Cass. Pen., Sez. III, Sentenza 25 luglio 2017, n. 36801
Corte di Cassazione, III sezione penale, sentenza del 25 luglio 2017, n. 36801
Ritenuto in fatto
N.B. ricorre per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Trieste ha confermato quella emessa dal tribunale di Gorizia che aveva assolto il ricorrente dai delitti ascrittigli ai capi a) e b) perché il fatto non sussiste e lo aveva condannato per il delitto di cui al capo g), valutata la recidiva reiterata specifica infraquinquennale contestata, alla pena di anni uno e di mesi tre di reclusione.
Al ricorrente era stato contestato:
A) il reato (per il quale è stato assolto in primo grado ma che si riporta, al pari dei successivi, per una migliore comprensione della vicenda processuale) di cui agli articoli 81 cpv., 646, primo e terzo comma (in relazione all’articolo 61 n. 11) del codice penale perché, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, quale dipendente tecnico della Tecnofer s.r.l. con sede in Gorizia, delegato ad operare sui conti correnti societari, avendo la disponibilità del denaro depositato su tali conti, effettuando plurimi prelievi senza alcuna giustificazione, si appropriava delle seguenti somme di denaro:
– Euro 1.518 nel 2006;
– Euro 204.000 nel 2007;
– Euro 81.300 nel 2008.
B) il reato (per il quale è stato assolto in primo grado) di cui all’articolo 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché, al fine di evadere le imposte sui redditi, essendovi obbligato, ometteva di presentare le dichiarazioni dei redditi relative all’anno 2007 con conseguente evasione IRPEF, non denunciando i seguenti redditi:
– Euro 219.880,87 (Euro 204.000,00 provento del reato sub A) ed Euro 15.880,87 risultanti dal CUD rilasciato dal datore di lavoro) per l’anno 2007.
G) il reato di cui agli articoli 110 del codice penale, 11 d.lgs. 74 del 2000 perché – al fine di sottrarre al pagamento di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, con relativi interessi e sanzioni, per un valore pari ad Euro 126.671,06 – costituiva fraudolentemente il trust G. (il cui disponente era il N. e la trustee A.L. (assolta in primo grado dal medesimo reato contestato in concorso con il N. ) in modo da conferirvi tutti i beni in proprietà, costituzione idonea a rendere del tutto inefficace nei confronti del ricorrente ogni procedura di riscossione coattiva. In particolare, dopo avere costituito il trust, acquistava, per conto dello stesso, un villino in (…), in cui abitava unitamente al trustee, A.L. .
Per l’annullamento dell’impugnata sentenza il ricorrente articola cinque motivi di impugnazione, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 delle disposizioni di attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo motivo denunzia la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1 lettera e) del codice di procedura penale in relazione all’articolo 429, comma 1, lettera c), stesso codice ed agli articoli 24, comma 2 e 111, comma 3, della Costituzione).
Assume che il giudice di primo grado aveva rigettato l’eccezione di nullità del capo d’imputazione di cui al capo g) per indeterminatezza dello stesso, sul rilievo che detto capo di accusa fosse connesso con i reati di cui ai capi a) e b) della rubrica, per i quali tuttavia l’imputato era stato assolto con formula ampiamente liberatoria, esito, quest’ultimo, in palese contraddizione con la motivazione posta a sostegno dell’ordinanza reiettiva della sollevata eccezione.
La Corte di appello, nel rigettare l’analoga doglianza riproposta con i motivi di gravame, affermava che il reato di cui al capo g) della rubrica dovesse ritenersi autonomo rispetto ai capi di imputazione per i quali era intervenuta l’assoluzione e che, a tal fine, alcun pregiudizio sarebbe derivato al diritto di difesa dell’imputato, che sarebbe stato compiutamente esercitato anche con la produzione di memorie, nonostante l’iniziale erroneo convincimento espresso dal tribunale con l’ordinanza di rigetto dell’eccezione per indeterminatezza del capo di imputazione.
Obietta il ricorrente che se, come sostiene la Corte d’Appello di Trieste, fosse così pacifico che la contestazione dell’asserita commissione del reato di cui all’art. 11 D.L.vo 74/2000 risultasse autonoma rispetto alle altre due imputazioni formulate nei suoi confronti, allora non sarebbe spiegabile come il Giudice di prime cure avesse errato nel leggerne invece la correlazione con i capi sub a) e b).
Peraltro, la Corte di appello avrebbe pretermesso di considerare come l’interpretazione dell’imputazione resa dal tribunale avesse influenzato ab initio l’intero processo di primo grado, ove la difesa ricorrente si era concentrata sull’esame del teste del pubblico ministero, Ilario, in ordine agli elementi costitutivi del reato di appropriazione indebita, dal quale derivava poi la contestazione del reato di cui all’articolo 5 D.L.vo 74/2000, a propria volta logicamente correlato (come espressamente dichiarato dal Tribunale di Gorizia) al capo d’imputazione sub g).
Neppure corrisponde al vero, inoltre, che la difesa del ricorrente abbia prodotto memorie difensive, essendosi limitata a produzioni documentali attestanti l’adesione del N. al condono tombale previsto dall’art. 9 Legge 289 del 2002 nonché attestanti la regolarità del finanziamento bancario austriaco, del quale si adombrava la fittizietà.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale o di altre norme di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale in relazione all’articolo 11 D.L.vo 74 del 2000).
Rileva che presupposto indefettibile per la commissione del reato ritenuto in sentenza è che il contribuente moroso coscientemente depauperi il proprio patrimonio per sottrarlo, in tutto o in parte, alla garanzia del credito vantato dal fisco nei suoi confronti.
In altri termini, la condotta, perché integri la fattispecie incriminatrice, deve essere, attraverso la capacità causale degli atti di disposizione compiuti sul proprio patrimonio, potenzialmente idonea a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, rimuovendo dal patrimonio del debitore d’imposta quei cespiti e quei diritti che potrebbero essere oggetto di aggressione da parte del creditore e che, secondo le regole generali sulle azioni esecutive a tutela dei crediti, dovrebbero svolgere tale funzione.
Nel caso di specie, i giudici del merito hanno ritenuto integrata la fattispecie di reato in capo al ricorrente per mezzo della costituzione del trust G. , ed il successivo acquisto di un immobile in (…) da parte dello stesso trust, avvenuto, in tesi accusatoria, almeno parzialmente con rilevanti somme riconducibili all’imputato.
Il quale avrebbe depauperato il proprio patrimonio segregando nel trust un importo di Euro 135.000,00 atteso che egli aveva conferito nel trust G. l’importo di Euro 15.000,00 – contestualmente all’istituzione dello stesso – e poi aveva fatto confluire nella disponibilità del medesimo, a beneficio della trustee che curava formalmente l’acquisto della casa, l’importo di Euro 120.000,00 – derivante da mutuo bancario contratto dal N. nel marzo del 2008 con l’istituto di credito austriaco, BKS Bank di (…).
Osserva il ricorrente che, ritenendosi concretizzata, nel caso di specie, la fattispecie di reato dell’articolo 11 D.L.vo 74 del 2000, la Corte territoriale sarebbe incorsa in violazione di legge, poiché non sono ravvisabili azioni depauperative del proprio patrimonio nella condotta dell’imputato e, quindi, non si sono realizzati gli elementi costitutivi del reato.
Infatti, la valutazione ex ante in merito all’idoneità della condotta posta in essere dal ricorrente non può prescindere anche da una valutazione di quali interventi siano stati effettuati sul suo patrimonio e quali cespiti e diritti sarebbero stati rimossi dal patrimonio medesimo.
Posto che la condotta delittuosa sarebbe iniziata con la costituzione del trust G. , tanto il primo quanto il secondo grado di giudizio avrebbero consentito di accertare che il patrimonio dell’imputato era rimasto immutato rispetto al momento successivo relativo all’acquisto immobiliare da parte del trust. Infatti, il ricorrente, nel dibattimento di primo grado, ha prodotto documentazione con la quale ha dimostrato come la costituzione della provvista di Euro 120.000,00 sia derivata da regolare finanziamento bancario concesso dall’istituto di credito austriaco e richiesto per un acquisto immobiliare, che si è subito dopo concretizzato, con la conseguenza che la somma mutuata, transitata sul conto dell’imputato prima di essere destinata all’acquisto immobiliare da parte del trust, non poteva essere ritenuta elemento costituente il patrimonio dell’imputato e quindi, alcun depauperamento risulterebbe cagionato a detto patrimonio e perciò, a fortiori, non vi sarebbe stato alcun atto fraudolento idoneo e finalizzato allo scopo di frustrare la riscossione coattiva da parte dell’erario.
Ragionando diversamente si assisterebbe ad una indebita estensione della portata della norma incriminatrice, con violazione del principio di tassatività della norma penale, poiché sarebbe ritenuto colpevole del reato ascritto non chi abbia ridotto la propria capacità patrimoniale per rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva preannunciata dalla notifica di alcuni estratti di ruolo, ma bensì chi, debitore dell’erario, ometta di aumentare la propria capacità patrimoniale per consentire al fisco di esercitare il proprio diritto di credito.
Sotto altro e convergente profilo, risulta carente, secondo il ricorrente, anche l’integrazione dell’elemento soggettivo del reato contestato in quanto la condotta incriminatrice di cui all’articolo 11 D.L.vo 74 del 2000 deve essere supportata dall’elemento psicologico del dolo specifico, inteso come un preordinato disegno diretto a porre in essere atti fraudolenti su beni propri o altrui al fine di depauperare il proprio patrimonio così da rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Il dolo specifico tuttavia deve investire ogni elemento costitutivo del reato, compreso il superamento della soglia di punibilità prevista dalla norma, situazione nella specie non sussistente.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale (articolo 606, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale in relazione all’articolo 192 stesso codice).
Osserva il ricorrente come il tribunale abbia ritenuto sussistente la condotta penalmente rilevante ritenendo che l’istituto del trust fosse stato abusato.
Il giudice di appello ha riconosciuto la carenza della motivazione della sentenza appellata sul punto, ritenendo condivisibile quanto sostenuto dal ricorrente ossia che la creazione di un patrimonio separato di per sé non può far presumere il carattere fraudolento dell’operazione, dovendosi necessariamente ricercare degli elementi ulteriori ossia dati oggettivi che provino l’abuso dello strumento.
Sennonché i dati oggettivi enunciati nella motivazione della sentenza impugnata, in base ai quali è stata ritenuta la fraudolenza e la simulazione del trust, non si confrontano, secondo il ricorrente, né con il giudizio di meritevolezza che lo strumento negoziale intrinsecamente possiede sulla base della normativa internazionale e neppure con gli esiti cui è giunto lo stesso Tribunale di Gorizia, nel procedimento incidentale relativo all’applicazione del misure di prevenzione personali e patrimoniali, che ha rigettato la richiesta di sequestro del bene immobile segregato nel Trust G. , decisione confermata dalla stessa Corte di Appello di Trieste, che ha correttamente statuito come non fosse possibile affermare che il trust sia in quanto tale un istituto volto a scopi illeciti laddove un approccio corretto all’istituto richiederebbe di esaminare le clausole contrattuali e il concreto svolgimento del rapporto negoziale, pervenendo la stessa Corte del merito, in base a tale approfondito esame, a ritenere perfettamente legittimo il regolamento negoziale al contrario censurato in sede penale, con eclatante violazione della regola di giudizio richiesta dall’articolo 192 del codice di procedura penale.
In particolare, è stata correttamente valorizzata la circostanza, viceversa immotivatamente svilita in sede di giudizio penale di responsabilità, secondo la quale la costituzione del trust era legata al fatto che sia il N. che l’A. avevano avuto dei figli nati fuori dal matrimonio ed era loro intenzione di far beneficiare il figlio del ricorrente, D. , nipote naturale di L.M. , madre del N. , del ricavato della vendita di un immobile di quest’ultima. Infatti, non si poteva costituire un rapporto successorio con la nonna, atteso il rapporto di filiazione naturale, e, quindi, D. ed i suoi eredi avrebbero potuto essere penalizzati rispetto ai figli legittimi (poi effettivamente nati, vale a dire S. e Sv. ) che il N. avrebbe potuto avere con la moglie A. (per la quale esisteva un analogo problema, avendo avuto la figlia G. da un precedente matrimonio). Attesa tale situazione, il ricorso all’istituto è stato concepito per consentire una sostanziale parificazione di trattamento tra i quattro figli, evitando l’interferenza di diversi regimi successori e famigliari che avrebbe potuto determinare una conflittualità, o quanto meno uno stato di incertezza tra i diversi eredi del N. e della moglie.
Secondo i giudici del procedimento di prevenzione, la circostanza che tali finalità avrebbero potuto essere soddisfatte anche mediante altri strumenti non toglie che sussista una facoltà di scelta tra diversi schemi negoziali, ove consentiti dall’ordinamento, con la conseguenza che non è possibile ritenere che il trust sia, in quanto tale, un istituto volto a scopi illeciti, dovendosi invece esaminare le clausole contrattuali e il concreto svolgimento del rapporto negoziale, verificando, quindi, le possibili invalidità del negozio, verifica del tutto omessa in sede investigativa, tanto che da una lettura del testo del negozio di istituzione del trust non sono emersi elementi di evidente criticità o comunque deviazioni dallo schema tipico, evidenziandosi che la segregazione patrimoniale, derivante dal trust (con conseguente insensibilità alle pretese del fisco), non poteva dirsi di per sé illecita.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente prospetta la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale in relazione all’articolo 192 stesso codice) in punto di superamento della presunzione di non colpevolezza, atteso che è stato tralasciato ogni riferimento all’elemento psicologico del reato, il quale impone di dar conto dei risultati di prova anche in merito alla sussistenza del dolo specifico in ogni aspetto della condotta delittuosa e su ogni elemento costitutivo del reato, compreso il superamento della soglia di punibilità.
2.5. Con il quinto motivo il ricorrente eccepisce la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione (articolo 606, comma 1, lettera e), del codice di procedura penale in relazione all’articolo 163 del codice penale).
La Corte territoriale e il Tribunale di Gorizia hanno ritenuto di non concedere all’imputato la sospensione condizionale della pena, seppure la stessa fosse in astratto concedibile. Secondo il Giudice del gravarne dalla condotta dell’imputato non risulta possibile, nel caso di specie, formulare un giudizio prognostico favorevole in merito al fatto che in futuro si sarebbe astenuto dal commettere altri reati. Obietta il ricorrente come ancora una volta la motivazione appaia in contraddizione con i precedenti, invero modesti, dell’imputato, così come desumibili dal casellario giudiziale.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato per quanto di ragione sulla base del terzo motivo nei limiti di cui alle seguenti considerazioni.
La Corte di appello è pervenuta alla conclusione di considerare la natura fraudolenta del trust (c.d. ‘sham trust’, ossia di un trust simulato con un’intestazione fittizia al trustee di beni, dove il trustee sarebbe in realtà una mera ‘testa di legno’ del ‘settior/disponente’) in presenza di dati oggettivi ritenuti sufficienti per connotare il carattere fraudolento dell’operazione.
Secondo la Corte del merito, gli elementi di prova della fittizietà di un trust possono essere vari, potendosi rinvenire nella stessa disciplina data al negozio che ‘smaschera’ il disponente il quale si riserva tutta una serie di poteri che rendono evidente la artificiosa dismissione di beni. A questo proposito, dopo aver premesso una serie di principi che disciplinano l’istituito, la Corte d’appello ha rilevato come l’atto istitutivo del Ttrust G. contenesse una disposizione assolutamente decisiva, in quanto del tutto incompatibile con l’essenza propria dell’istituto, ossia l’articolo 28, secondo il quale il disponente aveva il potere di revocare e/o sostituire il trustee, o anche uno solo dei trustee nominati, in qualsiasi momento e nominare il nuovo trustee con atto a firma autenticata.
Una siffatta previsione è stata ritenuta tale da neutralizzare i poteri di gestione apparentemente ‘pieni ed assoluti ed esercitati in completa discrezionalità’ conferiti dall’articolo 24 dell’atto istitutivo al trustee, con conferma del fatto che il trustee (peraltro moglie dell’imputato) nel caso in esame fosse un mero prestanome. Il disponente che, a norma dell’articolo 24, in via di enunciazione di principio, avrebbe potuto solo fornire mere ‘indicazioni’ al ‘trustee’ sulla gestione del fondo, in realtà, alla luce dell’articolo 28 dello stesso atto, aveva il potere di revocarlo in qualsiasi momento e, soprattutto, senza giusta causa; il che è stato ritenuto assolutamente significativo del fatto che il vero ‘dominus’ ed effettivo titolare dei beni ‘segregati’ fosse il disponente (ossia l’imputato), il quale, nel caso in esame, faceva anche parte dei beneficiari del trust (articolo 8); il trustee (ossia la moglie del N. e quindi, in definitiva, anche quest’ultimo) aveva la disponibilità di fatto dei beni perché vantava un diritto di abitazione sull’immobile del trust (articolo 15); in ogni caso, i beneficiari del reddito (quindi anche il N. ex articolo 15) potevano abitare i beni immobili ‘a titolo di comodato o ad altro titolo’ senza la previsione della necessità di stipula di un contratto di affitto e che non era previsto alcun corrispettivo per tale uso; che a norma dell’articolo 17 dell’atto istitutivo il disponente aveva facoltà di ‘sostituire i beneficiari (…) indicati con altri beneficiari, così come potrà in ogni tempo nominare nuovi beneficiari’; infine, il trustee doveva tenere ‘il fondo in trust a vantaggio del disponente per tutta la durata della sua vita’ (articolo 15).
In conclusione, considerata l’operazione, posta in essere dal ricorrente, unitariamente (istituzione del trust, conferimento del denaro, acquisto dell’immobile), lo strumento del trust era stato utilizzato dall’imputato fraudolentemente, ossia al principale fine di impedire la riscossione coattiva del suo ingente debito tributario e non invece per disciplinare i diritti successori dei figli, per la regolamentazione dei quali potevano essere utilizzati altri strumenti.
Il ricorrente obietta, a tal proposito, che già il tribunale di Gorizia, aveva rimarcato come l’atto istitutivo del trust dovesse necessariamente indicare il procedimento per la sostituzione del trustee e per la nomina di nuovi trustee, tanto sul presupposto che, in via di principio, il trustee deve essere liberamente sostituibile e non quindi solo in caso di inadempienza alle proprie obbligazioni (giusta causa), trattandosi di un caso di autorealizzazione del trust senza necessità di ricorso al giudice.
Il giudicato di assoluzione intervenuto nei confronti del trustee, ossia della moglie del ricorrente, non abilitava la Corte del merito a ritenere che la donna fosse prestanome del marito, avendo il giudicato escluso una tale evenienza.
Né potevano stimarsi decisive le altre circostanza in forza delle quali: a) il disponente faceva anche parte dei beneficiari del trust; b) il trustee (ossia la moglie del N. e quindi, in definitiva, anche quest’ultimo) aveva la disponibilità di fatto dei beni vantando un diritto di abitazione sull’immobile del trust; c) i beneficiari del reddito (quindi anche il N. ) potevano abitare i beni immobili ‘a titolo di comodato o ad altro titolo’ senza la previsione della necessità di stipula di un contratto di affitto e che non era previsto alcun corrispettivo per tale uso; d) il disponente aveva la facoltà di ‘sostituire i beneficiari (…) indicati con altri beneficiari, così come potrà in ogni tempo nominare nuovi beneficiari’; e) il trustee doveva tenere ‘il fondo in trust a vantaggio del disponente per tutta la durata della sua vita’, perché la Corte territoriale aveva sposato una concezione pauperistica del trust, estranea alla ratio dell’istituto, omettendo di spiegare il perché quelle previsioni indicate avessero la portata di dimostrare la non volontà di realizzare il trust e di provarne la sua simulazione o addirittura nullità.
In particolare, non era stato spiegato in forza di quale normativa e/o ragionamento logico deduttivo (i) il disponente non avrebbe potuto fare parte dei beneficiari del trust; (ii) la famiglia della coppia privata della possibilità di abitare il bene del trust o (iii) perché sarebbe stato necessario corrispondere (a chi?) un canone di locazione; e quindi del perché, viceversa, tali previsioni avrebbero avuto il peso di deporre per la certa simulazione del trust.
Conclusivamente, il ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale abbia interpretato le clausole negoziali (peraltro diversamente valutate da altri giudici) in vista della sottrazione del patrimonio al fisco e non anche per verificarne la compatibilità con lo scopo asseritamente perseguito dal disponente, ossia quello di parificare i diritti successori tra i figli.
La giurisprudenza di legittimità (Sez. 3, n. 9229 del 30/06/2015, dep. 2016, Carmine; Sez. 5, n. 46137 del 24/06/2014, Greci, entrambe in motiv.) ha chiarito che il trust si sostanzia nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale ‘proprietario’ (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodo di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio.
In tali ipotesi, è ovvio che l’onere probatorio gravante sul pubblico ministero è quello proprio dei negozi simulati, potendo la prova essere offerta con qualsiasi idoneo mezzo e quindi anche mediante indizi gravi, precisi e concordanti (articolo 192, comma 2, del codice di procedura penale), fermo restando che essa non può rimanere circoscritta ad elementi di rilevanza meramente oggettiva, ma deve necessariamente proiettarsi, soprattutto nei casi, come nella specie, in Cui la fattispecie incriminatrice è integrata dalla presenza del dolo specifico, anche su dati idonei a disvelare convincentemente i profili di carattere soggettivo.
A tal proposito, è stato precisato che, al fine di evitare che il trust, in considerazione dei più svariati motivi per cui può essere costituito, possa diventare un facile strumento di elusione di norme imperative, il programma di segregazione deve corrispondere solo allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessi attuato, rappresentando esso la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepita, nell’ambito del diritto dei contratti, dalla giurisprudenza di legittimità. Invero, quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: indagine questa particolarmente rilevante nei riguardi di uno strumento giuridico estraneo alla nostra tradizione civilistica e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti, con finalità frequentemente frodatorie, all’elusione di norme imperative (in questi termini: Cass. civile, Sez. I, n. 10105 del 9 maggio 2014).
Nel caso di specie, la Corte del merito ha valorizzato una serie di elementi di indubbio e rilevante spessore indiziario circa la natura simulatoria del trust, inserendo tuttavia nell’apparato motivazionale taluni aspetti, anche essi ritenuti indicativi del meccanismo elusivo, che non potevano essere spesi ai fini della prova della sottrazione fraudolenta dei beni al fisco perché contrari al giudicato di assoluzione intervenuto nei confronti della moglie del ricorrente, perciò illogicamente definita (pur mantenendo la posizione di trustee) ancora prestanome (‘testa di legno’) dell’imputato, senza compiutamente spiegare, come si duole il ricorrente, se il trust, anche in considerazione delle clausole che il giudice di appello ha stimato, a prescindere dal dissenso in proposito manifestato dal ricorrente, indicative della condotta elusiva, potesse, come invece ritenuto nel procedimento di prevenzione, essere stato concepito per perseguire la finalità di parificare i diritti ereditari dei figli del ricorrente, indipendentemente dal fatto che il disponente avesse potuto ricorrere ad altri strumenti negoziali per realizzare il medesimo fine, enunciando, nell’ipotesi contraria, adeguatamente le ragioni di tale convincimento, avuto soprattutto riguardo all’aspetto, del tutto sottovalutato nella motivazione della sentenza impugnata, della integrazione del dolo specifico circa la fraudolenta sottrazione di beni al fisco in presenza o meno di un interesse perseguito alla regolamentazione dei diritti successori dei figli del ricorrente.
Sotto questo decisivo aspetto, il motivo di ricorso non è pertanto manifestamente infondato e neppure è possibile, essendo maturata la prescrizione del reato, rinviare la regiudicanda al giudice del merito per l’esame del punto, perché, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l’obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244275), restando tuttavia impregiudicata, come è ovvio, la possibilità che sia fornita dal fisco la prova, in sede civile, della simulazione del trust.
In mancanza di cause di proscioglimento nel merito di immediata evidenza ex articolo 129 cpv. del codice di procedura penale, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per prescrizione, ampiamente maturata nel frattempo essendo stato il reato commesso in data 27 giugno 2008.
Gli altri motivi di ricorso restano assorbiti.
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.