Cass. Pen., Sez. III, sentenza 11 aprile 2017 n. 18403
Corte di Cassazione, III sezione penale, sentenza 11 aprile 2017, n. 18403
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 29 luglio 2016 il Tribunale di Parma, in sede di riesame, ha parzialmente riformato il decreto di sequestro preventivo emesso il 21 giugno 2016 dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, avente ad oggetto somme di denaro, beni mobili ed immobili anche per equivalente, nell’ambito delle indagini a carico tra l’altro di Z.V. per il reato di cui all’art. 81 c.p. e D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 5, in relazione all’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi e sul valore aggiunto relative all’anno 2013.
In particolare, il Giudice del riesame ha disposto che il sequestro per equivalente a carico dell’indagato Z. non eccedesse la somma di Euro 183.044,00, corrispondente al profitto, in tesi autonomamente ottenuto, del reato ascrittogli.
2. Avverso il predetto provvedimento Z.V., già legale rappresentante della ATIM Immobiliare s.r.l., ha proposto ricorso per cassazione tramite il difensore, articolando tre motivi d’impugnazione.
2.1. Col primo motivo l’odierno ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 43 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917) e dell’art. 192 c.p.p., comma 2.
In particolare, la vendita di un bene strumentale per natura, come doveva intendersi il cespite oggetto del negozio di cessione, non determinava un ricavo, tassabile a norma dell’art. 85 del testo unico, bensì una plusvalenza patrimoniale di cui all’art. 86, sì che dal corrispettivo di Euro 370.000 doveva quantomeno essere dedotto il costo del bene non ammortizzato. Nello stesso contratto di permuta, oggetto dell’indagine, era invero indicato che la permuta riguardava un bene strumentale non suscettibile di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, sì che doveva intendersi una presunzione assoluta di strumentalità indipendentemente dall’effettivo utilizzo del bene, nè era sufficiente riferirsi all’oggetto sociale della ATIM Immobiliare.
Mentre non era stato spiegato in base a quali elementi fosse stata ritenuta erronea la qualificazione del bene come strumentale e non come bene-merce. In ogni caso al ricavo doveva essere associato il costo per l’acquisto della partecipazione societaria oggetto di permuta, pari al supposto ricavo.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha lamentato violazione di legge in relazione alla L. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 10, comma 8-ter; al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5; al D.P.R. 633 del 1972, art. 127-quinquiedecies della tabella A allegata; al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 43, e all’art. 192 c.p.p., comma 2.
In particolare, quanto alla contestata evasione dell’imposta sul valore aggiunto, l’ATIM non poteva essere l’impresa costruttrice dell’immobile permutato, e doveva applicarsi la particolare ipotesi di cui all’art. 10, comma 8-ter cit. (“Sono esenti dall’imposta:…le cessioni di fabbricati o di porzioni di fabbricato strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni, escluse quelle effettuate dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui al Testo Unico dell’edilizia di cui al D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, art. 3, comma 1, lett. c), d) ed f), entro cinque anni dalla data di ultimazione della costruzione o dell’intervento, e quelle per le quali nel relativo atto il cedente abbia espressamente manifestato l’opzione per l’imposizione”), con una tassazione del 10%, quindi sotto la soglia della rilevanza penale trattandosi della pretesa evasione di Euro 37.000, e non del 22%.
Nè il bene, nonostante le osservazioni del Tribunale, non poteva che essere qualificato come bene strumentale per natura, vista la qualificazione in tal senso adottata anche dalla Agenzia delle entrate. Nè, attesa la tipologia del bene, occorreva altra prova se non quella che la ATIM non era stata l’impresa costruttrice del fabbricato, e che non aveva manifestato l’opzione per l’imposizione.
2.3. Infine il ricorrente ha dedotto la violazione del D.P.R. n. 180 del 1950, art. 2, degli artt. 125 e 321 c.p.p., dell’art. 104 disp. att. c.p.p. e art. 111 Cost., comma 6, in quanto il 18 luglio 2016 risultava sequestrato il libretto postale acceso dall’indagato con l’esclusivo fine di riscuotere la pensione erogata dall’Istituto previdenziale, laddove il divieto di sequestro e pignoramento di trattamenti retributivi, pensionistici ed assistenziali in misura eccedente al quinto costituiva regola generale dell’ordinamento processuale.
3. Il Procuratore generale ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso è inammissibile.
4.1. Osserva preliminarmente la Corte che, in tema di ricorso per cassazione proposto avverso provvedimenti cautelari reali, l’art. 325 c.p.p. ammette il sindacato di legittimità soltanto per motivi attinenti alla violazione di legge. Nella nozione di “violazione di legge” rientrano, in particolare, gli errores in iudicando o in procedendo, al pari dei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, come tale apparente e, pertanto, inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal Giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093; v. anche Sez. 6, n. 6589 del 10/01/2013, Gabriele, Rv. 254893); per contro, non può esser dedotta l’illogicità manifesta della motivazione, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di cui alla lett. e) dell’art. 606, stesso codice (v., per tutte: Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710; Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino S., Rv. 224611).
4.2. Ciò posto, non vi è questione circa il fumus del reato di omessa presentazione delle dichiarazioni, laddove vi è controversia circa la natura dell’operazione economica, non simulata, del valore attestato di Euro 370.000,00 (cessione immobiliare da parte della società amministrata dal ricorrente a fronte, quale corrispettivo, dell’intera partecipazione vantata dalla cessionaria nel capitale di terza società).
Al riguardo, il provvedimento impugnato ha inteso richiamare il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 85, comma 1 lett. a), (testo unico delle imposte sui redditi), secondo cui “sono considerati ricavi: a) i corrispettivi delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa”.
A questo proposito, e contrariamente alle conclusioni del Procuratore generale, il provvedimento impugnato non appare infatti in primo luogo viziato da una mera apparenza di motivazione; al contempo, non appaiono fondati i rilievi circa le dedotte violazioni di legge.
4.3. Esso ha invero dato conto, da un lato, che per beni strumentali devono essere intesi solamente quelli necessari all’esercizio dell’attività, e, dall’altro, che l’oggetto sociale era proprio rappresentato dalla compravendita di immobili, come in specie, effettuata su beni propri, per cui l’operazione economica posta in essere costituiva la tipica fonte di reddito della società.
4.4. Al riguardo, è stato osservato che la disposizione secondo la quale gli affermato (Cass. 04/06/2007 n. 12999), “come una sorta di riconoscimento della strumentalità del bene a prescindere dalle caratteristiche del medesimo in immobili appartenenti ad imprese commerciali, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa destinazione senza radicali trasformazioni, costituiscono beni strumentali dell’impresa, anche se non sono utilizzati direttamente e sono dati in locazione o in comodato, non va inteso, come già rapporto con l’attività dell’azienda, giacchè occorre la prova della funzione strumentale del bene in relazione all’attività dell’azienda, e, solo nei casi in cui risulti altresì provata (e non solo affermata) l’insuscettibilità (senza radicali trasformazioni) di una destinazione del bene diversa (da quella accertata in rapporto strumentale con l’attività aziendale), è prevista la possibilità di prescindere (ai fini della ritenuta strumentalità del bene) dall’utilizzo diretto dello stesso da parte dell’azienda, ferma in ogni caso restando l’imprescindibilità dell’accertamento della strumentalità, sia pure astratta, del bene, non oggettivamente considerato, bensì in rapporto all’attività aziendale”. Deve pertanto affermarsi che occorre parlare non di una strumentalità “oggettiva”, bensì di una strumentalità “astratta”, nel senso che deve pur sempre accertarsi il rapporto strumentale tra bene e attività aziendale, potendosi però, in concreto, prescindere dall’utilizzo diretto del bene, purchè in presenza del presupposto dell’insuscettibilità di diversa destinazione (così complessivamente, in motivazione, Cass. 04/03/2015 n. 4306).
Ciò posto, il bene in questione non è stato locato o comodato ma ceduto a terzi. Oltre a ciò, correttamente il provvedimento impugnato ha osservato che il bene rappresentava appunto l’oggetto dell’attività sociale, rappresentato dalla compravendita di immobili effettuata su beni propri.
In altre parole, in tal modo appare provata la diversa destinazione del bene rispetto alla mera strumentalità rispetto all’attività sociale. Laddove, in linea generale, la strumentalità invece per destinazione è riservata a quegli immobili che hanno come unico impiego quello di essere “direttamente utilizzati” nell’espletamento di attività tipicamente imprenditoriali.
4.5. Per quanto riguarda il secondo motivo, esso trae spunto, quanto alla contestata tassazione Iva, dal presupposto, che la Corte non condivide alla stregua delle osservazioni che precedono, che l’operazione abbia avuto ad oggetto un bene strumentale. Non possono quindi che essere ribadite le considerazioni già svolte, ed in proposito il Tribunale aveva già esaurientemente risposto rilevando che il bene non rientrava tra le ipotesi di esenzione di cui all’art. 10, comma 8-ter cit., non trattandosi di bene strumentale.
4.6. In ordine infine alle lamentate modalità di esecuzione del sequestro sul libretto postale di pertinenza dell’odierno ricorrente, ed a prescindere da ogni ulteriore questione circa la ritualità della censura (cfr. ad es. Sez. 3, n. 44912 del 07/04/2016, Bernasconi, Rv. 268771), va ricordato che l’ambito conoscitivo del giudice del riesame è circoscritto alla valutazione delle acquisizioni coeve all’emissione dell’ordinanza, delle sopravvenienze favorevoli all’indagato e degli ulteriori elementi “addotti dalle parti nel corso dell’udienza”, anche se non presentati al giudice che emise la misura, mentre eventuali acquisizioni successive rispetto al momento della chiusura della discussione dinanzi al collegio non assumono alcun rilievo nell’ambito del successivo giudizio di legittimità, potendo essere fatte valere soltanto con nuova richiesta (Sez. 6, n. 39871 del 12/07/2013, Notarianni, Rv. 256445).
In specie, il provvedimento impugnato ha dato conto (nè siffatti rilievi sono stati fatti oggetto di censura, quanto alla loro eventuale non corrispondenza al vero) che non risultava, dagli atti dell’esecuzione, che fosse stato posto sotto sequestro il libretto postale prodotto dalla difesa, e che in ogni caso non era stato dimostrato in alcun modo, neppure producendo una semplice stampa della lista movimenti, che nel libretto confluissero esclusivamente somme inerenti al trattamento pensionistico dell’odierno ricorrente.
Ciò posto, solamente in questa sede è stato prodotto il verbale dell’eseguito sequestro, ancorchè avvenuto in data precedente all’udienza del riesame, e del pari è stata prodotta copia di lista dei movimenti effettuati sul libretto di risparmio ordinario intestato allo Z..
Va da sè che sarebbero quindi pretesi nuovi accertamenti e valutazioni, in sè istituzionalmente preclusi a questa Corte proprio in ragione della posteriorità di dette acquisizioni rispetto al non contestato oggetto delle valutazioni rimesse al Tribunale del riesame, in rapporto all’ambito di cognizione colà riservatogli.
4.7. Tutti i motivi di impugnazione devono essere disattesi stante la loro manifesta infondatezza, sostanziale ovvero processuale.
5. Ne consegue l’inammissibilità del ricorso.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017