, l’oggetto specifico del contratto, allo scopo di stabilire se quei determinati beni o operazioni siano stati considerali nella loro autonoma individualità o non piuttosto nella loro unitaria e strumentale funzione, sì da comportare al tempo stesso l’alienazione del ramo d’azienda cui essi si ricollegano.

Le condotte evidenziate vanno ricondotte ad unità e con valutazione di merito, esente da censure, sono state considerate, dalla CTR della Campania, alla stregua di unitario atto di cessione di ramo d’azienda a titolo oneroso.

Trattasi, quanto al merito dell’operazione, di un tipico giudizio di fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o di motivazione perplessa ovverosia non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione (principio affermato dalle S.U. anche dopo la modifica normativa dell’art. 350 n. 5 c.p.c. (Cass., S.U., 7 aprile 2014 n. 8053.

Una così ampia nozione di azienda è d’altronde pienamente coerente, contrariamente a quanto sostenuto dalla parte contribuente col primo, quarto e quinto motivo del ricorso R.G. 23405/13, con la disciplina comunitaria dell’azienda nel sistema dell’iva: l’art. 5, n. 8, della sesta direttiva iva (riprodotto dall’art. 19 della direttiva 2006/112/CE) prevede che, in caso di trasferimento a titolo oneroso o sotto forma di conferimento ad una società di una universalità totale o parziale di beni, gli Stati membri “possono considerare l’operazione come non avvenuta e che il beneficiario continua la persona del cedente”; la giurisprudenza comunitaria specifica che, a tal fine, il trasferimento di un’azienda o di un suo ramo corrisponde al trasferimento dell’insieme di beni, materiali e immateriali, che “complessivamente costituiscono un’impresa o una parte d’impresa idonea a continuare un’attività economica autonoma…” (Corte giust. 10 novembre 2011, C-444/10, Cristel Schriever, che ha ricompreso nel trasferimento d’azienda, in quanto tale non assoggettabile ad iva, la cessione dello stock di merci e del l’attrezzatura di un negozio).

E questa nozione d’azienda si specchia nelle definizioni di azienda utili ai fini della direttiva 69/335/CE in tema di raccolta di capitali (art. 7, n. 1, lettera b) nonché della direttiva 434/90/CE, relativa al regime da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (art. 2, lettera i). (cfr Cass. n. 19752 del 2013, in motivazione).

L’impugnata sentenza si palesa dunque immune da censure, ponendosi, con motivazione congrua, nel solco dell’interpretazione unitaria dell’operazione negoziale complessivamente intesa.

8. Sono infondati i motivi 4, 5 e 6 del ricorso R.G. 23405/13 essi pure tra loro connessi e suscettibili di unitaria trattazione con cui viene lamentata la violazione dei principi di neutralità e di effettività dell’Iva, ancorché su tali questioni non si siano pronunciati i giudici di merito (motivo 6), trattandosi di questioni di diritto che non implicano alcun accertamento fattuale e nessun impedimento si frappone all’esame della questione da parte di questa Corte (cfr Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10208 del 03/05/2007).

Entrambe le società cedente e cessionaria, soggetti iva appartenenti allo stesso gruppo, hanno neutralizzato l’onere economico dell’imposta per effetto dei meccanismi della rivalsa e della detrazione, tuttavia si trovano a dover sopportare, in forza della presente decisione, l’onere dell’applicazione dell’imposta di registro in quanto, essendo stata accertata, nel caso in esame, una cessione di azienda, non è applicabile il regime dell’iva ma l’imposta di registro.

È anche pacifico che O.M. Italia abbia versato l’iva addebitata alla ricorrente O.C. che ha portato in detrazione l’imposta.

La questione controversa, sottoposta all’attenzione di questa Corte, consiste nell’accertare se il cessionario dell’azienda possa portare in detrazione riva, assolta erroneamente dal cedente, trattandosi di operazione esente.

L’invocato principio della neutralità dell’imposta consiste nel fatto che il carico fiscale subito dal consumatore finale, non deve essere influenzato dal numero dei passaggi del ciclo produttivo-distributivo ed inoltre lo stesso deve essere esattamente proporzionale al prezzo dei beni e dei servizi consumati.

Il tributo, conseguentemente, non incide (di norma) sull’operatore economico, risultando una mera ¡partita di giro, salvo divenire un effettivo elemento di costo quando il destinatario della prestazione, anche se operatore economico, agisce in veste di consumatore finale, ovvero in qualche caso può gravare anche sull’attività economica nelle ipotesi in cui sussistano limitazioni alla detrazione per il soggetto passivo del tributo.

Per altro verso, il principio di neutralità fiscale è stato definito a più riprese dalla Corte di Giustizia Europea (cfr causa C- 174/08 del 29/10/2009), quale principio fondamentale e quale specificazione del più generale principio di parità di trattamento (Causa C-309/06 Marks & Spencer), che assume rilievo costituzionale.

I principi di neutralità fiscale, di proporzionalità e del legittimo affidamento devono essere interpretati nel senso che non ostano a che il destinatario di una fattura si veda negare il diritto a detrarre l’imposta sul valore aggiunto a monte a causa dell’assenza di un’operazione imponibile effettiva, anche se, nell’avviso di accertamento in rettifica indirizzato all’emittente di tale fattura, l’imposta sul valore aggiunto dichiarata da quest’ultimo non è stata rettificata (Corte di Giustizia UE, sez. IlI, sentenza 11.04.2013 n. C. 138/12)

II diritto alla restituzione dell’imposta emerge, dal carattere neutrale dell’Iva che impone, accanto al momento di “esigibilità” l’affiancamento fisiologico dell’aspetto della deducibilità dell’imposta. Si tratta di fasi che, normalmente, riguardano due soggetti diversi e che devono necessariamente verificarsi perchè il carattere neutrale dell’imposta sia preservato.

Tuttavia, nel caso di specie, la O.C. cessionaria dell’azienda, va parificata al consumatore finale che deve sopportare per intero il peso dell’Iva in quanto soltanto il prestatore di servizi o il cedente di beni va considerato di fronte alla autorità tributarie debitore dell’Iva.

Il cessionario ha, invece, sia pure erroneamente, pagato al cedente l’iva non dovuta, ma non sorge in capo allo stesso il diritto alla detrazione, potendo richiedere solo nei confronti del cedente il pagamento di un indebito di cui lo stesso cedente può, a sua volta, chiedere, nei limiti della decadenza e prescrizione, il rimborso al Fisco.

Né la ricorrente può invocare, al riguardo il principio di effettività che trova applicazione nei confronti del soggetto che ha effettuato un indebito versamento Iva nei confronti del Fisco e che può sempre reclamare il rimborso dell’imposta erroneamente versata nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria di uno stato membro che ha incassato, senza titolo, l’imposta medesima (Corte Giust., 15.11.2011, Causa C-427/10)

Tale principio non trova, invece, applicazione nei confronti del cessionario che ha indebitamente chiesto il rimborso dell’Iva e che può esperire l’azione di ripetizione di indebito nei confronti della cedente, non essendo consentilo portare in detrazione l’iva pagata alla cedente, essendo comunque legittimata alla richiesta di rimborso solo la cedente che ha effettivamente pagato indebitamente l’imposta.

Né il recupero dell’imposta indebitamente detratta può essere messo in discussione dalla difficoltà della società cessionaria di recuperare l’imposta versata in via di rivalsa alla cedente, trattandosi di mera questione di fatto, irrilevante ai fini della dedotta “compensazione” (neanche prospeitabile tra debitori e creditori diversi), di cui peraltro non è stata fornita prova, sotto il profilo della autosufficienza, che sia stata prospettata nei precedenti gradi di giudizio e, dovendosi anche rilevare che trattasi, comunque, di società appartenenti allo stesso gruppo.

Nel caso di specie erroneamente sono state ritenute soggette ad Iva le operazioni realizzate con la conseguenza che il cedente che l’ha versata ne può chiedere il rimborso (nei limiti della decadenza) e il cessionario che l’ha pagata al cedente potrà richiederla al cedente ma non penarla in detrazione.

In quest’ultimo caso verrebbe meno proprio il principio di neutralità invocato in quanto, nel caso di rimborso dell’iva alla cedente, il Fisco subirebbe una indebita detrazione di una imposta da parte della cessionaria, comunque non dovuta.

La giurisprudenza comunitaria esamina e valuta non la posizione del soggetto che ha effettuato l’indebita detrazione, ma la posizione del soggetto che ha effettuato l’indebito versamento consentendogli di recuperare l’imposta non dovuta indebitamente versata senza soverchie difficoltà, senza che ciò possa tradursi nel diritto del cessionario di richiedere la detrazione dell’imposta non dovuta.

Il principio di effettività non implica, in estrema sintesi, che si debba riconoscere al cessionario il diritto insussistente alla detrazione dell’iva. potendo solo richiedere il rimborso al cedente della somma a lui erogata a titolo di Iva.

Né, al riguardo, è possibile sostenere che sussistono limiti che rendano impossibile o eccessivamente oneroso per il cedente il recupero dell’iva, soggetta solamente alla decadenza che può essere evitata con la semplice domanda di rimborso.

È stato affermato dalla Corte di Giustizia che “il principio di effettività non osta ad una normativa nazionale che prevede un termine di prescrizione per l’azione civilistica di ripetizione dell’indebito, esercitata dal committente di servizi nei confronti del prestatore di tali servizi, soggetto passivo dell’IVA, più lungo rispetto al termine di decadenza previsto per l’azione di rimborso di diritto tributario, esercitata da detto prestatore nei confronti dell’amministrazione finanziaria, purché tale soggetto passivo possa effettivamente reclamare il rimborso dell’imposta di cui trattasi nei confronti della predetta amministrazione. Quest’ultima condizione non è soddisfatta qualora l’applicazione di una normativa siffatta abbia la conseguenza di privare completamente il soggetto passivo del diritto di ottenere dall’amministrazione finanziaria il rimborso dell’IVA non dovuta che egli stesso ha dovuto rimborsare al committente dei suoi servizi” ( Corte Giust., 15.11.2011, Causa C-427/10)

Mancano, quindi, i presupposti per sollevare alcuna questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia, con riferimento alla questione proposta dalla società O.E. s a r.l., in quanto il principio di effettività potrebbe, tutt’al più, trovare applicazione estensiva in caso di “compensazione” tra iva versata e iva detratta tra i medesimi soggetti interessati e non tra soggetti diversi, come nella fattispecie, non potendosi compensare l’Iva erroneamente versata dal cedente con l’illegittima detrazione operata dal cessionario, ben potendo il primo chiedere autonomamente il rimborso dell’iva, a fronte della illegittima detrazione operata dalla cessionaria, potendosi verificare, in tale ultima ipotesi un possibile danno erariale.

Potrebbe tuttavia verificarsi l’ipotesi, peraltro neanche prospettata dalla O.M. s.p.a., ma plausibile alla luce delle risultanze emerse, che va, comunque, esaminata al fine di evitare contrasti con la giurisprudenza della Corte di giustizia, nel caso in cui la O.M. s.p.a., come nella fattispecie, sopporti essa stessa il pagamento dell’IVA non dovuta, senza avere la possibilità di reclamarne effettivamente il rimborso nei confronti dell’amministrazione finanziaria per effetto del decorso del termine di decadenza biennale, ma la dovesse rimborsare, a seguito di azione di ripetizione dell’ indebito, previa relativa prova, nei confronti della O.E. s. a.r.l., dopo la scadenza di tale termine.

Una tale evenienza priverebbe completamente la O.M. s.p.a., della possibilità di recuperare l’iva versata, dovendola eventualmente rimborsare alla cessionaria O.E. s. a. r.l.,oltre ad essere soggetta alla tassa di registro in forza della accertata cessione di azienda.

Occorre porsi il problema, al riguardo, se i principi di effettività, di neutralità fiscale e di non discriminazione ostino ad una normativa nazionale relativa alla ripetizione dell’indebito che prevede un termine di decadenza per l’azione di rimborso di diritto tributario che è più breve del termine previsto per l’azione civile per la ripetizione dell’indebito, cosicché, nella fattispecie, la O.E. s. a.r.l., qualora eserciti tale azione nei confronti di O.M.s.p.a., possa ottenere da tale società il rimborso dell’ IVA non dovuta senza che quest’ultima possa a sua volta ottenerne il rimborso da parte dell’amministrazione finanziaria.

Deve ritenersi, in linea di principio, rispettato il principio di effettività nel caso di un termine nazionale di prescrizione asseritamente più favorevole all’amministrazione finanziaria rispetto al termine di prescrizione in vigore per i privati (sentenza 8 settembre 2011, cause riunite C-89/10 e C-96/10,); di conseguenza, la previsione di un termine di decadenza di due anni entro il quale il soggetto passivo può reclamare il rimborso dell’ IVA erroneamente versata nei confronti dell’amministrazione finanziaria, mentre il termine di prescrizione per le azioni di ripetizione dell’indebito oggettivo tra privati è decennale, non è di per sé contraria al principio di effettività (Corte Giust., 15.11.2011, Causa C-427/10).

La Corte di Giustizia ha segnatamente dichiarato che il principio di effettività non osta ad una normativa nazionale in forza della quale soltanto il cedente/prestatore di servizi è legittimato a chiedere il rimborso delle somme indebitamente versate alle autorità tributarie a titolo di IVA, mentre il destinatario dei servizi può esercitare un’azione civilistica di ripetizione dell’indebito nei confronti di tale cedente/prestatore di servizi, (sentenza Reemtsma Cigarettenfabriken causa C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabrikcn punto 42 (Racc. pag. 1-2425)

Per la O.M. s.p.a., sarebbe quanto meno eccessivamente difficile, ottenere, con un’azione proposta nel termine di decadenza di due anni, il rimborso dell’ IVA versata, in considerazione, in particolare, della circostanza che la stessa era risultata vittoriosa sia in primo che in secondo grado davanti alla CTR della Lombardia.

La Corte di Giustizia ha già dichiarato che “un’autorità nazionale non può eccepire il decorso di un termine di prescrizione (a cui va equiparato anche quello di decadenza) ragionevole se il comportamento delle autorità nazionali, in combinazione con l’esistenza di un termine di prescrizione, finisca col privare totalmente un soggetto della possibilità di far valere i suoi diritti dinanzi ai giudici nazionali” prevedendo che “il principio di effettività sarebbe violato nell’ipotesi in cui il soggetto passivo non avesse avuto né il diritto di ottenere il rimborso del tributo in questione durante il termine a sua disposizione per l’azione nei confronti dell’amministrazione finanziaria, né, in seguito a un’azione di ripetizione dell’indebito esperita nei suoi confronti dai propri clienti successivamente alla scadenza di detto termine, la possibilità di rivalersi contro l’amministrazione finanziaria, cosicché le conseguenze dei pagamenti indebiti dell’ IVA imputabili allo Stato sarebbero sopportate esclusivamente dal soggetto passivo di tale imposta” (Corte Giust., 15.11.2011, Causa C-427/10 e v., per analogia, sentenza Q: Beef e Bosschaert, ivi cit., punto 51).

Il principio di effettività non sarebbe, quindi, soddisfatto se la O.M. s.p.a.,fosse privata completamente del diritto di ottenere dall’A.F. il rimborso dell’iva non dovuta nei caso in cui la stessa società l’abbia dovuta rimborsare alla O.E. s a.r.l.,

9. Anche l’ottavo motivo del ricorso R.G. 23405/13 con cui si deduce la non debenza delle sanzioni è infondato.

La norma indicata dalla ricorrente, che prevede nell’errore sulla “portata ed ambito applicativo” della norma tributaria una causa di non punibilità, è riprodotta anche nell’art. 6 co 2 del Dlgs 18.121997 n 472 (recante “Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violini delle norme tributarie a norma dell’art. 3 comma 133 della legge 23.12.1996 n. 662”) e nell’art. 10 co 3 legge n. 212/000.

Questa Corte (cfr. Corte Cass. 28.11.2007 n. 24670 ; id. 21 marzo 2008, n. 7765; id. 11.9.2009 n. 19638) è ripetutamente intervenuta a definire l’ambito di applicazione delle norme richiamate enunciando i seguenti principi di diritto:

– per “incertezza normativa oggettiva tributaria”‘ deve intendersi la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertata dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie l’incertezza normativa oggettiva costituisce una situazione diversa rispetto alla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto come emerge dall’art. 6 DLgs 18 dicembre 1997, n. 472, che distingue in modo netto le due figure dell’incertezza normativa oggettiva e dell’ignoranza (pur ricollegandovi i medesimi effetti) e perciò l’accertamento di essa è esclusivamente demandata al giudice e non può essere operato dalla amministrazione l’incertezza normativa oggettiva non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria. L’essenza del fenomeno “incertezza normativa oggettiva” si può rilevare attraverso una serie di fatti indice, che spetta al giudice accertare e valutare nel loro valore indicativo, e che sono stati individuati a titolo di esempio e, quindi, non esaustivamente: 1) nella difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative, dovuta magari al difetto di esplicite previsioni di legge; 2) nella difficoltà di confezione della formula dichiarativa della nonna giuridica; 3) nella difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) nella mancanza di informazioni amministrative o nella loro contraddittorietà; 5) nella mancanza di una prassi amministrativa o nell’adozione di prassi amministrative contrastanti; 6) nella mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) nella formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, magari accompagnati dalla sollecitazione, da parte dei Giudici comuni, di un intervento chiarificatore della Corte costituzionale; 8) nel contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) nel contrasto tra opinioni dottrinali; 10) nell’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente. Tali fatti indice devono essere accertati ed esaminati ed inseriti in procedimenti interpretativi della formazione che siano metodicamente corretti e che portino inevitabilmente a risultati tra loro contrastanti ed incompatibili.

Costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ossia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione(cfr Cass. Ord. n. 4394 del 24 febbraio 2014, Cass. Sent. n. 3113 del 12 febbraio 2014).

Nella fattispecie la CTR ha rilevato, disattendendo il motivo di impugnazione, come “la lettura dell’atto negoziale fornisce elementi adeguati e sufficientemente chiari per qualificare l’atto come cessione di azienda”.

L’art. 2 d.p.r. 633/72 non può determinare dubbi interpretativi sui casi in cui si configura cessione di azienda, trattandosi di formulazione chiara, non rilevando l’incertezza che deriva da condizioni soggettive del contribuente, ma solo quello che ha rilevanza oggettiva, dovendosi escludere l’errore dovuto ad interpretazione errata della normativa o la diversa interpretazione dei fatti di causa.

10. Anche l’ultimo motivo del ricorso R.G. 23405/13 con cui si deduce l’erronea applicazione dell’istituto della continuazione in luogo di quello del cumulo giuridico va disatteso.

La ricorrente contesta che le violazioni riscontrate (cessione del magazzino e indennità di spoliazione) siano state commesse in progressione, ai sensi dell’art. 12, comma 2, D.lgs 471/97, rilevando trattarsi di entità del tutto autonome e distinte.

Ai fini dell’applicazione dell’istituto della continuazione, regolato dall’art. 12 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, non è richiesta una situazione di incertezza normativa, mentre il fatto che si tratti di diverse violazioni, della stessa indole, commesse in periodi di imposta diversi, non solo non impedisce, ma rappresenta il paradigma legale della fattispecie (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15554 del 02/07/2009).

La CTR ha rilevato, al riguardo, che “sussistono…i presupposti per l’applicazione dell ’istituto della continuazione, attesa la connessione oggettiva e funzionale tra le due violazioni, entrambe finalizzate all’evasione dell’imposta dovuta con riferimento all’avvenuta cessione del ramo d’azienda”ritenendo, quindi, con valutazione logica, come le condotte, sia pure diverse ed autonome, siano accomunata dalla stessa indole per essere finalizzate all’evasione d’imposta in relazione alla accertata cessione del ramo d’azienda.

Va, conseguentemente, rigettato il ricorso della società O.E. s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, accolto il terzo e quarto motivo, assorbiti gli altri, del ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 117/44/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigettato l’originario ricorso introduttivo della società O.M. s.p.a.

Sussistono giuste ragioni, desunte anche dalla diversa valutazione dei primi giudici, dalla particolarità delle questioni trattate, per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità relative al ricorso avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania e le spese dell’intero giudizio in relazione al giudizio originariamente instaurato davanti alla CTP di Milano dalla società O.M. s.p.a.,

P.Q.M.

Riunisce i riscorsi:

– Rigetta il ricorso della società O.E. s.r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania.

– Accoglie il terzo e quarto motivo, assorbiti gli altri, del ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza n. 117/44/12 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di merito, ex art. 384 c.p.c., rigetta l’originario ricorso introduttivo della società O.M. s.p.a.

– Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità relative al ricorso della società O.E. s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania e le spese dell’intero giudizio in relazione al giudizio originariamente instaurato davanti alla CTP di Milano dalla società O.M. s.p.a.

– Ai sensi dell’art. 13, comma 1, quater del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente società O.E. s a r.l., avverso la sentenza n. 30/44/13 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.

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