Corte di Cassazione

1 Maggio 2019

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 maggio 2011, n. 19595

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 maggio 2011, n. 19595

Ritenuto in fatto e diritto

Il Tribunale del riesame di Roma in data 30 ottobre 2010 ha sostituito la misura cautelare della custodia in carcere disposta dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma, in data 27 settembre 2010, con quella degli arresti domiciliari, nei confronti di V.G., indagato per vari reati riconducibili all’art. 110 c.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, R.D. n. 267 del 1942, artt. 216 e 219, art. 223 commi 1 e 2, commessi in (OMISSIS), fino al 18 febbraio 2010, afferenti atti fraudolenti e/o simulati, compiuti attraverso complesse operazioni sulle società amministrate dallo stesso e dal fratello e dal padre (società gravate da consistenti debiti con il Fisco a titolo di imposte dirette e sanzioni ed interessi) volte ad eludere tali pagamenti all’erario, confermando nel resto l’esistenza dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare. In base agli elementi indicati nell’ordinanza del G.I.P., integralmente richiamata nella sua parte descrittiva nel provvedimento impugnato, le tre società debitrici sarebbero state completamente “svuotate”, mediante cessioni di azienda e conferimento degli immobili, di ogni garanzia patrimoniale e della capacità operativa e produttiva, al fine di destinarle al (preordinato) fallimento. I gravi indizi sono stati ritenuti sussistenti in capo al ricorrente in qualità di socio di maggioranza e/o amministratore di numerose società del Gruppo Vichi.

Il Tribunale del riesame, nel confermare l’ordinanza del G.I.P., ha ritenuto che sussistessero elementi per ritenere le operazioni di cui trattasi atti fraudolenti idonei a rendere in tutto od in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva D.Lgs. n. 74 del 2000, ex art. 11. Di fatti, anche se le società nate con le operazioni di scissione sono obbligate, in solido con la cedente, al pagamento delle imposte e delle sanzioni accertate a carico di quest’ultima, l’operazione fraudolenta avrebbe raggiunto lo scopo di far gravare su altri i debiti di imposta, anche perchè il D.Lgs n. 472 del 1997, art. 14, comma 1, limita l’operatività dell’obbligazione solidale dei cessionari all’anno della cessione ed ai due anni precedenti, mentre la garanzia ex art. 2056 quater c.c., risulta solo parziale in quanto operante “nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto”.

Per quanto attiene ai reati di bancarotta pre-fallimentari, il Tribunale ha del pari ritenuto sussistente un quadro di gravità indiziaria anche in riferimento a tale ipotesi, seppure non nella forma consumata, posto che l’istanza di fallimento era stata presentata dal PM ed emergevano condotte distrattive di beni attuate con la pena consapevolezza e volontarietà. Anche sotto il profilo della sussistenza delle esigenze cautelari l’ordinanza ha ribadito le valutazione dell’ordinanza del G.I.P., dando atto che V. G., unitamente al fratello M. era il titolare delle quote maggioritarie sia delle società debitrici sia di quelle alle quali le poste attive delle prime sono state trasferite, senza che possano avere rilievo le rassegnate dimissioni dalle cariche sociali, peraltro non ancora operative, ritenendo peraltro adeguata la misura degli arresti domiciliari. Il difensore dell’indagato ha proposto

ricorso per cassazione per i seguenti motivi:

1. Mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione all’art. 273 c.p.p.: non sussisterebbe alcuna gravità indiziaria e la prospettazione accusatoria sarebbe fragile. Il ricorrente ha premesso di essere stato accusato, in concorso con i figli, di aver ceduto i cespiti immobiliari e i rami produttivi appartenenti a tre aziende, la Gestione Galvanica s.r.l., la Gestione Zinco s.r.l. e la Gestione meccanica s.r.l. al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, ossia per rendere inefficaci le eventuali procedure esecutive volte alla riscossione del tributo non versato e garantire al gruppo familiare il godimento dei beni aziendali e la conseguente prosecuzione dell’attività. Tali condotte, inoltre, avrebbero comportato anche la realizzazione di

fatti di bancarotta prefallimentare in quanto distrattivi del patrimonio sociale: la distrazione si sarebbe “concretizzata attraverso un ingiustificato distacco dell’intero attivo patrimoniale della società”, le società avrebbero dismesso interamente ogni attività di impresa (compresi tutti i rapporti contrattuali in essere) ed ogni conseguente possibilità di ripianare con i ricavi futuri l’esposizione debitoria. Il Tribunale avrebbe interpretato erroneamente le operazioni societarie poste in essere, che non hanno determinato alcuna decozione delle originarie persone giuridiche, tanto è vero che, il Tribunale fallimentare di Roma, nonostante il rilevante iato temporale intercorso dalla domanda del Pm L. Fall., ex art. 7, non ha ancora ritenuto di doverne decretare il fallimento.

Inoltre i giudici del Riesame avrebbero recepito acriticamente gli atti di indagini e le valutazioni del G.I.P., senza valutare gli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza” (art. 309 c.p.p., comma 9). In maniera illogica avrebbero ritenuto la fittizietà del sinallagma dell’operazione di ristrutturazione societaria, che sarebbe fraudolenta perchè si sarebbe risolta in una perdita patrimoniale netta per le società debitrici, in quanto le cessioni immobiliari sarebbero prive di corrispettivo e i rami di azienda pagati attraverso compensazioni volontarie di crediti, definite in maniera apodittica “dubbie”: tale erronea valutazione del Tribunale sarebbe fondata su una non corretta analisi della normativa civilistica che regola la materia delle operazioni straordinarie delle società. La ragione economica effettiva dell’operazione, infatti, va ricercata nei costi di gestione del personale troppo elevati, così come rilevato dalla stessa Agenzia delle Entrate di Albano Laziale in sede di redazione del verbale di accertamento nell’anno 2007. Non sarebbe stata sottratta alcuna garanzia patrimoniale, tanto che i beni immobiliari concentrati nella Vichi Holding sono ancora a garanzia dei debiti pregressi, anche fiscali.

Il Tribunale avrebbe ritenuto che gli artt. 5 e 6 dei contratti di cessione di ramo di azienda prevedono una clausola di esclusione, quando invece stabiliscono che la cessionaria risponde di tutti i debiti indicati nella situazione patrimoniale allegata all’atto, e seppure i debiti sono stati indicati in maniera consolidata negli stati patrimoniali. Sia il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 14, comma 1, che l’art. 2506 quater c.c., prevedono il principio della solidarietà per la cessionaria in riferimento ai debiti della cedente, anche nel caso di una successiva fusione.

Pertanto, il Tribunale del Riesame ha ritenuto fondato il reato prefallimentare – unico reato idoneo a legittimare l’impugnata misura – sulla base di valutazioni di natura civilistica e societaria errate.

2. Mancanza e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), in relazione agli artt. 274 e 275 c.p.p.. In riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari, l’ordinanza impugnata appare carente ed illogica in quanto si afferma che il pericolo di reiterazione del reato, risiede nel fatto che il V. disporrebbe ancora della società Vichi Holding, detentrice delle quote azionarie delle altre società del gruppo. Inoltre il Tribunale non ha considerato che avendo il GIP convalidato il sequestro delle quote societarie della Società Vichi holding srl e della VIP srl in data 8 ottobre 2010, non vi è pericolo di reiterazione.

La prognosi in ordine alla capacità criminale non avrebbe tenuto conto dell’incensuratezza del ricorrente; inoltre non sono stati indicati gli elementi specifici che, nel singolo caso, fanno ragionevolmente ritenere quella applicata all’indagato la misura più idonea a soddisfare le ravvisate esigenze cautelari. Con nota depositata in data 8 febbraio 2011 il difensore dell’indagato ha presentato motivi aggiunti:

3. Con il primo motivo è stata censurata l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11. Il tribunale avrebbe erroneamente interpretato tale disposizione. La ratio legis di tale norma è quella di impedire atti che rendano inefficace la procedura di esecuzione coattiva, ma quando tale conseguenza sia esclusa per la presenza di soggetti solvibili tenuti in solido al pagamento, il reato non sussiste. Inoltre se è prevista una limitazione temporale dell’obbligo solidale gravante sulla società cessionaria D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 14, comma 1, tale limitazione non è prevista dall’art. 2056 quater c.c., in riferimento al quale si evidenzia che tutto il patrimonio delle tre società è confluito in blocco alle società nate dalla scissione, per cui la pretese creditorie del fisco avrebbero potuto essere esercitate sull’intero patrimonio.

4. E’ stato inoltre evidenziata l’erronea applicazione della L. Fall., art. 238, comma 2, in quanto la dimostrata esistenza di soggetti solvibili e tenuti in via solidale al pagamento dell’intero debito d’imposta impedisce la configurabilità dello stato di insolvenza e della declaratoria di fallimento.

Considerato in diritto

I motivi di ricorso non sono fondati.

E’ bene ribadire che l’ambito del controllo che la Corte di Cassazione esercita in tema di misure cautelari non riguarda la ricostruzione dei fatti, nè le valutazioni, tipiche del giudice di merito, sull’attendibilità delle fonti e la rilevanza e/o concludenza dei dati probatori, nè la riconsiderazione delle caratteristiche soggettive delle persone indagate, compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate: tutti questi accertamenti rientrano nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata richiesta l’applicazione della misura cautelare e del tribunale del riesame. Il giudice di legittimità deve invece verificare che l’ordinanza impugnata contenga l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che hanno sorretto la decisione e sia immune da illogicità evidenti: il controllo investe, in sintesi, la congruenza delle argomentazioni rispetto al

fine giustificativo del provvedimento (in tal senso, Sez. 6, n. 3529 dell’1/2/1999, Sabatini, Rv. 212565; Sez. 4, n. 2050 del 24/10/1996, Marseglia, Rv, 206104). Considerando inoltre la diversità dell’oggetto della delibazione cautelare, ove viene formulato un giudizio prognostico in termini di ragionevole e alta probabilità di colpevolezza dell’indagato, il giudizio di legittimità deve limitarsi a verificare se il giudice di merito abbia dato conto in maniera adeguata delle ragioni che lo hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, senza alcuna possibilità di “rilettura” degli elementi acquisiti nel corso delle indagini preliminari (si vedano:

Sez. U., n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv.215828 e Sez. U, n. n. 36267 del 30/5/2006, Spennato, Rv. 234598, Sez. U. n. 1235 del 19/1/2011, Giordano ed altri, Rv. 248865) o di quelli allegati agli atti a seguito di indagini difensive che siano stati eventualmente considerati dal Tribunale del riesame. 1. Quanto al primo motivo afferente la mancanza o manifesta illogicità della motivazione circa la sussistenza dei gravi indizi per le ipotesi di reato ascritte, i giudici del riesame, nel motivare la gravità del quadro indiziario, hanno innanzitutto evidenziato che la materialità dei fatti, da intendersi come complesso delle operazioni societarie che hanno interessato le società riconducigli ai membri della famiglia V. che si trovano indagati nel medesimo procedimento, non è stata contestata neppure dalle difese. Quanto alla sussistenza dei presupposti dei reati ascritti, il Tribunale ha ritenuto, fornendo un’ampia disamina degli elementi indiziari già contenuti nell’ordinanza di custodia cautelare (si veda la pag 5 dell’ordinanza), che le operazioni societarie, sia in riferimento alla cessione dei rami di azienda, che in riferimento alla scissione delle società ed il conferimento degli immobili alle società beneficiane, siano state simulate o comunque fraudolente.

Inoltre dal punto di vista oggettivo, il Collegio del riesame ha ritenuto che tali operazioni, delle quali è stata fornita una chiara descrizione, erano pienamente idonee a rendere in tutto o in parte inefficace la successiva procedura di riscossione coattiva dei crediti tributari vantati dallo Stato nei confronti delle “originarie” società: in sintesi, a fronte dell’uscita dal patrimonio di beni immobili, altri cespiti mobiliari (con conseguente privazione di ogni capacità operativa e produttiva), nessun corrispettivo od incremento patrimoniale risultava conferito, in sinallagma, alle società cedenti, sia perchè le scissioni societarie erano avvenute senza corrispettivo, sia perchè i corrispettivi contrattualmente pattuiti per le cessioni dei rami di azienda, al settembre 2010, o non erano stati

corrisposti o lo erano stati con “compensazioni volontarie” e quindi con movimenti di denaro formali, se non fittizi.

Del pari corretta la risposta del Tribunale del riesame alla deduzione della non configurabilità del reato per la mancanza di una procedura esecutiva in atto da parte dell’amministrazione finanziaria, essendo la stessa un elemento non necessario ad integrare la fattispecie, come da consolidata interpretazione giurisprudenziale (sin da Sez. 3, n. 17071 del 18/5/2006, De Nicolo, Rv. 234322). A tale quadro indiziario di indubbia consistenza sotto il profilo oggettivo, il Tribunale del riesame ha con motivazione estesa e senza smagliature nei passaggi logici, condiviso il giudizio di gravità indiziaria anche in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ossia della volontà di sottrarsi attraverso tale complesso sistema al pagamento delle imposte, delle sanzioni e degli interessi dovuti. Con ulteriore passaggio motivazionale sono stati del pari esaminati gli elementi delle indagini preliminari (ivi comprese le dichiarazioni testimoniali) dai quali emerge la riferibilità delle operazioni all’indagato, al fratello Mauro, beneficiari ultimi delle operazioni fraudolente, e al padre Giuliano, il quale il quale in virtù della carica di amministratore unico ebbe ad operare in concerto con i medesimi, gestendo insieme ad essi le scelte per tutte le società del gruppo.

Risultano pertanto sussistenti gli elementi per configurare, a livello di gravità indiziaria necessario alla fase cautelare il reato di cui si tratta: la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, inteso come stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario, stratagemma che può assumere le più diversificate forme, potendo estrinsecarsi attraverso l’abuso di strumenti giuridici rientranti solo in apparenza nella fisiologia della vita aziendale o societaria.

La giurisprudenza ne ha già analizzate alcune, quali la simulazione contrattuale oggettiva (simulazione di alienazione, vendita per un prezzo inferiore al reale) ed anche quella soggettiva (c.d. interposizione fittizia di persona ed il contratto di sale and lease back), come pure l’istituzione di un fondo patrimoniale (Sez. 3, n. 5824 del 6/2/2008, Soldera.) Nel caso di specie si tratterebbe di cessioni aziendali e di scissioni societarie simulate, operazioni multiple poste in essere, in apparenza, allo scopo di effettuare una ristrutturazione aziendale. A tal proposito l’ordinanza impugnata ha puntualmente analizzato, e dato risposta, alle deduzioni difensive avanzate anche con il deposito di una consulenza tecnica evidenziando la non fondatezza delle stesse con un ragionamento diffuso e convincente.

Ugualmente soddisfacenti le puntuali argomentazioni svolte dal Tribunale del riesame relative alla configurabilità dei reati di bancarotta pre-fallimentare; la possibilità di richiedere la misura cautelare prima della consumazione del reato dal punto di vista sostanziale, poi riconducibile al disposto del R.D. n. 267 del 1942, art. 238, comma 2, in quanto l’istanza di fallimento era già stata presentata dal pubblico ministero L. Fall., ex art. 7. 2. Per quello che concerne la censura relativa alla contraddittorietà o mancanza di motivazione in merito alla sussistenza delle esigenze cautelari,

Questa Corte ritiene non possano rivolgersi censure alla coerenza e tenuta argomentativa delle valutazioni espresse dai giudici del riesame sulla necessità di tutela cautelare e circa la proporzionalità ed adeguatezza della disposta misura custodiate. In particolare, il Collegio del riesame ha ampiamente argomentato circa il lasso di tempo trascorso tra la commissione dei reati e l’applicazione della misura; come precisato dalla giurisprudenza, infatti, il riferimento a tale elemento (di cui all’art. 292 c.p.p., comma 2) impone al giudice di motivare sotto il profilo della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo intercorrente tra tale

momento e la decisione sulla misura cautelare (cfr. Sez. U, Sentenza n. 40538 del 20/10/2009, Lattanzi, Rv. 244377). Inoltre le rassegnate dimissioni del ricorrente sono state ritenute, giustamente, irrilevanti, sia perchè non ancora efficaci al momento dell’ordinanza, in quanto non ratificate dall’assemblea dei soci, sia perchè la formalità della carica risulta elemento del tutto secondario rispetto all’effettività della gestione dell’operazione riconducibile al gruppo Vichi. Per quanto attiene ai motivi c.d. nuovi, gli stessi ripropongono argomentazioni già sviluppate nelle censure avanzate con il ricorso, in relazione all’erronea interpretazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, e L. Fall., art. 238.

In conclusione, l’ordinanza oggetto della presente impugnazione è sorretta da logica e corretta argomentazione motivazionale e risulta immune da censure. Il ricorso deve pertanto essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ai sensi del disposto di cui all’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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