Tribunale di Pistoia, sentenza del 29 ottobre 2015
Tribunale di Pistoia, sentenza del 29 ottobre 2015
Il Tribunale,
letta la proposta di concordato preventivo depositata, con la documentazione di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 161 l.f. il 12/10/2015 dal legale rappresentante della M.F. International srl successivamente alla presentazione di ricorso ex comma 6 dell’art. 161 in data 16.3.2015;
sentito da parte del giudice incaricato dell’istruzione preliminare il legale rappresentante della società proponente;
osserva quanto segue.
La proposta presentata da M.F. International srl viene di seguito riportata.
<<Nell’ottica di superare il proprio stato di crisi, M.F. International SRL intende presentare una proposta concordataria strutturata secondo lo schema del c.d. concordato con continuità aziendale (“Proposta”) ed articolata sui seguenti punti:
a)Al fine di adempiere ai propri debiti, la Società si propone di soddisfare i creditori mediante il cash flow generato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa e mediante la vendita di due fabbricati industriali occupati parzialmente dalla ricorrente;
b)Per tale continuità, la Società ha la necessità di proseguire una serie di rapporti negoziali in corso, con conseguente maturazione di ulteriori costi che dovranno essere adempiuti contestualmente al loro maturare; in particolare, la continuità aziendale sarà sostenuta dalla continuazione di una serie di rapporti negoziali in corso, tra cui: i) rapporti aziendali continuativi, quali ad esempio, prestazioni di lavoro e simili; ii) rapporti di somministrazioni e forniture, aventi ad oggetto il reperimento sul mercato, dei prodotti e delle prestazioni necessari per l’ordinario approvvigionamento e svolgimento dell’attività produttiva; iii) prestazioni professionali, necessarie per l’assistenza della Società durante lo svolgimento della procedura concorsuale e durante la propria futura attività d’impresa;
c)I crediti chirografari aventi titolo giuridico anteriore alla data di efficacia della proposta ex art. 168 L.F. sono stati inseriti in un’unica classe.
omissis
Il piano fornisce altresì una completa illustrazione della situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, partendo innanzitutto dagli elementi del passivo e dell’attivo come rilevati contabilmente alla data del 31 agosto 2015 per poi procedere alla determinazione del fabbisogno concordatario che contempla anche l’incidenza delle ulteriori poste dell’attivo e del passivo che emergono dalla concreta realizzazione del Piano stesso (spese in prededuzione, sopravvenienza per falcidie concordataria, minusvalenza da svalutazione di attivo, etc).
omissis
La determinazione del fabbisogno concordatario
La Proposta che si sottopone all’approvazione dei creditori concorsuali, secondo le assunzioni descritte nel piano (allegato 2), prevede:
1)Il pagamento integrale, in prededuzione, delle spese di procedura, delle spese di funzionamento della società, nonché delle spese per l’assistenza professionale funzionale all’ammissione alla procedura di concordato preventivo;
2)Il pagamento integrale dei creditori aventi titolo di prelazione, sia esso ipoteca, pegno o privilegio;
3)Il pagamento non integrale dei creditori chirografari mediante il versamento di un importo pari al 20% del credito vantato a titolo di capitale (allegato 8);
Il fabbisogno concordatario complessivo che deriva dall’esecuzione della sopra descritta proposta è riassunto nella sottostante tabella (vedi allegato 8):ONERE CONCORDATARIO | TOTALE DEBITI | % OFFERTA | FABBISOGNO CONCORDATARIO |
1)Spese giustizia e di accesso alla procedura2)Debiti concordatari privilegiati3)Pagamento debiti concordatari chirografari | 200.0001.074.9615.129.396 | 100%100%20% | 200.0001.074.9611.025.879 |
TOTALE | 6.404.357 | 2.300.840 | |
Per euro 674.961,00 entro il 31.12.16 e comunque entro 12 mesi dall’omologa
3)Pagamento 20% dei creditori chirografari
Proporzionalmente all’importo del proprio credito:
Per euro 400.000,00 entro il 31.12.16
Per euro 400.000,00 entro il 31.12.17
Per euro 225.879,13 entro il 31.12.18
Una volta eseguiti i pagamenti indicati nel presente piano è previsto che residuerà la somma di 127.628,64, che si aggiunge agli importi accantonati al Fondo Rischi e costituisce, assieme ad esso, quindi un margine di procedibilità del concordato, che potrà essere utilizzato (i) per fronteggiare eventuali oneri e imprevisti, (ii) per neutralizzare l’effetto di una eventuale riduzione dei flussi finanziari e/o di un incremento dell’importo complessivo delle spese e dei debiti da soddisfare rispetto a quello previsto nel presente piano.
omissis
Conclusioni
Alla luce di tutto quanto precede, M.F. International Srl in persona del proprio legale rappresentante pro tempore
Propone
Il pagamento dei propri creditori, fermo restando l’integrale soddisfacimento delle spese di procedura nell’ammontare e nei tempi determinati dal Tribunale, secondo le seguenti misure e condizioni:
1)Il pagamento integrale, in prededuzione, delle spese di giustizia e di accesso alla procedura oltre alle ulteriori spese prededucibili, al momento dell’insorgere della relativa posta creditoria e, in ogni caso, entro il 31/12/2016 o altra data disposta dal Tribunale;
2)Il pagamento integrale dei creditori aventi titolo di prelazione derivante da privilegio, secondo i termini di adempimento descritti nel piano e, in ogni caso, entro il 31/12/2016;
3)Il pagamento non integrale dei creditori chirografari mediante il versamento di un importo pari al 20% del credito vantato titolo di capitale, secondo i termini di adempimento descritti nel piano in tre tranche con ultima 31.12.18>>.
Nelle conclusioni del piano si legge:
<< Pertanto, sulla base del presente piano economico e finanziario, considerati inoltre gli effetti generabili dell’esdebitamento conseguente all’approvazione e alla omologazione della domanda di concordato preventivo, l’equilibrio economico e finanziario della società è raggiungibile in misura soddisfacente sin dal 2016. Il conseguimento di tale risultato è da ritenersi ragionevolmente certo, in considerazione del fondamento e quindi dell’elevato grado di probabilità delle previsioni economiche e finanziarie poste alla base della redazione del Piano.>>
Venendo alla relazione del professionista ex art. 161, co. 3, dott. Brogioni si legge, quanto ad attestazione di fattibilità.
<< Le risorse per l’esecuzione dei pagamenti sono, con valori arrotondati, così reperibili:
-Quanto ad €. 200.000,00 per giacenza di titoli
-Quanto ad €. 1.000.000,00 per la vendita di beni immobili
-Quanto ad €. 200.000,00 per realizzo merci a magazzino extra business plan
-Quanto ad €. 500.000,00 per realizzo crediti presenti nella situazione patrimoniale alla data di presentazione del ricorso di ammissione alla procedura.
-Quanto ad €. 530.000,00 per formazione del cash flow fino al 31 dicembre 2018.
Le posizioni a debito sono invece calcolate nelle seguenti entità:
-Prededuzioni €. 200.000,00
-Privilegi €. 1.075.000,00
-Chirografi €. 1.025.000,00
-Fondi €. 130.000,00 (per accantonamento al fondo rischi generico).
Le stime esposte nel piano, comprensive del realizzo del bene immobile, consentirebbero dunque di soddisfare i creditori chirografari nella garantita misura dell’20,00%.>>.
Previa comparazione della proposta con gli esiti di una eventuale liquidazione, il professionista attestatore ha così concluso:
<< considerato che la soluzione prospettata dal piano appare idonea a far ritenere giustificate le aspettative indicate nella proposta e che le risorse a disposizione risultano adeguate al fabbisogno
attesta
ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 161, terzo comma, L.F.:
a)la veridicità dei dati aziendali sulla base dei quali è stato redatto il piano;
b)la ragionevole fattibilità del piano medesimo nell’ambito della procedura di concordato con continuità aziendale ex art. 186 bis L.F. adita da “M.F. International S.r.l.”;
ai sensi e per gli effetti dell’art. 186 bis, secondo comma L.F.:
c)che la prosecuzione dell’attività è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori prevedendo una percentuale di soddisfazione dei chirografari migliore rispetto a quella conseguibile da altra procedura;
d)che il piano prevede che la dilazione di pagamento dei creditori privilegiati non eccede la durata di dodici mesi dalla data di omologazione del concordato;
e)che il piano concordatario contiene l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie e delle relative modalità di copertura.
I
Deve preliminarmente il Collegio valutare quale sia la normativa in concreto applicabile alla presente procedura di concordato preventivo in considerazione delle modifiche normative di cui al D.L. 83/2015 convertito in L. 6 agosto 2015 n. 132 vigente dal 20/8/2015, che hanno profondamente innovato il tessuto della concorsualità con particolare riguardo alla vicenda concordataria.
La questione si pone avendo la società presentato domanda ex art. 161, co. 6. l.f. in data antecedente alla entrata in vigore del D.L. 83/15, ma depositato la proposta, il piano e l’ulteriore documentazione di cui ai commi secondo e terzo solo in data 12.10.2015 successiva all’entrata in vigore della legge di conversione.
Nella prima interpretazione della riforma, il quesito se una siffatta procedura debba essere regolata dalla legge anteriore ovvero dallo ius novum non ha avuto unanimi risposte.
La questione è di primaria importanza in quanto in sede di ammissione assumono rilevanza le nuove disposizioni sulla proposta concordataria di cui ai novellati artt. 160, co. 4 e 161, co. 2, lett. e) secondo periodo,.
Si tratta, all’evidenza, di un filtro voluto dal legislatore per selezionare in senso restrittivo la presentazione delle proposte concordatarie, negando l’accesso a quelle che non apparissero idonee a consentire una congrua soddisfazione dei creditori, così reagendo alla tendenza emersa nelle prassi di offrire ai creditori percentuali irrisorie di soddisfazione poi destinate a vanificarsi del tutto nella fase esecutiva (tendenza rispetto alla quale taluni Tribunale hanno reagito – cfr, T Roma 16.4.2008; T Modena 3.9.14; T Pistoia 30.10.14 – predicando interpretazioni poi talvolta non condivise dal giudice di secondo grado: A Firenze 10.7.2015).
In buona sostanza, è un intervento diretto ad impedire l’abuso dello strumento concordatario ed il suo progressivo svilimento attraverso una determinazione per via normativa di ciò che debba intendersi per riconoscimento ai creditori di una “sia pur minimale consistenza del credito…” quale requisito di idoneità della proposta a consentire il superamento dello stato di crisi e a realizzare la cosiddetta “causa concreta” del concordato (SSUU 1521/13).
Occorre a questo punto fare riferimento all’art. 23 del testo coordinato del D.L. 83/15 con la legge di conversione, che contiene le disposizioni transitorie e finali e adotta quale criterio temporale di discriminazione quello della “introduzione” del procedimento di concordato preventivo (comma 1°).
Si tratta allora di sapere se il deposito della domanda prenotativa del concordato abbia o meno introdotto il procedimento di concordato preventivo.
Ritiene il Collegio che la risposta al quesito debba essere negativa per le ragioni di seguito esposte, che prescindono dalla opinabile querelle sulla natura sostanziale o processuale delle norme in oggetto.
1) Con la domanda ex art. 161, c. 6, il debitore non ha ancora introdotto un procedimento concordatario, ma si è riservato soltanto la possibilità di farlo in alternativa, per altro, a quella di depositare domanda ai sensi dell’art. 182-bis, co. 1 l.f.
Appare evidente che la causa del c.d. preconcordato (tale definizione è significativa di una fase anteriore a quella, eventuale, prettamente concordataria: ciò che viene prima di altro, ancora altro non è) è diversa da quella concordataria e si risolve in una richiedi un termine di riflessione protetto dalle iniziative dei creditori.
Per dirla altrimenti, il debitore, con la domanda ex art. 161, co. 6, attiva uno status protetto, ancorché di gestione trasparente e vigilata, al fine di valutare la possibilità di presentare ai creditori una ristrutturazione del suo debito con le modalità del concordato preventivo (ma anche di altra procedura concorsuale).
2) Ove il legislatore avesse voluto ancorare il discrimine temporale al deposito della domanda di preconcordato avrebbe chiaramente utilizzato la diversa espressione: “domande di concordato depositate successivamente o anteriormente…” ovvero avrebbe fatto ricorso alla locuzione “procedimenti pendenti”.
3) Una volta che il procedimento di concordato possa dirsi introdotto la fase immediatamente successiva è – ed altrimenti non potrebbe essere – quella decisoria da parte del tribunale ai sensi dell’art. 162 o dell’art. 163 l.f.
Ciò è escluso per definizione all’esito della presentazione della domanda prenotativa, così confermandosi che tale domanda, seppure idonea a dare inizio (eventualmente) al procedimento concordatario ancora non ha avuto l’effetto di introdurlo, effetto che potrà dirsi realizzato solo al momento dell’eventuale completamento della fase prodromica.
4) In senso contrario, non può invocarsi il secondo periodo dell’art. 23 che, in riferimento alla modifica dell’art. 182-quinquies l.f., prevista dall’art. 1, utilizza la stessa espressione “procedimenti di concordato preventivo introdotti…”. Trattandosi di disposizione articolata applicabile anche ai concordati presentati con completezza della documentazione (specificamente per la modifica del comma 3° – ora 4° – relativa alla autorizzazione alle cessioni di crediti), il riferimento ai concordati “introdotti” era imposto, mentre che le altre disposizioni (segnatamente il nuovo comma 3°) fossero riferibili al preconcordato deriva non dall’art. 23, ma dalla lettera stessa dell’art. 1, che detta la disposizione in modo espresso ed esclusivo come riferita al debitore che presenta domanda di concordato ai sensi dell’art. 161, co. 6, “anche in assenza del piano di cui all’art. 161, secondo comma , lettera e)”.
5) L’argomento in senso contrario (che, per altro, costituirebbe impedimentum piuttosto che argumentum) fondato sulla presunta violazione del legittimo affidamento dell’imprenditore sulla tenuta del sistema normativo vigente al momento in cui si è optato per la soluzione concordataria, da un canto presuppone come scontato ciò che ancora tale non è (ovvero che con la domanda ex art. 161, co. 6 sia stata definitivamente selezionata l’opzione concordataria piuttosto che quella alternativa dell’AdR), da un altro si presta ad essere rovesciata.
La situazione in cui viene a trovarsi il debitore che per paralizzare le legittime azioni dei propri creditori ricorre alla protezione preconcordataria è identica a quella in cui si trova il debitore più previdente che, avendo anticipato l’emersione della crisi non ha fatto ricorso a tale strumento (di per sé spesso significativo di un colpevole ritardo), ma ha in corso di allestimento con i propri professionisti una domanda completa di concordato preventivo e che, all’identico modo, vede mutate le regole del gioco in corso d’opera. Una soluzione che privilegiasse la situazione del soggetto meno diligente rispetto a quella di chi più diligente è stato, consentendo al primo e non anche al secondo un accesso agevolato alla soluzione concordataria, porrebbe un serio problema di legittimità costituzionale per palese irragionevolezza della norma, per cui quella che si adotta appare interpretazione costituzionalmente orientata.
In definitiva, pare legittimo concludere che, con la domanda ex art. 161, co. 6, il debitore abbia prenotato il concordato (quando non altra procedura di ristrutturazione), ma che non perciò stesso abbia prenotato altresì la norma regolatrice.
Dalle argomentazioni che precedono discende che il presente concordato dovrà essere scrutinato alla luce del sistema riformato.
Recita ora l’art. 160, al comma 4°: “In ogni caso la proposta di concordato deve assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari. La disposizione di cui al presente comma non si applica al concordato con continuità aziendale di cui all’art. 186-bis”.
A sua volta, l’art. 161, co. 2, lett. e), ora prevede: “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilita’ specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.
II
Deve allora il Collegio dare conto della nuova normativa che rileva in sede di ammissione della proposta, del suo significato letterale e sistematico e dei poteri di indagine che il Tribunale assume nel nuovo contesto.
E’ necessario, affinché di vera interpretazione si tratti e non di lettura ideologica, affrontare lo ius novum spogliandosi di ogni pre-giudizio e, dunque, evitando la tentazione, in cui troppo spesso si cade, di tirare il legislatore per la giacca nel tentativo di ricercare una conferma per via normativa di pregresse prassi interpretative.
Non vi sono dubbi che la prima disposizione (comma IV dell’art. 160) inserita all’interno di una norma che prevede i presupposti per l’ammissione alla procedura individui un nuovo requisito o fatto costitutivo del concordato preventivo, la cui assenza determinerà l’inammissibilità della proposta ai sensi dell’art. 162 l.f. (cosa diversa sarà poi accertare in cosa tale requisito consista).
Occorre ora determinare l’ambito di applicazione tanto della regola (primo periodo), quanto dell’eccezione (secondo periodo) sia ai fini dell’inquadramento generale della materia, sia per verificare la collocazione della presente procedura.
Non è dubbio che la regola (soglia minima di accesso pari al pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari) trovi un suo naturale spazio di attuazione nel concordato liquidatorio, che rappresenta la fattispecie specularmente opposta al concordato in continuità, ambito all’interno del quale opera l’eccezione.
Tuttavia, la regola ha in sé un’evidente potenzialità espansiva com’è confermato dall’incipit della norma (“In ogni caso”) e dalla sua collocazione all’interno dell’art. 160, il cui primo comma prevede un’ampia varietà contenutistica della riprogettazione dello statuto dei creditori, che giunge fino alla prospettazione di una vicenda composita e non codificata (il “qualsiasi forma” di cui al comma 1, lett. a) dell’art. 160).
Poiché non è pensabile che il comma quarto sortisca un effetto sostanzialmente abrogativo del primo, deve trarsi la necessaria conclusione che qualsiasi forma di proposta di concordato, e non solo quello liquidatorio, soggiace alla regola di cui al primo periodo del comma IV dell’art. 160, salvo che non si tratti di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis, il quale pertanto agisce in sottrazione rispetto alla generale platea delle ipotesi concordatarie.
La necessaria armonizzazione fra regola e contesto in cui si colloca, induce allora alla ulteriore considerazione che il termine “pagamento” non debba intendersi in senso proprio, ma come equivalente di “soddisfazione” e viceversa (il che non costituisce evento singolare nel contesto concordatario – si vedano lo stesso art. 160, co. 2 e l’art. 177, co. 2 e co. 3 – e più in generale concorsuale, come è dimostrato in modo emblematico dall’art. 102 co. 2), pena la riduzione della regola al solo concordato liquidatorio (per altro con l’irragionevole effetto di precludere per esso la possibilità di proporre una datio in solutum), il che non appare sostenibile per quanto appena detto.
Ulteriore e decisiva conferma della omnicomprensività della regola di cui al primo periodo del IV comma dell’art. 160 si desume dalla disciplina delle proposte concorrenti, la cui ammissibilità o inammissibilità si valuta, ai sensi dell’art. 163, co. 5, in base al superamento o meno da parte della proposta del debitore della soglia del pagamento di almeno il 40% dell’ammontare dei crediti chirografari o del 30% se si tratti di concordato con continuità aziendale ex art. 186-bis.
Poiché si tratta, all’evidenza, di una disciplina di carattere generale e non potendosi ipotizzare che il sistema delle proposte concorrenti operi esclusivamente nei concordati con cessione dei beni e in quelli in continuità, piuttosto che in qualunque tipologia concordataria, ne risulta confermato che il legislatore della Riforma 2015 ha utilizzato il lemma “pagamento” nel senso più generale di “soddisfazione”.
Sotto profilo affatto diverso, ma sempre inerente all’ambito applicativo della norma, rileva il Collegio che la limitazione della operatività della regola ai soli creditori chirografari è solo apparente, in quanto in via indiretta, essa è destinata ad incidere anche sul trattamento dei creditori privilegiati oggetto di soddisfazione non integrale. Ciò non perché la norma di cui all’art. 177, co. 3 debba essere considerata impropriamente anche norma sul trattamento, ma semplicemente perché una soddisfazione dei creditori privilegiati falcidiati in misura complessivamente inferiore alla soglia minima del 20% verrebbe ad alterare l’ordine delle legittime cause di prelazione per cui si determinerebbe un conflitto fra il IV comma dell’art. 160 e la norma di cui all’ultimo periodo del comma II dello stesso articolo.
Al contrario, ritiene il Collegio che la regola non si espanda, nel concordato con classi, fino a condizionare il trattamento della singola classe tanto da imporre che per ciascuna di esse debba necessariamente prevedersi un pagamento non inferiore alla soglia legale. Lo esclude, oltre alla ragionevolezza (ad esempio, è ragionevole prevedere un trattamento minimo per una classe composta da creditori con garanzie esterne), la lettera stessa della norma che si riferisce al complessivo “ammontare” dei crediti chirografari e non già al singolo credito.
III
Verificato l’ambito applicativo della regola di cui al primo periodo del comma IV dell’art. 160, occorre verificare ora quello della eccezione di cui al secondo periodo per accertare se nella fattispecie trovi applicazione la prima oppure la seconda, essendo stato qualificato il presente come concordato con continuità ai sensi dell’art. 186-bis.
La questione potrebbe anche non essere rilevante ove si dovesse ritenere plausibile l’interpretazione secondo cui l’attestazione del professionista ex art. 186-bis co. 2 lett. b) debba utilizzare quale termine di paragone anche la diversa soluzione concordataria presidiata dalla soglia del 20% al fine di attestare la funzionalità al miglior interesse dei creditori della prosecuzione della attività di impresa.
Ciò non pare debba essere in quanto l’effetto sarebbe quello del tutto anomalo per cui l’eccezione che transita direttamente dalla porta principale del contenuto precettivo della proposta uscirebbe poi indirettamente dalla finestra dell’attestazione del professionista e, dunque, sarebbe stata inutilmente posta.
Al contrario, l’eccezione prevista per il concordato in continuità si giustifica sia per un generico favor nei confronti di tale soluzione, sia soprattutto per la problematicità della opzione diversa.
E’ insito nella natura del concordato in continuità che la previsione di una soddisfazione legata al futuro andamento dell’impresa e ai relativi flussi generati sia connotato da una significativa alea, che rende giustificata la prudenza nella indicazione della percentuale di soddisfazione dei creditori e limitante la eventuale pretesa di una soglia significativa della stessa. L’estensione della regola, sia pure in via indiretta (dover essere il concordato in continuità più favorevole di un concordato liquidatorio al 20%), avrebbe spesso l’effetto di trasformare il concordato ex art. 186-bis in un concordato con garanzia (fino al 20% di soddisfazione dei creditori chirografari).
Ciò che semmai appare ragionevole è ipotizzare che, per necessaria simmetria sistematica, la regola generale sulla soglia minima di accesso determini un riflesso anche sulla percentuale minima di accesso alla specifica procedura ex art. 186-bis che, pur non codificata, sarà ritenuta idonea a realizzare la causa concreta del concordato in continuità, non potendosi ipotizzare la coerenza di un sistema che contestualmente preveda una tipologia concordataria con soddisfazioni minimali dei creditori (ad esempio l’1%), mentre per tutte le altre tipologie concordatarie pretenda percentuali di soddisfazione di almeno il 20%.
Del resto, i rischi insiti nella continuità (creazione di prededuzioni in danno dei creditori anteriori) implica la necessità che, ai rischi, corrisponda una adeguata remunerazione, per cui è prevedibile che, per coerenza sistematica, la “sia pur minimale consistenza del credito” che sarà necessario proporre ai creditori affinché possa dirsi realizzata la causa in concreto del concordato in continuità si attesti su percentuali di almeno il 5%.
Ma il vero problema interpretativo (che, per altro nella fattispecie assume specifica rilevanza per quanto poi si dirà) è quello di stabilire quando il concordato in continuità di sottragga alla regola di cui al comma IV dell’art. 160, essendo pacifico che l’istituto di cui all’art. 186-bis non è incompatibile con possibili declinazioni liquidatorie, quand’anche non si traduca in un concordato in toto diretto alla liquidazione (concordato con continuità indiretta), caso in cui, anche quando fosse predeterminata la cessione dell’azienda ad un prezzo già convenuto, la deroga di cui al secondo periodo del comma IV dell’art. 160 si configurerebbe come irragionevole.
Il criterio guida sembra dover essere quello diretto ad evitare l’abuso di un facile aggiramento della regola sullo sbarramento del 20%, il che può ottenersi ove, valorizzando la ratio legis, si ritenga integrata l’eccezione solo quando l’attivo concordatario sia connotato dall’alea insita nella continuità.
Ciò non si verifica quando, come nel caso di continuità indiretta, la soddisfazione dei creditori provenga dal ricavato della liquidazione e non già dalla gestione interinale, il cui scopo non è quello di creare flussi satisfattori per i creditori, ma di valorizzare l’azienda (o, meglio, di non svilirla) in vista della futura liquidazione.
Del resto, se è pur vero che l’istituto di cui all’art. 186-bis, richiamato dal comma IV dell’art. 160, ha natura eterogenea, sembra ragionevole ritenere che il richiamo non operi in toto ma in modo selettivo ovvero per sottrazione rispetto alla ipotesi liquidatoria considerata (ancorché in modo non esclusivo) all’interno del perimetro operativo del primo periodo dell’art. 160, co. 4.
La questione si pone in termini analoghi nel concordato in continuità c.d. misto ovvero quello che prevede inserti liquidatori, non essendo credibile che qualsivoglia segmento di continuità possa trasformare il concordato liquidatorio in concordato sottratto alla regola dello sbarramento, col che la regola verrebbe agevolmente aggirata.
Il limite dell’abuso del diritto, induce a ritenere che in tali casi (come per altro si è ritenuto quando si sia trattato di valutare l’applicazione dell’art. 182 l.f. al concordato in continuità) debba farsi ricorso al criterio della prevalenza, così ritenendo applicabile la regola di cui al IV comma, primo periodo dell’art. 160 ogni qual volta il ricavato dalla liquidazione dei beni estranei al segmento della continuità rappresentino la quota principale dell’attivo concordatario, rispetto ai flussi di cassa in tutto o in parte destinati alla soddisfazione dei creditori.
IV
Una domanda di concordato che, come quella in esame, sia regolata dal sistema novellato deve confrontarsi anche con la nuova disposizione di cui l’art. 161, co. 2, lett. e) secondo la quale “in ogni caso, la proposta deve indicare l’utilita’ specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.
La norma contiene all’evidenza una prescrizione di maggior dettaglio (che riguarda non certo la posizione di ogni singolo creditore, ma quella delle eventuali classi in cui i creditori siano stati aggregati), prescrizione che si ricollega all’ampia previsione del comma I dell’art. 160, richiedendosi ora la valutazione economica delle variegate forme di utilità che è consentito porre a base della ristrutturazione: dunque la Novella si pone sul solco tracciato dalla SC (già con C 13818/11) sulla necessità che la proposta presenti requisiti di determinatezza e piena intellegibilità.
Ma non si tratta solo di questo perché la norma si coordina col precetto di cui al comma IV dell’art. 160, posto che l’addizione costituita dall’espressione “che il proponente si obbliga ad assicurare” è stata introdotta in sede di conversione del D.L. 83/15 per evidente simmetria con il nuovo quarto comma dell’art. 160, esso pure introdotto nella stessa sede legislativa.
La considerazione congiunta delle due disposizioni rivela l’impatto sistematico della riforma del 2015 sul nuovo catalogo dei concordati ammissibili.
Ritiene il Collegio che debba affermarsi in modo netto che tale impatto non si è risolto nel introdurre un vincolo contenutistico della proposta che possa qualificarsi in termini di promessa di pagamento di una determinata percentuale del credito. Nessuna traccia di un tale intento del legislatore si rinviene nella riforma del 2015, anzi al contrario in sede di conversione del D.L. 83/15 sono stati eliminati quei passaggi che potevano risultare equivoci (ad esempio, l’art. 161, co. 2, lett. e) prevedeva nel testo originario l’espressione “utilità procurata” in favore di ciascun creditore, mentre all’art. 163 co. 5 “l’impegno al pagamento” del 40% dei crediti chirografari è stato sostituito da una proposta che “assicuri” ecc) e non vi è dubbio che, in caso contrario, si sarebbe espressamente dato conto di una così stravolgente innovazione, che renderebbe invero impraticabile per definizione il concordato liquidatorio.
Inutile rammentare che la SC ha escluso che, in assenza di un’espressa assunzione di una obbligazione in tale senso, la percentuale costituisca oggetto della obbligazione assunta dal proponente nei confronti dei suoi creditori (C 13818/11 richiamata da SSUU 1521/13); neppure nel sistema concordatario risalente vi era traccia di un impegno vincolante da parte del debitore a corrispondere la percentuale minima normativamente prevista (40%), tanto che l’allora vigente art. 186, co.
2, prevedeva che il concordato non si risolveva se fosse stata ricavata una percentuale inferiore al 40%.
Il quadro non può dirsi certo mutato per il fatto che l’art. 161, co. 2, lett. e) prescrive che la proposta debba indicare le “utilita’…che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.
Che il concordato approvato e omologato generi obbligazioni in capo al debitore è constatazione banale e connaturata alla natura negoziale dello stesso; altra questione è individuare l’oggetto della obbligazione che non si risolve, salvo espressa indicazione in tal senso, nella corresponsione di una individuata percentuale del credito, ma nell’utilità assicurata ai creditori che, in un concordato con cessione dei beni, sarà costituita dai beni messi a disposizione. Una cosa è l’utilità ceduta, altra cosa è la misura della soddisfazione retraibile rispetto alla quale, in assenza di espressa obbligazione in tale senso, non vi è impegno da parte del debitore.
Né a conclusioni diverse si potrebbe pervenire per l’adozione nell’ambito di entrambe le norme scrutinate del termine “assicurare” che non è sinonimo di “promettere”, ancorché la novità sia di tutto rilievo.
L’impatto sistematico del combinato disposto delle due norme produce un duplice effetto.
Il primo è che la soglia minima di accesso a qualsivoglia tipologia di concordato, con esclusione di quelli in continuità nei limiti sopra chiariti, non sta (più) nella previsione di un pagamento/soddisfazione di almeno il 20% dei creditori chirografari (e privilegiati falcidiati per quanto sopra detto), ma nella assicurazione di un tale grado di soddisfazione.
Sul significato del termine “assicurare” si potrà a lungo discutere, ma non è dubbio che esso presupponga un grado di certezza che, seppure relativo trattandosi di valutazioni prognostiche (non si parla, infatti, di “garantire), è del tutto estraneo alla mera previsione probabilistica.
Il legislatore ha inteso alzare l’asticella della protezione dei creditori imponendo al debitore soluzioni della propria crisi con esiti per i primi connotate da ragionevole sicurezza in ordine alla pur limitata soddisfazione dei propri crediti (oltre che caratterizzate da maggiore trasparenza in ordine alle effettive prospettive di soddisfazione e, dunque, al contenuto della proposta).
In qualche modo, il legislatore del 2015 ha completato il suo parziale ritorno al passato adottando una formula che riecheggia da vicino quella dell’originario art. 160, co. 1 n. 2 (“fondatamente ritenere” che…).
Dunque, il comma IV dell’art. 160 novellato può essere letto nel senso che in ogni caso il debitore deve proporre fondatamente il pagamento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.
Pur con tutte le possibili sfumature del caso, il criterio di qualificazione della proposta adottato si pone a metà strada fra quello della garanzia e quello della ragionevole previsione: meno del primo, più del secondo.
Deve ora il Collegio esaminare un’ulteriore possibile declinazione della questione: quella del possibile secondo effetto dell’impatto sistematico del combinato delle due norme in esame.
L’indicazione della percentuale di pagamento/soddisfazione nei termini più rigorosi ora descritti è circoscritta alla soglia minima di accesso a talune tipologie di concordato (liquidatorio, ma non solo) o rappresenta il nuovo e indefettibile connotato di ogni proposta?
Certo, nulla vieta che, assicurata la soglia del 20% necessaria per l’accesso alla procedura, il debitore prospetti come probabile o prevedibile un maggiore margine di soddisfazione, ma a ben vedere una tale ulteriore prospettazione potrebbe non essere più qualificata in termini di proposta, che invece resterebbe delimitata alla parte assicurata (restando il residuo prospettato nell’ambito informativo e, dunque, finalizzato alla aggregazione del consenso).
Si noti che l’art. 163, co. 5 prevede l’inammissibilità delle proposte concorrenti in caso in cui la proposta (genericamente e non selettivamente qualificata in riferimento al concordato liquidatorio, a conferma dell’ampio respiro della prescrizione di cui al 4° comma dell’art. 160) assicuri il pagamento di almeno il 40% dell’ammontare dei creditori chirografari o, nel caso del concordato in continuità, di almeno il 30%. La norma non è tanto significativa nella sua prima parte (è evidente che si può assicurare anche una percentuale superiore alla soglia minima di accesso), quanto nella sua seconda, che disciplina l’ipotesi di un debitore che, in quanto proponente un concordato ex art. 186-bis, non è soggetto alla regola di cui al primo periodo dell’art. 160, co. 4.
In altri termini, sembra desumibile dall’art. 163, co. 5 che anche nel concordato in continuità la proposta, seppure non vincolata dalla soglia legale di accesso, debba comunque essere formulata non in termini di previsione, ma di assicurazione della percentuale di soddisfazione, così come previsto dall’art. 163, co. 5 per sancire l’inammissibilità delle proposte concorrenti nel concordato in continuità.
Se così non fosse, si perverrebbe alla conclusione che esistono due tipologie di concordato in continuità: quella con percentuale solo prevista e quella con percentuale assicurata il che davvero non sembra ragionevole. E poiché quest’ultima esiste tanto da essere considerata dal comma 5° dell’art. 163, se ne deve desumere che l’altra non esista più.
Ulteriore conferma si rinviene proprio nella collegata norma di cui all’art. 161, co. 2, lett. e) secondo la quale l’obbligo del proponente è declinato in termini di “assicurazione” senza alcuna distinzione tipologica.
Del resto, trattandosi di innovazione diretta a realizzare una maggiore protezione dello statuto dei creditori, sarebbe poco plausibile ritenere che tale esigenza venga meno proprio per la tipologia concordataria più rischiosa per i creditori, tanto che nella disciplina del concordato in continuità si rinvengono sia norme di agevolazione che norme di protezione: forse più le seconde che le prime.
Ne consegue che, a giudizio del tribunale, l’eccezione di cui al secondo periodo del comma IV dell’art. 160 deve essere letta solo in riferimento alla soglia del 20% e non anche alla modalità di formulazione della proposta,che assume portata generale.
Come se dicesse: nel concordato in continuità aziendale ex art. 186-bis la proposta può “assicurare” un pagamento anche inferiore al 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.
V
Una volta precisati i termini della rimodulazione della proposta concordataria alla luce del sistema riformato, deve ora il Collegio porsi l’ultima, e forse più delicata e decisiva, questione: quella dei poteri di indagine del Tribunale, verificando la misura della loro alterazione, se alterazione vi è stata.
Fin troppo noto è che nell’ultimo quinquennio la SC ha tracciato i confini dell’intervento conformativo del giudice alla luce della riforma del sistema che aveva ridisegnato i ruoli degli organi preposti alla procedura concorsuale, così assegnando al Tribunale il controllo della regolarità formale e sostanziale del procedimento ai fini di consentire ai primi interessati, ovvero ai creditori, la possibilità di assumere una decisione responsabile (C 21860/10, C 13818/11 fino alla “storica” pronuncia delle SSUU 1521/13 e poi ancora C 24970/2013 e C 11423/14).
In particolare le Sezioni Unite, rilevando che il controllo del giudice è un controllo di legalità e mai di merito della proposta e del piano (essendo riservata ai creditori la valutazione della convenienza e della fattibilità economica della proposta), ha chiarito che nell’ambito di tale controllo il giudice deve verificare la correttezza del procedimento e la fattibilità giuridica del concordato, che si risolve nella idoneità della proposta elaborata dal debitore a consentire il superamento dello stato di crisi e al riconoscimento ai creditori di una “sia pur minimale consistenza del credito… in tempi di realizzazione contenuti” (“causa concreta” del concordato).
Di conseguenza spetta al giudice la verifica di tutti quegli aspetti che incidono sulla legalità del procedimento tra i quali la regolarità della documentazione, compresa la congruità e la logicità dei contenuti della relazione del professionista asseveratore, la corretta informazione dei creditori, la possibilità giuridica di dare esecuzione alla proposta, l’idoneità della proposta a soddisfare in qualche misura i diversi crediti nei termini di adempimento previsti.
Più recentemente la SC ha chiarito che la fattibilità del piano è un presupposto di ammissibilità della proposta sul quale, pertanto, il giudice deve pronunciarsi esercitando un sindacato che consiste nella verifica diretta del presupposto stesso, non restando questo escluso dall’attestazione del professionista. Tuttavia, mentre il sindacato del giudice sulla fattibilità giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità del piano con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilità economica, intesa come realizzabilità nei fatti del medesimo, può essere svolto solo nei limiti
nella verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta inettitudine del piano presentato dal debitore a raggiungere gli obbiettivi prefissati, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una sia pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole, fermo, ovviamente, il controllo della completezza e correttezza dei dati informativi forniti dal debitore ai creditori, con la proposta di concordato e i documenti allegati, ai fini della consapevole espressione del loro voto (C 11423/14).
La chiave di volta della costruzione interpretativa offerta dalla S.C. nel corso di questi anni sta dunque nella distinzione fra fattibilità giuridica e fattibilità economica (distinzione che era affiorata in alcune sentenze di merito anche negli anni precedenti) e questo è diventato, a seguito della diffusa condivisione da parte dei giudici di merito, diritto vivente.
Un diritto vivente che, secondo qualche interprete, sarebbe morto il 26 agosto 2015 con l’entrata in vigore della legge di conversione del D.L. 83/15 che ha introdotto il IV comma dell’art. 160 e modificato (rispetto alla versione contenuta nel decreto) il comma II lett. e) dell’art. 161, così disarticolando in radice la costruzione dommatica della S.C., che avrebbe ora perso ogni plausibilità, ammesso che ne avesse avuta per il passato.
Si tratta, ad avviso del Tribunale, di una mera illusione ottica forse più frutto di un pregiudizio ideologico (la pregressa insofferenza verso la distinzione fra fattibilità giuridica e fattibilità economica e relative conseguenze in tema di limiti del controllo giudiziario) che del trompe l’oeil costituito dal testuale ingresso della percentuale di soddisfazione minima nel contesto della norma che indica i presupposti di ammissione della procedura.
Vero è, invece, che non si vede, o non si intende vedere, che nulla è mutato rispetto al sistema antecedente la Novella del 2015 e che l’interpretazione della Cassazione appare perfettamente idonea a definire il ruolo del giudice nell’ambito della procedura concordataria oggi come ieri.
L’illusione sta nel ritenere che la percentuale di soddisfazione, elemento tendenzialmente inerente la fattibilità economica, in quanto ora recepito all’interno della norma sui presupposti per l’ammissione alla procedura (art. 160) abbia trasformato la fattibilità economica in fattibilità giuridica – l’unica tipologia di fattibilità che sarebbe sopravvissuta al vento (contro)riformista – come tale destinata ad essere accertata direttamente dal Tribunale con valutazione di merito.
In senso contrario, rileva il Collegio che inerisce alla fattibilità giuridica verificare soltanto che la proposta contenga l’assicurazione del soddisfacimento di almeno il 20% dell’ammontare dei crediti chirografari (ovvero della eventuale minore percentuale ove si tratti di concordato con continuità diretta o prevalente), sulla base di un piano che non possa essere qualificato come manifestamente inidoneo a raggiungere tale obbiettivo, in quanto si tratta di una verifica della conformità della proposta al modello normativo: in ciò, e in nulla di più, si risolve il nuovo presupposto per l’ammissione alla procedura ai sensi dell’art. 160, co. 4.
Attiene, invece, alla fattibilità economica la valutazione di merito sulla concreta realizzabilità del piano e, dunque, del concretizzarsi l’effettivo pagamento della percentuale di legge o di quella eventualmente minore ove si tratti di concordato con continuità diretta o prevalente. Tale fattibilità, da ultimo rimessa al giudizio dei creditori, ora, come per il passato, inerisce alla attestazione del professionista di cui all’art. 161, co. 3, che sarà scrutinata solo quanto a completezza, rigore, coerenza e non contraddittorietà.
Nulla di diverso da quanto si verifica in riferimento ad altri presupposti per l’ammissione della procedura, anche essi sensibili sotto il profilo della fattibilità economica: il pagamento integrale dei creditori privilegiati e il pagamento dei creditori privilegiati falcidiati nei limiti della capienza del bene sottoposto a garanzia (non a caso in base, non ad un accertamento diretto del Tribunale, ma alla relazione giurata di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d).
Oggi, come in precedenza, si tratta pur sempre per il Tribunale di verificare che la soddisfazione indicata nella proposta rappresenti una seppur minimale soddisfazione dei creditori chirografari, così realizzando la causa concreta del concordato. Che per molte tipologie concordatarie vi sia una determinazione legale di ciò che debba intendersi per tale requisito, non muta la natura qualitativa dell’indagine, ma soltanto la semplifica non dovendosi più porre la questione se percentuali infime di soddisfazione siano idonee allo scopo.
Né l’adozione (generalizzata, per quanto si è detto) di una formulazione della proposta in termini più certi rispetto a quelli meramente previsionali del passato (“assicura”) consente al Tribunale un giudizio di merito in ordine alla rispondenza della assicurazione del debitore alla concreta prospettiva realizzatoria: tanto attiene alla fattibilità economica, la cui attestazione spetta al professionista di cui all’art. 161 co. 3 (salvo che non si ravvisi la manifesta inidoneità del piano rispetto allo scopo) e la cui valutazione finale spetta ai creditori, anche se nel corso della procedura il C.G. offra ricostruzioni alternative e diverse.
La contraria opzione interpretativa che qui si critica, specie se dovesse coniugarsi (e così eventualmente avverrà) con quella che pretende di imporre il vincolo di percentuale (percentuale assicurata come sinonimo di percentuale promessa in virtù di un necessario, ancorché eventualmente implicito, impegno del debitore), avrebbe effetti devastanti sul processo di liberalizzazione da tempo portato avanti (seppure, talvolta, con passi incerti e qualche parziale ripensamento) dal legislatore degli ultimi nove anni.
Non si tratterebbe tanto di un ritorno all’età della pietra, quanto della inaugurazione di un’età della pietra. I poteri dirigistici che ne conseguirebbero non troverebbero raffronti nemmeno nel sistema concorsuale originario (eppure correva l’anno 1942), in quanto allora l’indagine del giudice nel concordato ex comma 2 n. 2 dell’art. 160 era pur sempre circoscritta alla percentuale di legge pari al 40% e non già a quella ipoteticamente promessa, con irrilevanza del suo mancato raggiungimento (fin’anche se ridotto a margini minimali) in sede risolutoria.
Ora invece, nel fosco sistema che qualche interprete auspica, il Tribunale controllerebbe durante l’intero corso della procedura tramite la longa manus del C.G. che la percentuale (promessa) regga a continue messe a punto della valutazione di merito, pena l’intervento ex art. 173 o il diniego di omologa.
Nonostante che la Riforma del 2015, con la modifica del meccanismo di aggregazione delle maggioranze che ha visto l’espunzione del silenzio-assenso, abbia reso effettivo e non presunto il consenso dei creditori nei confronti della proposta – il che dovrebbe essere palese sintomo della intenzione del legislatore di rendere più incisiva e decisiva la posizione dei creditori (unici interessati alla ristrutturazione) – i creditori diverrebbero mere comparse di una rappresentazione all’interno della quale essi si vedrebbero espropriati dal diritto di manifestare il proprio consenso (ove il procedimento ex art. 173 precedesse le votazioni) ovvero vedrebbero vanificato il consenso già dato (ove l’intervento officioso intervenisse in sede di omologa).
Se così dovesse essere, il concordato preventivo, già consegnato dalla Riforma ad un futuro più serio, ma certamente molto più angusto (il che non è detto sia un vantaggio per i creditori ed il sistema economico in generale, dovendosi comunque comparare con l’alternativa fallimentare), rischierebbe di entrare a buon diritto nel catalogo delle specie in via di estinzione.
Ma non dovrebbe sfuggire che ove il legislatore, certo consapevole del diritto vivente creato dalle pronunce della S.C., avesse voluto un tale effetto avrebbe espressamente rimesso mano alle disposizioni sui poteri del Tribunale. Ora, non solo così non è stato, ma la Riforma del 2015 ha espressamente confermato che la loro configurazione resta proprio quella tracciata dalla Cassazione.
Non può sfuggire il pregante significato della norma di cui all’art. 161, co. 5, in tema di proposte concorrenti.
Recita la norma: “Le proposte di concordato concorrenti non sono ammissibili se nella relazione di cui all’articolo 161, terzo comma, il professionista attesta che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari o, nel caso di concordato con continuità aziendale di cui all’articolo 186-bis, di almeno il trenta per cento.>>
Dunque, è detto expressis verbis che spetta al professionista asseveratore attestare nella propria relazione ai sensi dell’art. 161, co. 3, che la proposta assicura una determinata percentuale di pagamento, non al Tribunale.
Si consideri poi che in sede di conversione è stato emendato l’originario testo di cui al D.L. 83/15 che utilizzava la seguente diversa formula: “Le proposte di concordato concorrenti sono ammissibili se non risulta che la proposta di concordato del debitore assicura il pagamento, ancorché dilazionato, di almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti chirografari.”
Il legislatore è stato del tutto consapevole che l’espressione “se non risulta” avrebbe potuto essere utilizzata come strumento di affermazione di un potere di autonomo controllo di merito da parte del Tribunale e l’ha prudentemente sostituita con un sistema che esclude qualsiasi ingerenza da parte del giudice su quella che, in tutta tranquillità, può continuare a chiamarsi la fattibilità economica del concordato.
Così stando le cose, appare del tutto coerente e non frutto di mancato coordinamento (come pure si vorrebbe), che non sia stato modificato il secondo comma dell’art. 162, che continua a prevedere una inammissibilità del concordato per assenza dei presupposti di cui agli artt. 160, commi primo e secondo, non anche del quinto.
La patologia della formulazione della proposta, quando non si colga come violazione di norma imperativa e non conformità al modello legale (indicazione della percentuale non in termini di assicurazione o sotto la soglia minima di accesso), ma sotto il profilo della non fattibilità economica si risolve nella irregolarità (sostanziale) della documentazione, con particolare riguardo alla relazione di cui all’articolo 161, terzo comma, che non sfuggirebbe ad un rilievo di incompletezza e incoerenza.
Può, dunque, concludersi osservando che l’arresto nei confronti di qualsiasi deriva dirigistico/inquisitoria perviene, prima ancora che da una interpretazione neutrale delle norme, dalla stessa lettera delle norme.
VI
Il Tribunale deve a questo punto valutare l’ammissibilità del presente concordato alla luce delle regole interpretative sopra delineate.
1)La proposta non rispetta il requisito di cui al primo periodo del comma IV dell’art. 160, della cui portata generale si è detto, non contenendo l’assicurazione del pagamento della percentuale. La percentuale di pagamento (del 20%) è considerata solo oggetto di previsione, come testualmente detto: “La Proposta che si sottopone all’approvazione dei creditori concorsuali, secondo le assunzioni descritte nel piano (allegato 2), prevede”. Che di previsione si tratti è pure espressamente indicato nella parte conclusiva del piano (“elevato grado di probabilità”). A fronte di ciò non rileva il fatto che l’attestatore parli talvolta di percentuale “garantita” ovvero “promessa”, perché di un tale impegno non vi è traccia nella proposta e perché, in ogni caso, il senso dell’affermazione è stato chiarito in sede di audizione, come si dirà. Questione di fattibilità giuridica.
2)Il presente concordato, pur qualificato come concordato in continuità, deve essere il realtà considerato come misto, cosa di cui correttamente dà atto l’attestatore. Si tratta di un concordato misto con prevalenza dell’aspetto liquidatorio posto che su un attivo stimato pari ad €. 2.430.000 solo €. 530.000 sono imputabili alla formazione del cash flow.
Ne consegue che trova applicazione non l’eccezione, ma la regola di cui al comma IV dell’art. 160 con la necessità che la proposta assicuri il pagamento del 20% dell’ammontare dei crediti chirografari.
Nel caso di specie, la proposta – pur volendo superare l’eccezione formale di cui al punto 1 – non assicura affatto, nella sostanza, tale pagamento in quanto in un concordato liquidatorio (esclusivo o prevalente), ove non vi sia predeterminazione degli esiti della liquidazione (impegni di terzi ad acquistare i beni da liquidare a prezzi convenuti) ovvero garanzie esterne, intanto può dirsi assicurata una determinata percentuale di realizzo in quanto se ne preveda una maggiore, essendo noto il divario fra previsione e realizzazione. Ove, invece, si preveda proprio il pagamento della percentuale minima di accesso, risulta evidente che tale pagamento non sia assicurato, come, invece, potrebbe esserlo in caso di attendibile previsione di pagamento del 30% ( ad esempio).
Né, del resto, il professionista attestatore si esprime in termini di certezza, ma usa espressioni prudenti (il “consentirebbero” di cui a pag. 7 della relazione, la “ragionevole fattibilità” di cui a pag. 18).
Ciò è confermato anche dalla precisazione offerta in sede di audizione avanti al giudice delegato dallo stesso professionista, che ha chiarito il contenuto della propria affermazione di cui a pag. 16 della relazione (percentuale garantita al 20%) da intendersi nel senso che se la previsione di soddisfazione, dopo il biennio, scendesse al di sotto di quella prevedibile in caso di liquidazione, pari al 17,50%, il concordato si convertirebbe in liquidatorio (prospettiva interessante dal punto di vista giuridico, ma impraticabile stante la soglia minima di accesso al 20%). Ciò dimostra sia che la proposta non assicura il pagamento del 20%, sia che il professionista si è ben guardato dall’attestarlo, ma anzi ha previsto come ragionevole l’ipotesi del fallimento del piano originario.
Né, del resto, avrebbe potuto fare altrimenti essendo evidente l’aleatorietà dell’attivo concordatario, sia perché i flussi della continuità contengono una insopprimibile alea, sia perché le stime su cui si sviluppa il piano sono quelle della società, senza alcun riscontro oggettivo (v. pag. 7 della relazione: “Le stime esposte nel piano, comprensive del realizzo del bene immobile, consentirebbero dunque di soddisfare i creditori chirografari nella garantita misura del 20,00%).
Poco meno della metà dell’attivo (€. 1.000.000) è previsto come proveniente dalla vendita di immobili di cui nulla è dato sapere, in assenza di perizia di stima. In sede di audizione, lo stesso legale rappresentante della società ha dichiarato che non si è provveduto al deposito di una perizia valutativa degli immobili assumendo un valore prudenziale di E. 1.000.000 sulla base di trattative di acquisto in corso, “per altro non facili in considerazione della situazione del mercato”. Neppure vi è certezza che i beni immobili siano regolari da un punto di vista urbanistico e liberi da trascrizioni pregiudizievoli. Tali considerazioni escludono che l’attestazione di fattibilità resa dal professionista sia idonea a confermare che la proposta assicuri il pagamento del 20% del chirografo. Questione di fattibilità giuridica.
3) Quanto detto al punto che precede, mette in discussione che la attestazione di fattibilità avrebbe assolto al suo scopo anche nel regime previgente la novella 2015. Non può non apparire contraddittorio attestare la fattibilità economica di un concordato che, quand’anche potesse limitarsi a “prevedere” e non ad “assicurare”, avrebbe comunque previsto per i creditori chirografari il pagamento del 20% del loro credito sulla base di un piano che assume come certe stime del tutto aleatorie ed, anzi, valori in assenza di stime. Questione di fattibilità giuridica in riferimento alla regolarità sostanziale della documentazione.
Per tutte le esposte argomentazioni il concordato preventivo proposto dalla M.F. International srl deve essere dichiarato inammissibile, senza ulteriori provvedimenti in/ assenza di domande o richiesta di fallimento.
La somma versata a titolo di cauzione per il compenso del C.G. resta al medesimo assegnata.
P.Q.M.
visti gli articoli 160, 161, 162 e 163 l. fall.,
dichiara
inammissibile la proposta di concordato preventivo presentata dalla M.F. International srl con sede in Quarrata , via Larga n. 216;
Così deciso in Pistoia il 22.10.2015, dal Tribunale come sopra composto, su relazione del dott. Raffaele D’Amora.
Depositato IL 29/10/2015.