Cass. Civ., Sez. VI, Sentenza 5 maggio 2014, n. 12665
CORTE DI CASSAZIONE – Civile, Sezione VI, Sentenza 5 maggio 2014, n. 12665
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. GOLDONI Umberto – Presidente – Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere – Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere – Dott. MANNA Felice – Consigliere – Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
L.V., rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dagli Avvocati BIANCIFIORI Attilio e Benito Panariti, elettivamente domiciliata presso
lo studio del secondo in Roma, Via Celimontana n. 38;
– ricorrente –
– contro
– S.F., rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dagli Avvocati ROSSI Massimo e Lavinia M.L. Rossi, elettivamente domiciliato in Roma, Viale Parioli n. 79/H, presso lo studio dell’Avvocato Michele Lobianco;
– – controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Perugia n. 201/2010, depositata in data 24 aprile 2010.
– Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 dicembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati Benito Panariti e Michele Lobianco, con delega;
sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale per quanto di ragione e il rigetto dell’incidentale.
Svolgimento del processo
che con atto di citazione notificato il 13 dicembre 2001 S. F., premesso di aver stipulato con L.V. un contratto preliminare in virtù del quale lo stesso si era impegnato ad acquistare per il prezzo di L. 40.000.000 una casa rurale con annessi agricoli e terreno circostante; che contestualmente aveva versato a titolo di caparra confirmatoria la somma di L. 10.000.000 e che il residuo prezzo sarebbe stato pagato in parte attraverso l’estinzione dei debiti della L., per i quali risultava pendente una esecuzione immobiliare sul compendio oggetto del contratto e in parte in contanti, al momento della stipulazione del contratto definitivo; che, estinti tali debiti, la L. rinviava la stipula del contratto definitivo; conveniva in giudizio la L. dinnanzi al Tribunale di Terni chiedendo che, ex art. 2932 cod. civ., venisse disposto il trasferimento della proprietà del compendio oggetto del preliminare al prezzo pattuito;
che tale giudizio veniva riunito, per ragioni di connessione, con quello nel frattempo instaurato dalla L., avente ad oggetto la domanda di quest’ultima di rescissione del contratto per lesione ex art. 1448 cod. civ., sulla base di una grave sproporzione tra le prestazione della parte acquirente e di quelle della venditrice e i due giudizi venivano trattenuti in decisione;
che il Tribunale adito, accertata la rescindibilità del contratto preliminare stipulato tra le parti, in accoglimento della domanda subordinata ex art. 1450 cod. civ., nel frattempo formulata dal S., determinava il prezzo stabilito per l’acquisto del compendio oggetto del preliminare in 37.000,00 Euro ed assegnava alle parti un termine di giorni sessanta per l’adempimento dei rispettivi obblighi di pagare il residuo prezzo e di trasferire la proprietà;
che avverso tale sentenza proponeva appello la L. sostenendo che l’offerta proposta dal S. ex art. 1450 cod. civ., era tardiva o comunque generica ovvero ancora che esulasse dai poteri del procuratore del convenuto; che la Corte nel determinare il prezzo equo si era erroneamente discostata dal quantum accertato dal CTU e non aveva, inoltre, tenuto conto della rivalutazione monetaria e degli interessi legali dalla data di stipulazione a quella del pagamento effettivo;
che il S. spiegava appello incidentale sostenendo che il Tribunale avrebbe dovuto accogliere la domanda formulata ex art. 2932 cod. civ.; che, comunque, la sentenza gravata era errata per aver riconosciuto la sussistenza delle condizioni di rescindibilità del contratto in assenza di qualsivoglia prova e, in via subordinata, deduceva l’erronea applicazione degli artt. 1448 e 1450 cod. civ.;
che l’adita Corte d’appello di Perugia, con sentenza n. 201 del 2010, depositata il 24 aprile 2010, così decideva: “in parziale riforma della sentenza pronunciata tra le parti dal Tribunale di Terni determina il prezzo di vendita del bene oggetto del contratto preliminare stipulato tra le parti in Euro 39.189,04 (con riferimento alla data della presente pronuncia) da adeguare in base agli indici ISTAT (da calcolare sul valore del bene al momento della stipulazione del preliminare, pari ad Euro 33.225,08) per il periodo intercorrente fino al momento della stipulazione del contratto definitivo o dello spirare del termine assegnato per la sua stipulazione (termine da calcolare a decorrere dal momento del passaggio in giudicato della sentenza); conferma nel resto l’appellata sentenza; dichiara totalmente compensate tra le parti le spese del presente grado”;
che in particolare la Corte territoriale respingeva in toto l’appello incidentale; respingeva le richieste dell’appellante principale riguardanti l’offerta del S. ex art. 1450 cod. civ., ritenendo che la stessa non potesse considerarsi tardiva, stante la natura negoziale dell’offerta e l’assenza di limiti temporali per la sua presentazione; rigettava altresì la doglianza avente ad oggetto la determinazione del prezzo equo operata dal Tribunale, in considerazione del valore soltanto indicativo dell’accertamento del CTU ed accoglieva parzialmente la doglianza in merito alla rivalutazione monetaria, sostenendo che questa doveva essere riconosciuta fino al momento della stipulazione e comunque fino alla scadenza del termine massimo indicato per la stipulazione del contratto;
che L.V. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi cosi formulati: a) violazione e/o errata e/o falsa applicazione dell’art. 1450 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3; b) violazione e/o errata e/o falsa applicazione dell’art. 1450 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3, in merito alla mancata applicazione degli interessi legali; c) insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia in merito alla mancata applicazione degli interessi legali sulla somma rivalutata a decorrere dalla stipulazione del contratto preliminare di compravendita, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5;
che ha resistito con controricorso il S., il quale ha anche proposto ricorso incidentale lamentando violazione e/o errata e/o falsa applicazione dell’art. 1448 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, nella parte in cui la Corte d’appello ha ravvisato l’approfittamento nella medesima consapevolezza dello stato di bisogno con motivazione assolutamente carente sul punto;
che la L. ha resistito, con controricorso, al ricorso incidentale.
Motivazione
che pregiudiziale all’esame del ricorso principale è l’analisi del ricorso incidentale;
che il ricorso incidentale è infondato;
che, invero, in tema di rescissione del contratto per lesione, vale il principio per cui il requisito dello stato di bisogno, richiesto dall’art. 1448 cod. civ., non va necessariamente inteso come assoluta indigenza, essendo sufficiente ad integrarlo anche una contingente situazione di difficoltà economica, per carenza di liquidità, tale da non consentire di far fronte ad impegni di pagamento con mezzi normali e da incidere sulla libera determinazione a contrarre;
l’accertamento di tale requisito costituisce una valutazione di fatto riservata al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente motivata (Cass. n. 2328 del 2010;Cass. n. 8200 del 1998);
che, nel caso di specie, i requisiti per la rescissione furono già adeguatamente vagliati dal Tribunale, il cui operato è stato poi avallato dalla Corte distrettuale, che ha congruamente motivato in ordine a tutti e tre i presupposti fondamentali affinchè potesse giustificarsi la rescissione: la lesione ultra dimidium, lo stato di bisogno, la conoscenza di esso da parte dell’altro contraente e l’approfittamento;
che l’inconsistenza della censura del ricorrente incidentale si manifesta a pieno se si considera che essa è sorretta, inammissibilmente, esclusivamente da valutazioni di fatto difformi da quelle rese dal giudice di merito;
che quanto al ricorso principale, il vizio denunciato da parte ricorrente nella prima doglianza consisterebbe nell’avere i giudici di appello considerato che l’offerta ex art. 1450 cod. civ., avesse natura negoziale e, in quanto tale, non incorresse nelle preclusioni processuali stabilite per la presentazione di domande giudiziali, ignorando così il mutamento della giurisprudenza di legittimità sul punto;
che la ricorrente sostiene quindi che la Corte d’appello avrebbe violato o falsamente applicato l’art. 1450 cod. civ., non attribuendo natura processuale all’offerta di reductio ad aequitatem di cui all’art. 1450 cod. civ., con conseguente dichiarazione di decadenza della relativa domanda giudiziale, ai sensi degli artt. 167 e 183 cod. proc. civ., per non essere stata presentata entro i termini perentori fissati da tali articoli;
che la censura è infondata;
che in primo luogo va rilevato come questa si basi su un presupposto erroneo, e cioè la natura processuale della offerta presentata ex art. 1450 cod. civ.;
che, infatti, sentenze successive a quella citata da parte ricorrente a sostegno della propria censura affermano la natura negoziale, ora in via esclusiva, ora congiuntamente a quella giudiziale, a seconda che la richiesta venga effettuata in sede giudiziale o no (Cass. n. 6630 del 1988);
che la sentenza citata, pur aderendo alla tesi della natura processuale dell’offerta, prosegue però affermando che “la domanda di reductio ad aequitatem del contratto rescindibile può essere proposta, nel processo di rescissione, in tutto il corso del giudizio di primo grado, fino alla precisazione delle conclusioni, ed anche in grado di appello; e può essere proposta in separato processo (anche in prevenzione all’iniziativa della parte lesa) fino a che la sentenza di rescissione non sia passata in giudicato” (Cass. n. 2748 del 1972);
che, dunque, posto che nel giudizio di appello non è stata riproposta la questione della idoneità formale dell’offerta effettuata dal procuratore del S., deve ritenersi che la formulazione della offerta di reductio ad aequitatem sia stata correttamente presa in esame dal Tribunale e dalla Corte d’appello, non essendo rispetto ad essa predicabile il verificarsi di preclusioni, stante, appunto, il suo connotato di istituto sostanziale, che per il suo operare presuppone, oltre all’adeguatezza, proprio che la rescissione venga accertata, e quindi ben può essere formulata all’esito del detto accertamento;
che il primo motivo è pertanto infondato;
che con il secondo motivo, formulato in via subordinata, la ricorrente principale denuncia l’erronea applicazione dell’art. 1450 cod. civ., dolendosi che i giudici d’appello abbiano erroneamente applicato la norma in merito alla decorrenza degli interessi legali sulla somma stimata equa a titolo di prezzo di compravendita dell’immobile oggetto del contratto preliminare, avendo ritenuto che questi decorressero dallo spirare del termine fissato per la stipulazione del definitivo e non dalla data di stipulazione del contratto preliminare o, al più tardi, dal momento in cui si sarebbe dovuto stipulare il definitivo nell’originaria intenzione delle parti;
che con il terzo motivo la ricorrente principale lamenta vizio motivazionale in relazione alla mancata applicazione degli interessi legali sulla somma rivalutata a decorrere dalla stipulazione del contratto preliminare di compravendita;
che i due motivi, suscettibili di essere esaminati congiuntamente, non sono fondati;
che vale infatti il principio per cui,nell’ipotesi di contratto preliminare di compravendita, il promittente venditore ha diritto agli interessi compensativi, ex art. 1499 cod. civ., solamente per il periodo successivo alla data prevista per detta stipulazione, sul presupposto, comunque, che sia provata la certezza e definitività del prezzo, anche se non ancora esigibile.(Cass. n. 6967 del 1999);
che analoghe considerazioni valgono quando, come nel caso di specie, il bene non sia ancora stato consegnato, atteso che l’art. 1499 cod. civ., a norma del quale, nel caso di anticipata consegna della cosa fruttifera compravenduta, sono dovuti, salvo patto contrario, gli interessi sul prezzo, non è applicabile al contratto preliminare nel caso di anticipata consegna della cosa; pertanto, il promittente venditore che, senza ricevere il prezzo, ha consegnato la cosa prima della stipulazione del contatto definitivo, può pretendere gli interessi compensativi sul prezzo da pagare solo dalla prevista data di stipulazione del contatto definitivo, a meno che non vi sia stata costituzione in mora del creditore(Cass. n. 2676 del 1994; Cass. n. 3646 del 2001; Cass. n. 9043 del 2006);
che, in conclusione, il ricorso principale e quello incidentale devono essere rigettati;
che in considerazione della reciproca soccombenza, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2014