Cass. Civ., Sez. V, sentenza 29 maggio 2018, n. 13626
Corte di Cassazione, V sezione civile, sentenza 29 maggio 2018, n. 13626
Svolgimento del processo
Con avviso di liquidazione notificato in data 26.5.2009 a D.M., l’Agenzia delle Entrate richiedeva al notaio rogante il pagamento dell’imposta di successione e donazione nella misura dell’8% (in luogo dell’imposta di registro in misura fissa assolta in sede di autoliquidazione) in relazione all’atto istitutivo di trust, ricevuto dallo stesso notaio in data 11.5.2009 e registrato il 12 maggio seguente.
Con tale atto la società G.T. s.p.a. in qualità di disponente, costituiva in trust alcune sue quote di partecipazione in società a responsabilità limitata, con lo scopo di alienare tali quote e proporzionalmente provvedere al pagamento dell’esposizione debitoria della disponente medesima. La tassazione operata in autoliquidazione è stata ritenuta scorretta da parte dell’Ufficio, che ha notificato l’avviso giusto il disposto degli artt. 2 comma 47 e 49 lett.c) del D.L. 262/06 che sottopone all’imposta di donazione la costituzione di vincoli di destinazione, con applicazione dell’aliquota dell’8%, trattandosi di beni devoluti a soggetti diversi da quelli previsti nelle lettere a), a bis) e b).
Impugnato l’avviso la CTP di Firenze, con sentenza n. 126/4/09 respingeva il ricorso.
Avverso detta sentenza proponeva appello il Notaio M. e la CTR della Toscana, con sentenza n. 94/25/10 lo rigettava sul presupposto che nella specie si vertesse in ipotesi di imposta principale e non complementare, che nell’atto fosse stato indicato un valore netto delle quote trasferite al trustee che legittimava il riferimento di tale valore ai fini dell’applicazione dell’imposta di donazione e che con lo strumento adottato fosse stato creato un “vincolo di destinazione” come tale attratto nell’ambito dell’imposta di successione e donazione.
Il notaio D.M. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo il contribuente denunzia violazione degli artt. 42, 52, 53 e 57 del dpr 26.4.1986 n. 131 in materia di imposta di registro, nonché dell’art. 3-ter del d.lgs 18.12.1997, n. 463 per avere ritenuto la CTR che la maggiore imposta richiesta fosse imposta principale e non complementare.
1.a. La censura non è fondata.
Questa Corte ha di recente statuito in ordine alla procedura telematica per gli adempimenti in materia di registrazione degli atti relativi a diritti sugli immobili (modificazione del d.lgs.18 dicembre 1997, n. 463, da parte del D.lgs. 18 gennaio 2000, n. 9) (Cass. 10215/2016) che la disciplina sopravvenuta “assegna ai soggetti, obbligati a richiedere la registrazione, di cui all’art. 10, lett. b), del t. u. dell’imposta di registro del 1986 – soggetti fra i quali sono compresi I notai per gli atti redatti – una particolare posizione nella fase di autoliquidazione delle imposte, connessa all’impiego del modello unico informatico recante la richiesta di registrazione; la trasmissione del quale, unitamente a tutta la documentazione necessaria, va eseguita ‘previo pagamento dei tributi dovuti in base ad autoliquidazione’. Per un verso viene prevista, ‘nel caso di dolo o colpa grave nell’autoliquidazione delle imposte’, la segnalazione, da parte degli uffici finanziari, delle irregolarità agli organi di controllo competenti per l’adozione dei conseguenti provvedimenti disciplinari;
per altro verso, “per i notai è ammessa la compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all’Amministrazione finanziaria” (D.lgs. n. 9 del 2000, artt. 3 bis e 3 ter). All’esito del controllo della regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte, e qualora, sulla base degli elementi desumibili dall’atto, risulti dovuta una maggiore imposta, gli uffici notificano, anche per via telematica, entro trenta giorni dalla presentazione del modello unico informatico, “apposito avviso di liquidazione per l’integrazione dell’imposta versata”. Il pagamento è effettuato, da parte dei soggetti di cui all’art. 10, lett. b) del t. u. dell’imposta di registro del 1986 “entro quindici giorni dalla data della suindicata notifica; trascorso tale termine sono dovuti gli interessi moratori computati dalla scadenza dell’ultimo giorno utile per la richiesta della registrazione e si applica la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13 (art. 3- ter cit.)”. Dalla ricostruzione normativa, pertanto, non si evince che il controllo dell’amministrazione finanziaria sulla regolarità dell’autoliquidazione notarile effettuata mediante inoltro del modello unico informatica sia di ordine esclusivamente formale; né si qualifica la maggiore imposta di registro liquidata come “principale” ovvero “complementare”. La disciplina in esame si riferisce al controllo, da ritenersi di natura sia formale sia sostanziale, della “regolarità dell’autoliquidazione e del versamento delle imposte”; con conseguente obbligo dell’ufficio di procedere, nel termine indicato, alla notificazione al notaio di apposito avviso di liquidazione per il recupero della “maggiore imposta” dovuta e, dunque, a titolo di “integrazione” di imposta. L’unico presupposto della richiesta telematica di versamento della maggiore imposta – avente natura sostanzialmente accertativo-impositiva – è dalla legge individuato nella circostanza che tale imposta integrativa sia evincibile “sulla base degli elementi desumibili dall’atto”. Il discrimine del potere di liquidazione integrativa non discende dunque dalla natura della maggiore imposta dovuta (principale o complementare), bensì dall’emersione dei suoi presupposti dallo stesso atto presentato telematica/mente per la registrazione.
Nel caso di specie, la commissione di merito ha positivamente appurato questo requisito, là dove ha ritenuto legittima la maggiore imposizione da parte dell’ufficio sulla base di una determinata interpretazione del contratto; condotta esclusivamente sugli elementi da quest’ultimo desumibili e, segnatamente, dalla tipologia e destinazione economica unitaria dei beni trasferiti.
La CTR ha osservato in proposito come l’atto rechi un valore netto delle quote trasferite al Trustee pari a € 297.378,64 e quindi richiamando l’art. 49 D.L. 262/2006 convertito in legge 286/2006 andrà necessariamente applicato, ai fini del calcolo dell’imposta, il dichiarato “valore globale” dei beni che si è andato costituendo con vincolo di destinazione.
2. Con il secondo motivo la contribuente deduce l’illegittimità dell’avviso di liquidazione per violazione dell’art. 2 comma 47 del d.l. 3 ottobre 2006, n. 262, convertito in l. 24.11.2006, n. 289, degli artt. 1 e 5 del d.lgs 31 ottobre 1990, n. 346, dell’art. 20 del dpr 26 aprile 1986, n. 131. Lamenta la ricorrente che la CTR abbia erroneamente ritenuto che il trust sia un istituto necessariamente ricompreso tra i vincoli di destinazione, con conseguente applicazione dell’imposta di donazione indipendentemente dall’analisi della sua natura e dei suoi effetti giuridici.
2.a.La censura non è fondata.
Con disposizione innovativa, il D.L. n. 262 del 2006, art. 2, comma 47, come convertito, prescrive che “è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.
Nel caso a mano i contraenti vollero un trust finalizzato alla liquidazione di beni nell’interesse dei creditori. L’Agenzia delle Entrate riferisce riproducendo l’art. 38 dell’atto istitutivo che le parti statuirono: il presente trust non rientra nell’ambito applicativo del D.lgs 31.10.1990 n. 346 non trattandosi di liberalità; il trasferimento delle quote al trustee è soggetto pertanto alla applicazione dell’imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell’art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al DPR 131/86; tenuto conto degli obblighi gravanti sul Trustee, che ha l’incarico di alienare le quote al solo fine di pagare i debiti del disponente, l’ammontare della base imponibile è pari a zero. Al solo fine dell’annotazione del presente atto nel repertorio del sottoscritto Notaio, le parti dichiarano che il valore netto delle quote trasferite al Trustee è di complessivi € 297.378,64.
2.b. Il trust, secondo lo schema tipico emergente dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con l. 16 ottobre 1989, n. 364, concretizza un’entità patrimoniale costituita da un insieme di rapporti giuridici istituiti da una persona, il disponente, in rapporto a beni posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato. Nella vigenza della disciplina fiscale anteriore era discusso quale fosse il regime impositivo dell’atto e se l’imposizione dovesse realizzarsi fin dall’inizio ovvero solo al momento delle attribuzioni patrimoniali dal trust fund al beneficiario.
Questa Corte ha più volte affermato che l’atto istitutivo di un trust non può essere annoverato nell’alveo degli atti a contenuto patrimoniale per il sol fatto che il consenso prestato riguarda un vincolo su beni muniti di valore economico. Una tale affermazione contrasta sia con le caratteristiche tipiche del trust come istituto giuridico, sia e soprattutto con le caratteristiche del sistema impositivo di registro, in cui l’elemento essenziale cui connettere la nozione di prestazione “a contenuto patrimoniale”, ex art. 9 della tariffa, è l’onerosità. L’art. 9 della tariffa, parte I, rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, purché però si tratti di fattispecie onerose, e in questo specifico senso aventi un contenuto patrimoniale. La norma non può essere intesa in modo dissociato dal contesto dell’art. 43, 1 ° comma, del d.p.r. n. 131 del 1986 che fissa, anche ai fini specifici, la base imponibile dell’imposta. Rileva in particolare la disposizione contigua di cui alla lett. h) di tale ultima previsione, che, quanto appunto alle “prestazioni a contenuto patrimoniale”, indica come base imponibile l’ammontare “dei corrispettivi in denaro pattuiti per l’intera durata del contratto”. Il che rappresenta dimostrazione del fatto che, ai sensi dell’art. 9 della tariffa, la prestazione “a contenuto patrimoniale” è la prestazione onerosa (Cass. n. 975/2018; Cass. n. 25478/2015).
2. c. Questa Corte ha manifestato nel tempo diversi orientamenti interpretativi sull’imposta di registro da applicare ad un trust con vincolo di destinazione. In particolare con l’ordinanza n. 3737/2015 la Corte ha affrontato un caso relativo alla costituzione e alla dotazione patrimoniale di un trust di garanzia osservando che “L’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del decreto legislativo 346/90, ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta classica sulle successioni e sulle donazioni. Ciò in quanto nell’imposta in esame, a differenza che in quella tradizionale, il presupposto impositivo è correlato alla predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti; là dove l’oggetto consiste nel valore dell’utilità della quale il disponente, stabilendo che sia sottratta all’ordinario esercizio delle proprie facoltà proprietarie, finisce con l’impoverirsi. Se questa imposta abbisognasse del trasferimento e, quindi, dell’arricchimento, essa sarebbe del tutto superflua, risultando sufficiente quella classica sulle successioni e sulle donazioni, nelle quali il presupposto d’imposta è, giustappunto, il trasferimento, quantunque condizionato o a termine, dell’utilità economica ad un beneficiario con riguardo all’imposta in esame, non rileva affatto la mancanza di arricchimento, giacché il contenuto patrimoniale referente di capacità contributiva è ragguagliato all’utilità economica, della quale il costituente, destinando, dispone Ciò posto, il legislatore, evocando soltanto l’effetto, ha inequivocabilmente attratto nell’area applicativa della norma tutti i regolamenti capaci di produrlo. Tra questi, vanno annoverati anche gli atti di destinazione contemplati dall’art. 2645-ter cod.civ.
In relazione all’aliquota applicabile, la misura dell’8% prevista dalla lettera c) del comma 49 della medesima norma, è imposta dalla sua natura residuale, non rientrando la figura del conferente, che seguita ad essere proprietario dei beni, in alcuna delle altre categorie previste dalla norma, che godono di aliquota inferiore” (nello stesso senso Cass. sez. n. 4482 del 2016; Cass. sez. VI n. 5322 del 2015; Cass. sez. VI n. 3886 del 2015; Cass. sez. VI n. 3737 del 2015; Cass. sez. VI n. 3735 del 2015.
Più recentemente questa Corte ha ritenuto di non condividere l’interpretazione letterale dell’art. 2, comma 47 ss., d.l. n. 262 cit. adottata dalle rammentate ordinanze di questa Corte sez. VI al cui avviso sarebbe stata istituita un’autonoma imposta «sulla costituzione dei vincoli di destinazione» disciplinata mercé il rinvio alle regole contenute nel d.lgs. n. 346 cit. e avente come presupposto la loro mera costituzione.
La Corte in proposito ha osservato che “l’unica imposta espressamente istituita è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la conseguenza che il presupposto dell’imposta rimane quello stabilito dall’art. 1 d.lgs. n. 346 cit. del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari Quella che emerge dal Decreto Legge n. 262 cit., articolo 2, comma 47 e ss., è la preoccupazione del legislatore (nei termini di intenzione del legislatore di cui all’articolo 12, comma 1, prel.) di evitare che un’interpretazione restrittiva della istituita nuova legge sulle successioni e donazioni disciplinata mediante richiamo al già abrogato Decreto Legislativo n. 346 cit. potesse dar luogo a nessuna imposizione anche in caso di reale trasferimento di beni e diritti ai beneficiari quando lo stesso fosse stato collocato all’interno di una fattispecie di “recente” introduzione come quella dei “vincoli di destinazione” e quindi non presa in diretta considerazione dal ridetto “vecchio” Decreto Legislativo n. 346 cit…. (Cass. 21614/2016).
2. C. Il Collegio ritiene di condividere il secondo orientamento sopra riferito.
La lettura del dato normativo fiscale, il quale deve tenere in debito conto il sistema fiscale complessivo e le ragioni di ordine costituzionale, legate alla capacità contributiva ex art. 53 Cost. fanno ritenere legittima l’applicazione dell’imposta prevista dal TU n. 346/90 qualora, come nella specie, il trasferimento a favore dell’attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento.
Coerentemente con la natura e l’oggetto del tributo, sono rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi in vicende non onerose, collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro.
Il vincolo di destinazione, in tal caso è idoneo a produrre un effetto traslativo funzionale al (successivo ed eventuale) trasferimento della proprietà dei medesimi beni vincolati a favore di soggetti beneficiari diversi dal soggetto disponente” senza alcun effetto di segregazione del bene.
In tal modo, il vincolo di destinazione assume un rilievo autonomo, rispetto alle altre fattispecie assoggettate al tributo, che hanno solo portata destinatoria con conseguente effetto di segregazione o separazione del bene, il quale rimane però nel patrimonio del disponente (in tal senso si è espressa Cass. 21614/2016 con riferimento all’istituzione di un trust cosiddetto “autodichiarato”).
Nella specie i contraenti vollero il reale trasferimento delle quote e dei relativi diritti al trustee, sia pure ai fini della liquidazione e quindi il reale arricchimento del beneficiario.
E’ quindi corretta l’applicazione dell’imposta nella misura dell’8% prevista dalla lettera c) del comma 49 del D.L. 262/06 che sottopone all’imposta di donazione la costituzione di vincoli di destinazione con beni devoluti a soggetti diversi da quelli previsti nelle lettere a), a bis) e b).
3.Il ricorso deve essere, pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 3000,00 oltre alle spese prenotate a debito.