Cassazione, Sentenza 8865/2011 – Notaio e danno da ritardo
Trascrizione tardiva – negligenza del professionista – responsabilità – risarcimento danni
Il risarcimento del danno derivante da tardiva trascrizione di un atto di compravendita non può essere addebitato al Notaio cui non era stato “dato alcun incarico di reperire la certificazione necessaria”: il suo operato – hanno spiegato gli ermellini – non è “in alcun modo negligente”.
È quanto si evince in una recente pronuncia della Corte di Cassazione (la n.ro 8865/2011), nella quale – a conferma della sentenza di una corte territoriale – sono state rigettate le istanze avanzate dagli acquirenti di un motopesca, che lamentavano il ritardo nella trascrizione dell’atto di compravendita, il quale ritardo avrebbe consentito “ai creditori del venditore di intraprendere una procedura esecutiva”. Al fine ottenere la cancellazione del gravame, dunque, i ricorrenti avevano provveduto a versare un’ingente somma di denaro e ritenendo che tutto ciò fosse dovuto alla negligenza del professionista, si erano, quindi, rivolti al giudice per ottenere il risarcimento dei danni (il cui ammontare era superiore ai 350 mila euro).
I Supremi Giudici hanno, però, disatteso le aspettative degli acquirenti, condividendo in toto le conclusioni dei giudici di primo grado: l’operato del notaio non poteva dirsi “in alcun modo negligente”, in quanto non gli “era stato mai dato l’incarico di procurarsi la certificazione necessaria per procedere alla trascrizione, tant’è che tali certificazioni furono richieste” dallo stesso pubblico ufficiale “e dalle sue collaboratrici più volte, all’atto della stipula ed in seguito”.
Corretta, pertanto, l’interpretazione della Corte d’Appello la quale, sulla base di quanto risultato dall’istruttoria, aveva addebitato in via esclusiva agli acquirenti del motopesca il ritardo nella trascrizione.
Segue il testo integrale della sentenza.
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Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 7 marzo -18 aprile 2011, n. 8865
Presidente Morelli – Relatore Carleo
Svolgimento del processo
Con citazione notificata in data 28.3.1996 gli epigrafati ricorrenti convenivano in giudizio il notaio Concetta Adriana Della Ratta esponendo che la stessa, dopo aver rogato l’atto di acquisto del Motopesca “Domenico Antonio II” intervenuto in data 9 maggio 1995, tra loro ed il venditore B. N., aveva curato con ritardo la trascrizione dell’atto avvenuta il 10 luglio 1995, così consentendo ai creditori del venditore di intraprendere una procedura esecutiva con pignoramento trascritto il 30 giugno 1995, nella quale procedura interveniva anche un altro creditore. Aggiungendo di essere stati costretti all’esborso di somme notevoli (L. 12.668.400 e L. 75.563.305) per ottenere la cancellazione del gravame, chiedevano la condanna della notaio al risarcimento dei danni in loro favore nella misura di lire 688.231.705 oltre interessi legali.
In esito al giudizio in cui si costituiva la Della Ratta deducendo l’infondatezza della domanda, il Tribunale di Foggia accoglieva la domanda e condannava la notaio al pagamento di Euro 71.178,00.
Avverso tale decisione proponeva appello la Della Ratta ed in esito al giudizio la Corte di Appello di Bari con sentenza depositata in data 24 maggio 2006 accoglieva l’impugnazione rigettando la domanda risarcitoria proposta dagli epigrafati ricorrenti i quali avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste con controricorso la Della Ratta. Entrambe le parti hanno quindi depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Con la prima doglianza, deducendo il vizio di violazione di legge (art. 1176 e 2236 cc) nonché il vizio di erronea e contraddittoria motivazione, i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per avere i giudici di seconde cure trascurato che l’assunto del notaio – di aver richiesto ai coniugi M. le certificazioni anagrafiche contestualmente alla stipula della compravendita – non aveva trovato alcun riscontro probatorio. Inoltre, sarebbe sfuggito alla Corte di merito – così continuano i ricorrenti – che le collaboratrici de notaio avevano riferito di aver sollecitato la consegna dei certificati nel mese di giugno, senza specificare se all’inizio o alla fine del mese, e che le figlie del M. avevano riferito che i certificati furono consegnati non appena richiesti.
La censura è inammissibile. In primo luogo, deve rilevarsi l’inammissibilità del profilo, attinente al vizio motivazionale, alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui “in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la “ratio” dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (S.U. 5624/09, Cass. 5471/08).
Quanto al profilo, afferente alla pretesa violazione di legge, l’inammissibilità discende dal rilievo che la Corte di merito, in esito agli accertamenti di fatto svolti, ha ritenuto conclusivamente che al notaio non era stato mai dato l’incarico di procurarsi la certificazione necessaria per procedere alla trascrizione, tant’è che tali certificati furono richiesti dalla stessa Della Ratta e dalle sue collaboratrici più volte, all’atto della stipula ed in seguito. Sulla base della valutazione di tali risultanze istruttorie, la Corte ha quindi escluso che l’operato del notaio sia stato in alcun modo negligente ed ha concluso che il ritardo della trascrizione andava addebitato conseguentemente ai coniugi M.
Ciò posto, mette conto di evidenziare che i ricorrenti invocano in questa sede la riconsiderazione dell’accertamento di fatto compiuto dai giudici di seconde cure attraverso la rivalutazione delle deposizioni testimoniali raccolte. Ma a riguardo vale di pena di sottolineare che l’apprezzamento dei fatti attiene al libero convincimento del giudice di merito e che deve ritenersi preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso un’autonoma rivalutazione degli stessi. Con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente, deducendo formalmente un preteso vizio ex artt. 360 co. 1 n. 3, avanza, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione.
All’inammissibilità della doglianza in esame, riguardante il profilo della sussistenza o meno della responsabilità professionale del notaio, consegue l’assorbimento della seconda censura per violazione di legge in relazione agli artt. 115, 116, 210 cpc e 2697 cc, riguardante la pretesa violazione del principio generale della disponibilità delle prove ai fini specifici della determinazione del quantum debeatur. È appena il caso di osservare infatti che l’inammissibilità della doglianza avverso la decisione, con cui la Corte di merito ha rigettato la domanda risarcitoria avanzata dai coniugi M., rende inevitabilmente superfluo l’esame della successiva censura.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato. Al rigetto del ricorso segue la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.