Corte di Cassazione – Sentenza del 6 ottobre 2011, n. 36290
Corte di Cassazione – Sentenza del 6 ottobre 2011, n. 36290
Fatto e Diritto
Il G.I.P. del Tribunale di ……., con provvedimento del 4 settembre 2010, disponeva – ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen. e dell’art. 1, comma 143, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008) – il sequestro “per equivalente” dei conti correnti intestati a (..), correlando l’applicazione della misura a condotte illecite alla stessa contestate in relazione al delitto di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 (compimento di atti fraudolenti indirizzati a sottrarre disponibilità al pagamento di imposte).
Sull’istanza di riesame presentata nell’interesse dell’indagata, il Tribunale di ……. confermava il provvedimento di sequestro con ordinanza del 12 ottobre 2010.
Il Tribunale rilevava che:
– (..), legale rappresentante della s.r.l. “Impresa C.”, aveva concorso alla stipulazione di atti di vendita di un ramo di azienda della s.r.l. “E.”, che avevano il solo scopo di sottrarre beni all’esecuzione esattoriale iniziata da parte di Equitalia nei confronti di quella società per un importo di oltre un milione di euro. Trattasi, in particolare, di un ramo di azienda – per l’esercizio delle attività di movimento terra, costruzioni di edifici e opere stradali – inizialmente ceduto dalla s.r.l. “E.” alla s.r.l. “Co. Costruzioni”, (costituita nella stessa data del trasferimento ma priva di una sede effettiva) e successivamente da questa seconda società venduto in parte alla s.r.l. “G. Costruzioni” ed in parte alla s.r.l. “Impresa C.”.
I beni mobili registrati venivano comunque di fatto utilizzati dalla s.r.l. “E.”.
Tutte le società dianzi citate, inoltre, erano amministrate (legalmente o di fatto) da soggetti facenti parte della famiglia (..).
– Vi era stato effettivamente un annullamento delle cartelle esattoriali in sede civile esecutiva, ma ciò non incideva sul perfezionamento del reato ipotizzato, considerato che:
a) “all’epoca in cui vennero poste in essere le condotte sopra descritte, la procedura di riscossione era in atto e le vendite simulate furono stipulate al solo scopo di sottrarre il patrimonio della società “E.” all’esecuzione forzata”;
b) la confisca obbligatoria, alla quale il disposto sequestro risulta finalizzato, ha carattere preminentemente sanzionatorio, sicché non è richiesta alcuna prognosi di pericolosità ricollegabile all’esistenza di valide ed efficaci cartelle esattoriali.
– I beni sequestrati sono riconducibili alla nozione di “profitto del reato”, ex art 322-ter cod. pen. , essendo tale profitto “costituito dalla somma oggetto del credito d’imposta alla cui vanificazione erano dirette le vendite simulate”.
Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il difensore della C., il quale – sotto il profilo della violazione di legge – ha eccepito che:
– non sarebbe configurabile il reato ipotizzato, dovendo considerarsi inesistente il debito di imposta, a cagione dell’intervenuto annullamento delle cartelle esattoriali in sede civile esecutiva;
– dall’inesistenza del debito discenderebbe altresì l’impossibilità di configurare la realizzazione di un “profitto”; manca inoltre il preliminare accertamento circa l’esistenza obiettiva di un bene costituente profitto del reato, la cui confisca sia impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia determinato la perdita o il trasferimento irrecuperabile.
Il ricorso deve essere rigettato, perché infondato, pur dovendosi parzialmente rettificare alcune delle argomentazioni svolte dal Tribunale del riesame nel provvedimento impugnato.
Appare opportuno rilevare, anzitutto, che la c.d. confisca per equivalente – alla quale è funzionale il sequestro preventivo di ciò che a tale provvedimento ablativo può essere soggetto all’esito del procedimento – può riguardare (a differenza dell’ordinaria confisca prevista dall’art. 240 cod. pen. , che può avere ad oggetto soltanto cose direttamente riferibili al reato) beni che, oltre a non avere alcun rapporto con la pericolosità individuale del reo, neppure hanno alcun collegamento diretto con il singolo reato (cfr. Cass., Sez. Unite, 22.11.2005, n. 41936, Muci).
La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Legge finanziaria 2008), con l’art. 1, comma 143, ha esteso la confisca di valore anche ai reati fiscali, prevedendo che “nei casi di cui agli articoli 2, 3, 4, 5, 8, 10-bis, 10-ter, 10-quater e 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 si osservano, in quanto applicabili le disposizioni di cui all’art. 322-ter del codice penale”.
La ratio dell’istituto, in tutti i casi in cui esso è legislativamente previsto, è quella di privare il reo di un qualunque beneficio economico derivante dall’attività criminosa, anche di fronte all’impossibilità di aggredire l’oggetto principale, nella convinzione della capacità dissuasiva e disincentivante di tale strumento, che assume “i tratti distintivi di una vera e propria sanzione” (vedi Cass., Sez. Unite: 2.7.2008, n. 26654, [Omissis] s.p.a. ed altri e 15.10.2008, n. 38834, P.M. in proc. De Maio).
Anche la Corte Costituzionale ha ritenuto la natura sanzionatoria della confisca per equivalente e in particolare – in riferimento alla questione concernente la possibilità di applicare l’istituto previsto dall’art. 322-ter cod. pen. , esteso dalla legge finanziaria del 2008 anche ai delitti tributari, ai fatti commessi anteriormente all’entrata in vigore di tale normativa – ha testualmente affermato che la mancanza di “pericolosità dei beni che sono oggetto della confisca per equivalente, unitamente all’assenza di un nesso di pertinenzialità tra il reato e detti beni, conferiscono all’indicata confisca una connotazione prevalentemente afflittiva, attribuendole così una natura eminentemente sanzionatoria che impedisce l’applicabilità a tale misura del principio generale dell’art. 200 cod. pen. secondo cui le misure di sicurezza sono regolate dalla legge in vigore al tempo della loro applicazione e possono essere, quindi, retroattive” (così Corte Cost., ord. 2.4.2009, n. 97).
2. Tanto premesso, rileva il Collegio che la prima doglianza svolta in ricorso perviene a non plausibili censure del provvedimento impugnato quanto alla prospettata inconfigurabilità, nella vicenda in esame, del “fumus” del delitto previsto dall’ art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, dopo l’intervenuto annullamento delle cartelle esattoriali in sede civile esecutiva.
In proposito va evidenziato che:
– Nulla emerge sia dal ricorso sia dal provvedimento impugnato, con riferimento alle cause ed alle ragioni della disposta ablazione del titolo esecutivo, per cui non può deterministicamente dedursi l’inesistenza del credito vantato dall’erario per mancato pagamento di imposte, di interessi e di sanzioni amministrative.
– A prescindere da tale constatazione deve ribadirsi, comunque, l’orientamento ormai consolidato di questa Corte secondo il quale, la fattispecie di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, è diversa rispetto all’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui all’art. 97, comma 6°, del DPR. n. 602/1973 (come modificato dall’art. 15, comma 4°, della legge n. 413/1991), in quanto – a fronte della identità sia dell’elemento soggettivo costituito dal fine di evasione ed integrante il dolo specifico, che della condotta materiale rappresentata dall’attività fraudolenta – la nuova fattispecie, da un lato, non richiede che l’amministrazione tributaria abbia già compiuto un’attività di verifica, accertamento o iscrizione a ruolo e, dall’altro, non richiede l’evento che, nella previgente previsione, era essenziale ai fini della configurabilità del reato, ossia la sussistenza di una procedura di riscossione in atto e la effettiva vanificazione della riscossione tributaria coattiva.
La nuova fattispecie delittuosa costituisce reato “di pericolo” e non più “di danno” e l’esecuzione esattoriale, quindi, non configura un presupposto della condotta illecita, ma è prevista solo come evenienza futura che la condotta tende (e deve essere idonea) a neutralizzare. Ai fini della perfezione del delitto, pertanto, è sufficiente la semplice idoneità della condotta a rendere inefficace (anche parzialmente) la procedura di riscossione – idoneità da apprezzare con giudizio ex ante – e non anche l’effettiva verificazione di tale evento (vedi Cass.: Sez. III, 9.4.2008, n. 14720; Sez. V, 26.2.2007, n. 7916 e Sez. III, 18.5.2006, n. 17071).
3. Il provvedimento del Tribunale del riesame appare immune anche dalle censure riferite in ricorso alla impossibilità di configurare la realizzazione di un “profitto”.
L’interesse oggetto di tutela diretta da parte della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 non è il diritto di credito del fisco: infatti, pur costituendo questo il fine ultimo perseguito dal legislatore, la sua lesione non costituisce elemento necessario della fattispecie, potendo configurarsi il reato anche qualora, in concreto, dopo il compimento degli atti fraudolenti richiesti dalla norma, avvenga il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori.
Appare condivisibile, allora, l’autorevole orientamento dottrinario secondo il quale il bene giuridico protetto va individuato nella garanzia generica patrimoniale offerta al fisco dai beni dell’obbligato, tenuto conto che il debitore, ex art. 2740 cod. civ., risponde dell’adempimento delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.
Le Sezioni Unite hanno rilevato, in proposito, che non è rinvenibile in alcuna disposizione legislativa una definizione della nozione di “profitto del reato” e che tale locuzione viene utilizzata in maniera meramente enunciativa nelle varie fattispecie in cui è inserita, assumendo quindi un’ampia “latitudine semantica” da colmare in via interpretativa (Sezioni Unite, 2.7.2008, n. 26654, [Omissis] S.p.a. ed altri). In detta pronuncia (con riferimento alla confisca di valore prevista dall’art. 19 del D.Lgs. 8.6.2001, n. 231) sono state richiamate le consolidate affermazioni giurisprudenziali sulla nozione di “profitto del reato” contenuta nell’art. 240 cod. pen. , secondo le quali: “Il profitto a cui fa riferimento l’art. 240, comma 1, cod. pen. , deve essere identificato col vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (vedi Sez. Unite : 24.2.1993, n. 1811, Bissoli; 17.10.1996, n. 9149, Chabni Samir).
In questa rispettiva il “profitto” deve ritenersi costituito, nella specie, dalla riduzione simulata o fraudolenta del patrimonio (quello della s.r.l. “E.”) sul quale il fisco ha diritto di soddisfarsi.
4. La ricorrente è indagata di concorso nel delitto di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 e – avendo la giurisprudenza riconosciuto alla confisca per equivalente una componente essenzialmente sanzionatoria (escludendosi che si verta nell’ambito delle misure di sicurezza) – ben può affermarsi, in linea di principio, che ciascun concorrente possa ritenersi destinatario del provvedimento ablativo a prescindere da ogni accertamento circa il vantaggio economico personale derivante dalla commissione del reato.
Questa Corte ha già rilevato, in proposito, che, in virtù del principio solidaristico che informa la disciplina del concorso di persone nel reato, ciascun concorrente può essere chiamato a rispondere dell’intera entità del profitto sul presupposto della corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito. Una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la confisca per equivalente può interessare indifferentemente ciascuno dei correi, salvo l’eventuale riparto tra i medesimi – irrilevante ai fini penalistici – del relativo onere (vedi per tale orientamento, decisamente maggioritario, Cass., Sez. V, 1.4.2004, n. 1544S; nonché Sez. II, 14.6.2006, Troso; 21.2.2007, Alfieri).
La più recente giurisprudenza – che il Collegio condivide – ammette la possibilità che il sequestro possa interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto, sebbene la confisca non possa essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso (vedi Cass., Sez. V, 19.3.2010, n. 10810; Sez. VI, 5.5.2009, n. 18536; SS. UU., 2.7.2008, n. 26654).
Si è altresì fatto rilevare, premessa la natura provvisoria del sequestro, la correttezza di tale soluzione interpretativa con riferimento ai principi contenuti nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ratificata con la legge n. 848 del 1955), secondo la lettura sistematica data con le sentenze nn. 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, affermandosi anche che “una volta esclusa resistenza di vizi in ordine al fumus di reato nei confronti del ricorrente, nessuna illegittimità può essere ravvisata nel provvedimento di sequestro che, in funzione della futura possibile confisca anche per equivalente, venga disposto sui beni del singolo concorrente avendo come parametro l’intero ammontare del profitto derivante dal reato” (così Cass., Sez. III, 31.3.2010, n. 12580).
Nella specie non vi è alcuna contestazione specifica circa l’ammontare del profitto (di cui invece viene erroneamente, per le argomentazioni dianzi svolte, prospettata la inconfigurabilità né il ricorso introduce il tema – sul quale, quindi, il Collegio non è tenuto a pronunciarsi – dell’eventuale eccedenza di quanto sequestrato rispetto al vantaggio complessivamente conseguito.
5. Va confutato, infine, l’assunto difensivo secondo il quale alla confisca di valore (ed al sequestro ad essa preordinato) disciplinata dall’art. 322-ter cod. pen. potrebbe procedersi nelle sole ipotesi in cui sia individuato un bene specifico costituente profitto del reato, la cui confisca diretta sia impedita da un fatto sopravvenuto che ne abbia determinato la perdita o il trasferimento irrecuperabile.
Il secondo comma della norma richiamata, infatti, consente la confisca di valore in tutti i casi in cui la confisca diretta “non è possibile”.
6. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento processuali.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.