Corte di Cassazione

1 Maggio 2019

Cass., Sez. II Civile, sentenza 9 luglio 2014, n. 15396

CORTE DI CASSAZIONE – Sezione II Civile, Sentenza 9 luglio 2014, n. 15396

Ritenuto in fatto

Con citazione notificata in data 27.10.1978 C.M.G., CO.Pr. , C.D.C. ed C.E. , evocavano in giudizio il loro fratello C.P. , chiedendo l’assegnazione congiunta dei beni ereditari loro pervenuti, salvo conguaglio in favore di quest’ultimo, di un piccolo complesso immobiliare relitto ab intestato dalla madre G.M.
C.P. , nel costituirsi instava per la divisione pro quota dei beni ereditari e, nel caso di ritenuta indivisibilità di essi, chiedeva l’assegnazione dell’intero immobile in natura, salvo conguaglio a favore degli altri coeredi e la condanna delle attrici al rimborso di somme utilizzate per estinguere debiti materni e di spese anticipate per lavori.

L’adito tribunale di Brescia, con sentenza del 18 luglio 2003, riteneva che le quote di proprietà del bene dovevano determinarsi per 2/5 intestate a C.M.G., per 1/5 ad C.E. , per 2/5 a C.P. . Dichiarava l’immobile non comodamente divisibile ed aderendo alla richiesta di assegnazione congiunta del compendio proposta dalle sorelle, titolari insieme di una quota ideale maggiore di quella del fratello Pierino, assegnava alle medesime l’immobile in discorso, e le condannava in solido al pagamento in favore del fratello, di un conguaglio in denaro pari ad Euro 28.921,59, con interessi legali dalla sentenza.
La sentenza veniva appellata da C.P. sulla base di 2 motivi, contestando il giudizio di non comoda divisibilità del bene ereditario espresso dal primo giudice e rilevando che il tribunale aveva assegnato l’intero alla sorelle, trascurando che egli aveva sempre abitato in quell’immobile fin dalla nascita, per cui il migliore interesse sarebbe stato per le sorelle conseguire il prezzo e per esso appellante rimanere nella casa in questione.

L’adita Corte d’Appello di Brescia n. 686/06 depositata in data 20.7.2006, rigettava l’impugnazione, confermando la sentenza impugnata, rivalutando il credito da conguaglio in Euro 32945,69. La corte distrettuale confermava la non comoda divisibilità del bene in quanto, attese le caratteristiche del cespite, la sua divisione avrebbe comportato una perdita più che proporzionale rispetto al suo valore economico. Rilevava altresì che il giudice, per disattendere la domanda dell’erede che deteneva la quota maggiore di un bene divisibile, doveva trovarsi di fronte ad un grave motivo connesso ad un interesse comune a tutti i condividenti e non – come nella fattispecie – all’interesse di uno solo di essi (C.P. ).

Avverso tale sentenza, C.S. e M.L. nonché V.I. quali eredi di C.P. nelle more deceduto, hanno proposto ricorso per cassazione articolato su 2 mezzi, Resistono con controricorso To.Gu. e G. quali eredi di C.M.G. ed C.E. .

Con ordinanza pronunciata all’udienza del 26 ott.2009, la Corte ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso a Co.Pr. .

Gli altri intimati non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

1 – In ordine alla questione della tardività del ricorso per cassazione di cui alla relazione del Consigliere delegato ex art. 380 bis c.p.c., rileva i Collegio che la stessa non appare fondata, tenuto conto che nella fattispecie – in conseguenza della morte di C.P avvenuta in data (…) e quindi oltre 6 mesi dalla data di pubblicazione della sentenza in data 20.07.2006) – trova applicazione l’art. 328, 3 comma c.p.c. che ha prorogato di mesi 6 il termine di cui all’art. 327 c.p.c., termine che è stato rispettato ai fini dell’impugnazione, (tenuto conto della sospensione feriale) in quanto il ricorso è stato notificato in data 10.1.2008.

Circa la prova del rapporto di successione, può ritenersi sufficiente la documentazione prodotta costituita dall’atto notorio notaio G. Cirillo n. 21304 del 18.1.2008 in cui si attestava la qualità di eredi dei ricorrenti del defunto C.P. ed il certificato di morte di quest’ultimo (Cass. n. 10022 del 14.10.1997; Cass. n. 26893 del 5.12.2006). Peraltro va sottolineato che la qualità di eredi degli esponenti non era stato oggetto di contestazione alcuna dalle controparti.

2 – Passando all’esame del ricorso, con il 1 motivo gli esponenti denunciano il vizio di motivazione e la violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c. in ordine al concetto di comoda divisibilità del bene ereditario e in specie, sulla scelta del giudice di merito di attribuire l’immobile alle sorelle di C.P. . Gli esponenti lamentano che la sentenza si sia discostata dal giudizio di divisibilità espresso dal c.t.u. e censura adeguatezza della motivazione sulla non comoda divisibilità.

il motivo è infondato. La motivazione della sentenza su tale specifico punto del concetto di ‘non comoda divisibilità’ dell’immobile deve ritenersi congrua e logica (v. pag. 5 – 6), ciò che esclude la violazione dell’art. 720 c.c.; d’altra parte le contestazioni al riguardo sono alquanto generiche e prive di rilevo, risolvendosi in mere inammissibili censure alle valutazione del giudice delle emergenze istruttorie.

3 – Con il 2 motivo gli esponenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.c. circa la scelta della corte di attribuire l’intero immobile alle sorelle e non a lui che vi abitava. Denuncia che la sentenza impugnata non si sia discostata dal criterio di attribuzione dell’intero bene ai titolari della maggioranza delle quote che ne avevano fatto richiesta congiunta, nonostante egli abitasse da anni nell’immobile mentre le sue sorelle fruivano di una diversa abitazione.

Il motivo è infondato.

Giova sottolineare che la giurisprudenza non è sempre univoca nello stabilire la natura dell’interesse dei condividenti che può determinare individuazione dell’assegnatario del bene indiviso.Secondo alcune decisioni, nella divisione, devono essere preferibilmente seguiti dal giudice i criteri di attribuzione fissati dall’art 720 c.c. salvo deroga solo per gravi motivi che riguardano l’interesse comune dei condividenti. ‘In tema di divisione di cose comuni, per il caso in cui in presenza di un immobile indivisibile o non comodamente divisibile vi sia una pluralità di richieste di assegnazione, i criteri di attribuzione fissati dall’art. 720 c.c. in base ai quali l’immobile medesimo deve essere compreso per intero (con l’addebito dell’eccedenza nella porzione del condividente avente la quota maggiore, ovvero nella porzione di più condividenti ove questi ne chiedano congiuntamente l’attribuzione), devono essere preferibilmente seguiti, nel senso che il giudice se ne può discostare solo per motivi gravi ed attinenti all’interesse comune dei condividenti (Cass. Sez. 2, n. 7588 del 11/07/1995).

Secondo l’altro contrario, ma prevalente indirizzo (che sembra senz’altro condivisibile), il giudice ha il potere discrezionale di derogare dal criterio, indicato nell’art. 720 c.c., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all’obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata, che si risolve in un tipico accertamento di fatto, sottratto come tale al sindacato di legittimità ove adeguatamente motivato (Cass. n.11641 del 13.05.2010; Cass. n. 22857 del 28/10/2009; Cass. n. 21319 del 15/10/2010; Cass. n. 24053 del 25/09/2008: in tal caso la Corte ha confermato la sentenza del giudice di secondo grado con riguardo all’attribuzione dell’immobile non divisibile assumendo come criterio discriminante quello dell’interesse personale prevalente dell’assegnatario, privo di un’unità immobiliare da destinare a casa familiare, rispetto al titolare della quota maggiore che disponeva di altra abitazione).

Ciò posto, nel caso in esame la motivazione delle scelta dei condividenti appare in ogni caso adeguata e logica tenuto conto dell’ampio potere discrezionale attribuito al giudicante; ma va osservato che il convenuto C.P. è venuto a mancare, per cui non potrebbe sopravvivergli l’interesse all’assegnazione dalla sua risalente abitazione nell’immobile in esame.

Conclusivamente il ricorso dev’essere rigettato; per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico dei ricorrenti.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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