Cass. Pen, sez. III, sentenza 4 marzo 2016 n. 9154
Corte di Cassazione, III Sezione penale, sentenza 4 marzo 2016, n. 9154
Ritenuto in fatto
1. – Con ordinanza del 14 luglio 2015, il Tribunale di Imperia ha rigettato la richiesta di riesame proposta dagli interessati avverso il decreto del Gip dello stesso Tribunale del 29 maggio 2015, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo, fino all’importo di euro 789.310,80, dei beni immobiliari di proprietà di P. facenti parte del fondo patrimoniale familiare costituito con atto notarile del 23 dicembre 2013 dai coniugi P. e L.. Presupposto del sequestro è l’imputazione, a carico di entrambi, di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, formulata sull’assunto che la costituzione di detto fondo patrimoniale sarebbe unicamente servita ad eludere due atti di accertamento notificati in precedenza a P., il secondo dei quali per euro 789.310,80. Quanto al primo avviso di accertamento, vi era stata una conciliazione giudiziale con l’Agenzia delle entrate, cosicché il pubblico ministero e il Gip avevano riconosciuto la sostanziale insussistenza del relativo debito, escludendolo dal computo del sequestro.
2. – Avverso l’ordinanza l’indagato P. e la moglie L., amministratori del fondo patrimoniale oggetto di parziale sequestro preventivo, hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento. Si premette che l’oggetto degli accertamenti tributari è il debito della società G.I. s.p.a. e che il sequestro avrebbe erroneamente attinto il patrimonio della persona fisica di P., sul presupposto dell’esistenza di una ristretta base azionaria della società. Si precisa, inoltre, che sia il ricorso tributario sia le controdeduzioni dell’Agenzia delle entrate erano stati depositati prima della costituzione del fondo patrimoniale che si assume essere atto fraudolento.
2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si rileva l’erronea applicazione della disposizione incriminatrice, nonché dell’art. 49 cod. pen., perché il debito tributario sarebbe ascrivibile alla persona giuridica e non alla persona fisica di P..
L’atto di accertamento tributario sarebbe stato notificato a quest’ultimo nella sua qualità di coobbligato, avendo, però, ad oggetto Ires e Irap, imposte non esigibili dalle persone fisiche, tanto che l’Agenzia delle entrate non aveva effettuato alcuna iscrizione a ruolo nei confronti dello stesso indagato e che la stessa, nell’atto di costituzione nel giudizio tributario, aveva affermato che egli non era obbligato né coobbligato al pagamento delle somme contestate.
2.2. – In secondo luogo, si deduce l’inosservanza della disposizione incriminatrice, sul rilievo che la costituzione del fondo patrimoniale non può di per sé essere qualificata come atto fraudolento. La ricostruzione difensiva troverebbe conferma nella giurisprudenza di legittimità, la quale richiede che si tenga conto in modo puntuale e coerente delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli atti forniti dalle parti.
2.3. – Si lamenta, in terzo luogo, il mancato esame della sussistenza dell’elemento soggettivo, sul rilievo che l’indagato aveva, al momento della costituzione del fondo patrimoniale, la piena consapevolezza e la convinzione di non essere destinatario del debito tributario di cui all’atto di accertamento. Sarebbe perciò da escludere il dolo specifico di sottrazione fraudolenta del proprio patrimonio al procedimento di riscossione.
2.4. – Non si sarebbe considerato in quarto luogo, che la costituzione del fondo patrimoniale riguardava, comunque, solo una parte del patrimonio immobiliare di P., ed aveva lasciato privi di vincoli molti altri immobili, oltre ad altri cespiti patrimoniali, di valore decisamente superiore al debito che si asserisce esistente; cosicché la costituzione del fondo non potrebbe essere considerata idonea a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Il Tribunale, pur riconoscendo l’esistenza di beni e garanzie di ingente valore, non avrebbe specificato la ragione per cui gli stessi non erano sufficienti a soddisfare l’ipotizzato credito del fisco.
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è parzialmente fondato.
3.1. – Il primo motivo di doglianza – con cui si sostiene che il Tribunale non avrebbe considerato che il debito tributario è ascrivibile alla persona giuridica e non alla persona fisica di P. – è infondato.
Secondo l’art. 11, comma 1, del d.lgs. n. 74 del 2000, «è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni».
Dalla formulazione della disposizione si desume che costituisce elemento costitutivo del reato l’idoneità delle simulate alienazioni o degli atti fraudolenti commessi sui propri o sugli altrui beni a rendere anche solo parzialmente inefficace la procedura di riscossione coattiva. E l’idoneità degli atti deve essere valutata in concreto, sia con riferimento alla natura, sia con riferimento all’oggetto degli stessi.
Nel caso di specie, risulta pacifico che il debito tributario sia stato individuato nel mancato pagamento dell’Ires dovuta dalla società G.I. s.p.a., per l’anno di imposta 2006 e che l’indagato P. sia stato individuato come coobbligato dall’amministrazione finanziaria. Risulta anche che, nell’ambito del contenzioso tributario, l’Agenzia delle entrate ha presentato una memoria con la quale ritiene che l’atto impositivo sia rivolto alla sola società e non anche a P. personalmente. Su tale profilo, il Tribunale correttamente osserva che la memoria in questione non contiene affermazioni rilevanti ai fini sostanziali e penali e neppure vincolanti per la stessa amministrazione finanziaria, alla quale non è impedito, nel proseguimento della procedura esecutiva, di dare una diversa interpretazione al proprio atto. E la circostanza che vi sia una diversa interpretazione della vicenda da parte dell’amministrazione è richiamata dallo stesso ricorrente, laddove evidenzia che, alla pag. 7 dell’atto di accertamento si afferma che vi è una base azionaria così ristretta da far presumere che le operazioni fraudolente svolte dalla società siano in realtà ascrivibili ai soci, ai quali i relativi ricavi sarebbero stati distribuiti in nero; cosicché la struttura societaria potrebbe essere ricondotta ad un mero schermo, con l’ulteriore conseguenza che verrebbe meno la separazione del suo patrimonio da quello dell’indagato, il quale sarebbe quanto meno coobbligato in relazione al debito tributario. Tali ultime affermazioni – che, come osservato dallo stesso Tribunale, dovranno comunque essere oggetto di approfondimento nel giudizio di merito – non sono state adeguatamente contestate dal ricorrente, perché egli si è limitato a richiamare il dato, meramente formale, della esclusiva riconducibilità del debito tributario alla società.
3.2. – Il secondo e il quarto motivo di ricorso devono essere trattati congiuntamente, perché si riferiscono entrambi alla circostanza che la costituzione del fondo patrimoniale non potrebbe di per sé essere qualificata come atto fraudolento, in mancanza di concreti elementi in tale senso. In particolare, la difesa evidenzia, sul punto, che il Tribunale avrebbe trascurato di considerare che l’indagato aveva altri beni, di valore rilevante, che erano rimasti estranei al fondo patrimoniale e che sarebbero stati sufficienti comunque a soddisfare le pretese del fisco.
I motivi sono fondati.
Deve premettersi, in punto di diritto, che, a fronte di un fondo patrimoniale costituito ex art. 167 cod. civ., per fare fronte ai bisogni della famiglia, è necessario accertare, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 11 del d.lgs. n. 74 del 2000, che nell’operazione posta in essere sussistano gli elementi costitutivi della sottrazione fraudolenta: il processo di merito deve dunque individuare quali siano gli aspetti dell’operazione economica che dimostrino la strumentalizzazione della causa tipica negoziale allo scopo di evitare il pagamento del debito tributario. E non è ipotizzabile una sostanziale inversione dell’onere della prova, sul solo presupposto che la creazione del patrimonio separato rappresenti di per sé l’elemento materiale della sottrazione del patrimonio del debitore. Infatti, la scelta dei coniugi di costituire il fondo rappresenta uno dei modi legittimi di attuazione dell’indirizzo economico e delle esigenze del nucleo familiare, dovendosi escludere le sole esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (sez. 3, 4 aprile 2012, n. 40561). A ciò deve aggiungersi, sia sotto il profilo della idoneità degli atti a pregiudicare l’esecuzione coattiva, sia sotto il profilo della prova della sussistenza del dolo specifico di frode, la necessità di dimostrare che la costituzione del fondo patrimoniale abbia in concreto messo in pericolo la garanzia patrimoniale. Ne consegue che qualora – come nel caso di specie – la difesa abbia prospettato in sede cautelare l’esistenza di beni non inclusi nel fondo e di un valore tale da costituire adeguata garanzia, il giudice ha l’onere di fornire una pur sommaria motivazione sulla ragione per cui la costituzione del fondo rappresenterebbe, in ogni caso, uno strumento idoneo a rendere più difficoltoso il recupero del credito erariale. Ciò non è stato fatto dal Tribunale, il quale si è, anzi, esplicitamente discostato da tale principio di diritto, affermando che «il fatto che il P. sia proprietario di altri beni di ingente valore è irrilevante per la configurazione del reato, che, come si è visto, è reato di pericolo».
3.3. – Infondato è invece, il terzo motivo di doglianza. Lo stesso si riferisce infatti al mancato esame della sussistenza dell’elemento soggettivo non in relazione al profilo sopra esaminato dell’esistenza di altri beni idonei a soddisfare le pretese del fisco, ma esclusivamente in relazione al diverso profilo della piena consapevolezza e convinzione dell’indagato, al momento della costituzione del fondo patrimoniale, di non essere destinatario del debito tributario di cui all’atto di accertamento.
Devono essere richiamate, sul punto, le considerazioni già svolte sub 3.1. circa l’individuazione, in capo all’indagato, della qualifica di obbligato o, quantomeno, di coobbligato dell’obbligazione tributaria formalmente intestata alla società della quale era amministratore. E va sottolineato, in particolare, che già nell’atto di accertamento l’indagato era definito quale obbligato, in considerazione della natura “familiare” della società, che era tale da fame un mero schermo al servizio delle esigenze di illecito arricchimento dei soci. Di talché l’ordinanza impugnata non appare lacunosa quanto alla ritenuta impossibilità di escludere – allo stato degli atti – che l’imputato fosse pienamente consapevole di essere il sostanziale destinatario dell’obbligazione tributaria.
4. – Da quanto precede consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Imperia, perché proceda a nuovo giudizio, limitatamente agli aspetti richiamati al punto 3.2. della presente sentenza, facendo corretta applicazione dei principi di diritto ivi enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Imperia.